Perù: La battaglia di un prete contro le miniere. Quell’oro che uccide le Ande — Lombardi nel Mondo
Perù: La battaglia di un prete contro le miniere. Quell’oro che uccide le Ande
Padre Marco Arana della diocesi di Cajamarca: «Tolgono l’acqua ai contadini in nome delle leggi dell’economia globale»
Lo sfruttamento delle materie prime per la crescita economica del Perù? Non può avvenire facendo pagare il prezzo ai più poveri.
Non ha dubbi padre Marco Arana, prete della diocesi di Cajamarca, nelle Ande peruviane, da anni è in prima fila nella lotta per la difesa dell’ambiente e delle popolazioni danneggiate dalla produzione mineraria. La sua è la battaglia per la salvaguardia delle falde acquifere contaminate dalle sostanze tossiche utilizzate nell’attività estrattiva.
Per questo è stato insignito nel 2004 del Premio nazionale dei diritti umani. Attualmente, in Perù, coordina il Gruppo di formazione e intervento per lo sviluppo sostenibile (Grufides).
D- Padre Arana, com’è nato questo lavoro?
R- Sulla scorta dell’opzione per i poveri compiuta dalla Chiesa latinoamericana a partire dal Concilio Vaticano II, nella mia diocesi ci siamo chiesti in che modo metterci concretamente al servizio dei contadini, che rappresentano il 72 per cento della popolazione locale. Negli anni Novanta il Perù si è reinserito nell’economia globale aprendo il proprio mercato e mettendo in vendita le proprie risorse naturali (minerali, petrolio, gas, legno…). A Cajamarca questo si è tradotto nell’avvio di attività estrattive, che hanno bisogno di grandi quantità di acqua e terra. Nelle Ande settentrionali, però, non ci sono ghiacciai, quindi la popolazione dipende dall’acqua che scende dalle montagne, sopra i 3.200 metri, proprio dove si trovano i giacimenti d’oro. Spesso la mappa mineraria coincide con quella idrica (lagune, conche, fonti…). Inoltre l’impatto di queste attività è enorme: nella sola miniera Yanacocha – che è gestita da una società a capitale misto, di cui l’azionista di maggioranza è la statunitense Newmont Mining Corporation, affiancata dalla peruviana Compañia de Minas Buenaventura S.A.A e da una piccola partecipazione della Banca mondiale – si rimuovono 600 mila tonnellate di roccia al giorno e, nonostante da una tonnellata si estraggano solo 0,5 grammi d’oro, si producono milioni di once di metallo prezioso. È un lavoro che richiede cianuro e soprattutto molta acqua: la città di Cajamarca, coi suoi 150 mila abitanti, ne consuma 7 milioni di metri cubi l’anno, contro i 18 della miniera. La situazione è ancora più drammatica in campagna, perché i contadini dipendono dall’agricoltura e dall’allevamento, per i quali usano l’80 per cento dell’acqua disponibile. Ma quando arrivano le compagnie minerarie il governo le autorizza a diventarne le principali consumatrici, nonostante la legge lo vieti e dica che l’acqua deve essere prima di tutto destinata alle persone.
D- Che significa essere prete in questo contesto?
R – Annunciare chiaramente un Dio della vita, che è prossimo alla gente che soffre e vuole restaurare la giustizia e la fraternità. È una sfida che qui passa dal diritto alla terra. Lo Stato, infatti, espropria molte comunità contadine o le obbliga a vendere, spostandole e privandole dell’acqua. In queste condizioni l’annuncio del Vangelo significa proclamare il diritto a vivere con dignità, avendo accesso all’acqua, all’assistenza sanitaria, alla terra, all’alimentazione. Le imprese minerarie cercano di smorzare l’opposizione delle comunità contadine costruendo qualche canale di irrigazione e facendo donazioni a organizzazioni non governative e – a volte – alla stessa Chiesa. Però la Chiesa ha la missione di accompagnare, non solo sul piano spirituale, le comunità, e questo porta a mettere in di scussione questa attività estrattiva – che produce oro, cioè un bene superfluo, consumando grandi quantità di acqua, cioè un bene indispensabile e scarso – e a schierarsi dalla parte dei contadini in una lotta per «acqua sì, vita sì, oro no». Si è creato così uno scontro violento, tanto che negli ultimi quattro anni sei contadini sono stati assassinati e altri incarcerati, mentre alcuni attivisti per diritti umani e ambientalisti sono stati minacciati dai vigilantes delle compagnie. Hanno subìto procedimenti giudiziari, sono stati vittime di diffamazione, allo scopo di stroncarne la resistenza. Meno male che questo non ha sortito effetto.
D- Anche lei è stato minacciato di morte?
