Alberto Mario a New York – Nona e ultima puntata — Lombardi nel Mondo

Alberto Mario a New York – Nona e ultima puntata

Adolfo Rossi (1857, Lendinara – †1921, Buenos Aires) è uno dei primi testimoni della grande ondata migratoria italiana diretta nelle Americhe. A lui si deve la testimonianza del viaggio di Alberto Mario e Jessie White a New York nel 1858. Come il rinvenimento dell’infuocato discorso che Mario tenne in una Hall della Quarta Avenue a favore dell’Italia unita.

Aggiungeva che per abbattere lo Statuto volevasi o l’uso delle armi proprie contro i cittadini, che l’avrebbero difeso, e queste armi furono disperse a Novara, e le poche rimaste si adoperavano a bombardar Genova; ovvero volevasi il sussidio degli Austriaci; ma la Francia non avrebbe permesso alle schiere dell’Austria di avvicinarsi alle Alpi, ed all’uopo valicarle per domar la Savoia ove questa fosse sorta a propugnare il nuovo Patto conquistato dalla rivoluzione sulla monarchia; in ogni modo la Corte di Sardegna invocando i soccorsi austriaci avrebbe perduta l’indipendenza.

 

– Fu adunque – ripeteva – accorto consiglio conservare lo Statuto. Lo Statuto porta i seguenti vantaggi alla Casa di Savoia: dapprima seminando speranze di futura riscossa fra gli italiani delle altre parti della Penisola, e inducendoli a confidare in lei che si vanta di spiare l’occasione propizia a ricominciare la guerra contro l’Austria, tiene lontana per quanto è possibile l’insurrezione nazionale; ed è facile trovare partigiani quando si dice loro: Voi non avete altro ufficio che di starvene tranquilli, voi non correte pericolo di sorta, perchè il mio esercito incomincerà la battaglia; allora voi verrete esercito di riserva e formerete la guarnigione dei forti, delle piazze e delle città; il momento opportuno per me di scendere in campo non è giunto, ma verrà; intanto voi accrescerete con la propaganda pacifica le vostre file. In tali termini sta la situazione della Monarchia Sarda.

 

– Così – continuava – i suoi seguaci possono fare del patriottismo a buon mercato. Così mentre s’illudono di essere liberali e patriotti, sono nel fatto, e forse inconsapevolmente, egoisti. 

Che se l’Italia non avesse dovuto confidare se non nelle proprie forze e nel proprio diritto, puossi senza illusione congetturare che invece di disperdere i tesori morali guadagnatisi alle barricate di Milano, ai bastioni di Roma, ai forti di Venezia, a Vicenza, a Bologna, a Brescia, seguendo una fallace fantasima, non avrebbe sopportata per dieci anni la tirannide atroce dell’Austria, del papa e dei loro vicari, né sarebbe solcata da due partiti, ma, animata da un solo pensiero, sarebbesi con forze compatte affrettata alla riscossa.

 

– In secondo luogo – diceva l’oratore con sentimento profetico – ove, o emersa dalle viscere istesse della nazione, o procurata dall’esempio di un altro popolo oppresso, la rivoluzione finalmente scoppiasse – Casa di Savoia, mercè dello Statuto, si renderebbe possibile col nuovo ordine di cose. Casa di Savoia potrebbe dire all’Italia con le solite amplificazioni: «Mira, per trent’anni in mezzo alla reazione universale, fra mille spinose difficoltà mi conservai fedele alla tua causa, ho fatto rispettare sulle mie torri il tuo stendardo, ho ammaestrato alla guerra il mio esercito in Crimea, affinchè potesse affrontare vittoriosamente i tuoi perpetui nemici. Eccomi armata e pronta a suggellare col trionfo la battaglia da te incominciata. Io ti precedo, seguimi». E l’Italia immemore del passato, sorda agl’insegnamenti della storia, e alle lezioni dell’esperienza, la seguirebbe probabilissimamente e le confiderebbe i suoi fati.

 

Esaminato il passato e il presente della Monarchia Sabauda, che restringeva la libertà di stampa, che non cambiava i codici, che anche si alleava con quell’imperatore francese che occupava Roma militarmente, che poneva mano alla restaurazione del murattismo, Mario insisteva nel sostenere che la insurrezione doveva precedere l’aiuto sardo e che chi amava l’Italia doveva unirsi a coloro che consacravano tutti gli sforzi a preparare quell’insurrezione.

 

– La bandiera che questi spiegheranno nel giorno della sollevazione, sarà la bandiera a tre colori, la bandiera che non rappresenta né un partito, né una classe, né una tendenza esclusiva, ma la bandiera di ventisei milioni, che rappresenta la sovranità della nazione. Chi si rifiuterà di seguirla, di combattere e di morire per essa? E quando dinanzi a questa bandiera saranno scomparsi il re di Napoli, il papa e i duchi, quando tutta l’Italia meridionale e centrale padrona di sé e delle proprie forze, rovesciandosi sovra gli Austriaci e suscitando l’insurrezione Lombardo-Veneta, o rafforzandola se scoppiata, li avrà ributtati oltre le Alpi, a Roma l’Assemblea nazionale liberamente delibererà come la nazione dovrà essere amministrata. E se il re Sardo avrà gagliardamente partecipato a quella lotta, l’Italia, se il crederà opportuno, gl’imporrà sul capo la corona di torri.

 

Ma l’insurrezione, ripeteva, non nasce, né si sviluppa da sé come i fiori del prato; è indispensabile apparecchiarla. E già essa stavasi alacremente organizzando per opera di patrioti sparsi da Palermo a Milano, in Grecia, nelle isole Jonie, a Costantinopoli, a Smirne, in Alessandria, a Tunisi, in Barcellona, in Inghilterra, a Buenos-Aires e a New-York.

 

– Or bene – concludeva – io non vi ho qui invitati per dirvi soltanto parole; le parole sono suoni vacui e inutili ove non si traducano in fatti. E il fatto che voi dovete compiere è di unirvi agli altri fratelli vostri, di prestar loro il vostro concorso al riscatto della patria comune. Venite dunque a questa tribuna a dare il vostro nome. Vi invito in nome dell’Italia nostra, schiava e insultata, in nome dei nostri fratelli morti per essa sul patibolo e nell’esilio, in nome dei centomila che per essa tuttora gemono nelle carceri dei nostri tormentatori.

 

°°°

Quella conferenza, come si disse, fruttò seduta stante parecchie centinaia di dollari che furono subito spedite a Giuseppe Mazzini.

 

Fine

A cura di Luigi Rossi (Bochum)

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