Australia e Stati Uniti chiudono le porte ai lavoratori stranieri qualificati.
L’Australia ha abolito il visto 475, quello dei lavoratori specializzati; gli Stati Uniti stanno per stringere le maglie del visto H-1B (considerato il lasciapassare per i tecnici della Silicon Valley); e l’Inghilterra, una volta avviata la Brexit, potrebbe chiudere le porte ai lavoratori europei.
Colpa della politica protezionista che sta prendendo piede in paesi tradizionalmente meta di emigrazione, in particolare di quella cosiddetta ‘qualificata’, quella a cui mirano i laureati, gli specializzati, gli ingegneri, i medici, i ricercatori. Loro sono l’obiettivo della nuova chiusura delle frontiere.
L’ultimo a salire sul carro dei protezionisti è l’Australia che, a onor del vero, non ha mai brillato per accoglienza: da sempre i balzelli per avere un permesso di soggiorno da Canberra sono molti e complicati; i permessi, inoltre, sono in genere temporanei, e le norme contro il reato di clandestinità draconiane. Eppure, la situazione sembra peggiorata. Il premier Malcolm Turnbull ha annunciato l’abolizione del visto 475, quello che sino ad oggi consentiva agli stranieri di essere assunti nelle zone carenti di lavoro qualificato e che dava un permesso di residenza di tre anni: questo tipo di visto non esiste più.
“Siamo un Paese di immigrazione – ha detto il primo ministro –. Ma sta di fatto che, per i lavori in Australia, i lavoratori australiani devono avere la priorità. Per questo aboliamo il visto 457, che consente agli stranieri di venire temporaneamente qui e svolgere impieghi che potremmo benissimo fare noi”.
L’abolizione del visto 457, attenzione, non significa che chi oggi si trova in Australia con quel visto (circa 97 mila persone) sarà accompagnato alla porta, né che non saranno più rilasciati del tutto i visti di ingresso per gli stranieri. Resteranno aperte le procedure per chiederne di altri tipi, anche se più difficili da ottenere o per periodi più brevi. In particolare, il 475 sarà sostituito da alcuni permessi temporanei, di durata di 2 o 4 anni, ottenibili sulla base del curriculum e della conoscenza (molto approfondita) dell’inglese. Ad esempio, resta valido quello delle Working Holidays, diffuso tra giovani e studenti, o quello che consente di lavorare per un anno in un’azienda agricola, o altri ancora che richiedono la presenza di uno sponsor (un datore di lavoro, un parente o un amico già residente in Australia e disposto a garantire per noi).
L’Australia non è il primo Paese a tentare la carta della chiusura delle frontiere per ravvivare l’occupazione. Anzi. Apripista di questa policy sono stati, sino ad ora, l’America di Trump e l’Inghilterra transfuga dall’Unione Europea. Dopo aver lasciato fuori dagli Stati Uniti i cittadini (profughi e non) in arrivo dai sei paesi del Muslim Ban e dopo aver annunciato (più volte) la costruzione del muro anti-messicani, The Donald ha deciso di ostacolare anche il processo di rilascio del visto H-1B – quello per i lavoratori specializzati – che ogni anno dà libero accesso negli USA a circa 200 mila persone altamente qualificate e spesso molto ben remunerate.
L’idea di Trump per fermare l’arrivo degli ingegneri dell’hi-tech (soprattutto indiani) è stata, prima quella di sospendere la procedura di urgenza, facendo durare le pratiche di rilascio fino a sei mesi; e ora, quella di ordinare ai dipartimenti del Lavoro, della Giustizia, della Sicurezza Nazionale e dell’Interno di modificare i criteri di rilascio del visto, in modo da tutelare maggiormente i lavoratori americani.
Non da meno, anche se per ora la situazione è piuttosto fumosa, rischia di rivelarsi il mercato del lavoro in Gran Bretagna, pronta a cambiare radicalmente dal 2019, quando la Brexit sarà cosa fatta. Se per ora, ma si parla di ipotesi, nessuno pensa seriamente che i 7 milioni di stranieri (europei e non: nella sola Londra si stima vivano più di 250 mila italiani) presenti in Inghilterra saranno messi alla porta, è possibile però che, dal 2019, sarà più difficile trasferirsi nel Regno Unito. Ancora non è chiaro se e come la Brexit limiterà la circolazione delle persone, ma una delle ipotesi più accreditate è quella di tentare di limitare l’accesso di lavoratori stranieri facendo pagare imposte extra alle aziende che assumono dipendenti non inglesi.
(Fonte it.businessinsider.com)
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