R- Non avrei mai pensato che la mia missione pastorale mi avrebbe costretto, in alcuni momenti, a vivere sotto protezione della polizia o, in altri, a smettere di circolare liberamente. Agli inizi degli anni Novanta potevo andare in giro da solo a qualunque ora o restare a casa dei parrocchiani perché le strade erano libere, mentre ora ci sono posti di blocco e guardie private. Io, la mia famiglia e un gruppo di laici di Grufides siamo stati minacciati di morte, i nostri telefoni sono stati messi sotto controllo. Adesso, dopo un intervento della Com missione interamericana dei diritti umani dell’Organizzazione degli Stati americani, che ha chiesto allo Stato di garantirmi protezione, devo muovermi scortato da poliziotti.
Alcuni membri dell’episcopato, come mons. Pedro Barreto, arcivescovo di Huancayo, si sono schierati contro i progetti minerari; ma il suo vescovo, mons. José Martínez Lázaro, ha preso le distanze dalla sua azione.
D- Come ha accolto la Chiesa peruviana il suo impegno?
R- Molti vescovi in Perù, fedeli all’insegnamento del Concilio Vaticano II, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e della Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Aparecida sul tema ecologico, danno un certo sostegno a questo lavoro. Purtroppo non avviene ovunque perché la Chiesa peruviana sta subendo una forte involuzione in senso conservatore. Alcuni presuli recentemente nominati, come il mio vescovo o mons. José Velasquez Tarazona, di Huaraz, dove opera la Barrick Gold, temono molto le pressioni delle imprese o sono condizionati dagli aiuti economici ricevuti da loro per opere sociali. È paradossale, perché la Chiesa non può aiutare i poveri col denaro di chi li rende vittime. Ma è parte di questa situazione paradossale che viviamo nella Chiesa. Quindi è vero che ho ricevuto richiami dal vescovo, ma nei fatti finora mi ha permesso di lavorare. E quando sono stato minacciato, almeno dodici preti della diocesi, cioè un terzo del clero locale, hanno scritto lettere o celebrato Messe di solidarietà, e altrettanto hanno fatto comunità religiose e vescovi di altre diocesi.
D- Qual è attualmente la sua attività pastorale?
R- Reggo la parrocchia universitaria con l’aiuto di un vicario perché sto molto con la gente. Come diceva san Vincenzo de Porres, a volte bisogna «lasciare Dio per Dio», per cui non posso essere sempre dietro a una scrivania o sull’altare. Arrivo a celebrare i sacramenti sempre rientrando da una comunità, con le mani e i piedi sporchi. Inoltre il mio lavoro mi porta in tutto il Perù: molte comunità contadine e indigene nella foresta e sulla costa mi invitano a parlare, ad ascoltarle e incoraggiarle, per cui la mia attività pastorale va oltre quella di un parroco comune.
Il moltiplicarsi di progetti minerari sta suscitando proteste e opposizioni in molti Paesi latinoamericani, coinvolgendo spesso anche le diocesi.
D- Esiste in Perù una rete di movimenti, magari comprendente anche gruppi ecclesiali?
R- Quando ho cominciato a lavorare su questi temi negli anni Novanta ero relativamente solo, perché la Chiesa si preoccupava della giustizia sociale, ma senza collegarla alle questioni dell’ecologia. In questi vent’anni l’attenzione è cresciuta e sono sorti molti organismi pastorali: il vicariato apostolico di Jaén e l’arcidiocesi di Huancayo hanno una Vicaria dell’ambiente, mentre nell’arcidiocesi di Piura e nella diocesi di Chulucanas c’è la Vicaria della solidarietà e anche nella mia, nonostante la contrarietà dei due ultimi vescovi, un paio d’anni fa è stata creata la Vicaria della difesa della vita e dell’ambiente, su insistenza di parroci, religiose e laici. Credo quindi siano stati compiuti significativi passi in avanti. Inoltre in Perù esiste la Rete Muqui-Rete di proposta e azione (muqui in lingua quechua è lo spirito protettore delle Ande – ndr) cui aderiscono istituzioni nazionali e locali che promuovono lo sviluppo sostenibile e difendono le comunità nelle aree interessate dall’attività mineraria. Ne fanno parte organismi ecclesiali e ong. A livello continentale è cresciuto l’Osservatorio sui conflitti minerari dell’America Latina (Ocmal), che riunisce una quarantina di organizzazioni. Alcune di queste sono legate alla Chiesa, come la Conferenza dei religiosi e delle religiose del Cile (Conferre) o la diocesi di San Marcos, in Guatemala. A questi ambiti partecipiamo dando una testimonianza ecumenica. Io credo che queste reti siano nuovi spazi di evangelizzazione, dove non possiamo pretendere di avere il monopolio della verità, ma confluire con umiltà al servizio del Dio della vita. ?
Fonte: www.missionline.org
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