Promuovere e organizzare un seminario sulla diffusione della lingua italiana all’estero — Lombardi nel Mondo

Promuovere e organizzare un seminario sulla diffusione della lingua italiana all’estero

“La prima assemblea plenaria del CGIE si conclude con una giornata di lavoro del Comitato di Presidenza che decide la destinazione dei molti ordini del giorno approvati dai Consiglieri, quasi tutti all’unanimità. Di Silvana Mangione

MONTEVIDEO

Ogni tanto c’è un astenuto, uno solo, ma anche questo fa parte della democrazia, della libertà di esprimere i propri dubbi, del diritto di non condividere anche un solo particolare nei contenuti di un documento e quindi non sentirsi pronti a votarlo”. A farne il resoconto è Silvana Mangione, vicesegretario per i paesi anglofoni del Cgie, che firma questo articolo per “La gente d’Italia”, quotidiano delle Americhe diretto da Mimmo Porpiglia.

“La decisione più importante assunta dal CdP è stata quella di promuovere l’organizzazione di un seminario sulla diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero. Il seminario dovrà coinvolgere prima di tutto il Governo, perché gli ultimi tagli all’insegnamento dell’italiano hanno creato una vera emergenza, alla quale bisogna far fronte, ripensando l’intera strategia e la struttura dell’intervento, non soltanto finanziario, a supporto della nostra lingua, che deve essere intesa come lingua di cultura e di “business”, non soltanto come nostalgico legame con i discendenti degli emigrati.

Ce lo dissero i ragazzi alla Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo. Posti di fronte alla denominazione di un Gruppo di Lavoro: “Lingua e Cultura”, lo trasformarono immediatamente in “Lingua è Cultura” e il nostro eloquio è certamente portatore di grande cultura secolare e odierna.

Bisogna dunque assolutamente trovare otto milioni di Euro perché i poco più di sei milioni rimasti dopo i tagli non sono sufficienti a soddisfare le richieste che vengono da tutto il mondo. Bisogna studiare attentamente le politiche messe in essere dai Paesi europei (ad esempio Francia, Spagna, Germania e Portogallo) per difendere i propri idiomi e mantenerli vivi all’estero, con tutte le ricadute economiche che ricompensano lautamente i loro ingenti investimenti.

Si dovrà coinvolgere il Parlamento ai suoi più alti livelli, perché si tratta di ridefinire la politica linguistica dell’Italia fuori dai confini. Parlare per il quarantunesimo anno di seguito di riforma della benedetta/maledetta legge 153 del 1971 sarebbe uno spreco di tempo e di fiato. Quella legge nacque polverosa ed è diventata sempre più vecchia nei suoi scopi e nella sua missione. Non è più questione di insegnare l’italiano esclusivamente ai lavoratori emigrati e alle loro famiglie, ma di far imparare l’italiano a tutti coloro che lo desiderano, ivi compresi i lavoratori emigrati e le loro famiglie. Si deve fare sistema, anche con questo, si devono trovare tutti i possibili moltiplicatori dell’offerta, partendo però dall’inserimento dei corsi nelle scuole locali, pubbliche o private che siano.

I corsi impartiti gratis o a costo politico, ghettizzandone nazionalisticamente i fruitori, sono un retaggio del passato, da non perdere, ma da non privilegiare a scapito di quant’altro può fare molto di più a favore dell’Italia. Questo momento di incontro delle forze in gioco (Governo, Parlamento, CGIE, Università, Dante Alighieri – dovunque sia davvero – ed esperti di promozione dell’italiano come seconda lingua non vuole e non deve essere un “Montecatini II”, bensì un Seminario politico, che porti a sbocchi proiettati verso il futuro e magari anche alla creazione di un’Agenzia per l’Italofonia. L’Italia non ha avuto un impero paragonabile per estensione territoriale e durata nel tempo a quelli dei Paesi già citati e dell’Inghilterra che, pur non esistendo più sulla carta, hanno condizionato le lingue nazionali del globo. Il nostro “Commonwealth” non può che essere fatto di persone, di creatività e di idee.

L’unico Commonwealth che possiamo aspirare a costruire è quello della nostra lingua e speriamo che il seminario che stiamo ipotizzando ci riesca e non si trasformi nella solita inane passerella di discorsi, con un susseguirsi di relatori che depositano il tesoro dei loro pensieri al pubblico presente e se ne vanno senza ascoltare nessun altro. Continuando la disamina dei punti all’ordine del giorno, ai sensi di legge, il CdP ha dovuto stabilire le priorità di spesa a fronte di un contributo per il proprio funzionamento che è sceso molto al di sotto della metà delle prime assegnazioni inizialmente stabilite per legge. Si è dovuto tener conto della necessità di lasciare in cassa i fondi necessari a far riunire il CGIE rinnovato, speriamo entro novembre di quest’anno, in modo che possa insediarsi ed affrontare subito il nodo della finanziaria 2013. Non sono state ancora fissate le date delle riunioni, ma si cercherà di realizzare al più presto assemblee nazionali che usino i moderni meccanismi di collegamento a distanza, le conferenze telematiche, tutto ciò che consente di dibattere insieme, pur rimanendo nei propri luoghi di residenza. Si farà partire il questionario per il monitoraggio socio-sanitario, opportunamente adeguato alle leggi vigenti in materia di privacy, in tutti i Paesi nei quali sarà possibile farlo. Si insisterà affinché siano indette al più presto le elezioni dei Com.It.Es.: per quanto ci riguarda questa è l’altra emergenza urgente che colpisce la vita degli italiani all’estero nella struttura delle loro rappresentanze.

Ci vogliono sedici milioni di Euro per rinnovare gli organismi di base e quello di raccordo. Sulla carta ce ne sono sette: sei per i Com.It.Es. e uno per il CGIE. I partiti in Italia sembrano giunti ad un accordo trasversale sulla riforma del Parlamento. C’è chi dice che il contingente eletto all’estero scenderà da dodici alla Camera e sei al Senato a otto e quattro rispettivamente. C’è chi afferma che si è creata una larghissima maggioranza concorde sulla proposta di cancellare la circoscrizione estero tout court. A questo punto sarebbe bene avviare una riflessione molto  seria su quanto conviene alle

comunità all’estero: una rappresentanza parlamentare azzoppata con Com.It.Es. e CGIE deboli e sotto-finanziati oppure l’apertura dei partiti a candidare direttamente in Italia degli italiani residenti all’estero, che possano portare le loro esperienze all’interno delle due Camere (come è già successo in alcuni casi prestigiosi e validissimi) affiancando a loro un CGIE potenziato nei suoi poteri, compiti e funzioni, in costante contatto con la rete dei Com.It.Es. e delle associazioni?

Cosa giova di più sia a noi che all’Italia? Pensiamoci, davvero seriamente, e non facciamoci sviare dalle ricandidature o candidature in pectore dei soliti noti (o ignoti che siano). Stiamo vivendo una stagione di cambiamenti, provocati e condizionati dal mondo che cambia più rapidamente di noi. Non possiamo rimanere arroccati sulla realtà del passato. Sarebbe ridicolo fare le barricate per difendere l’esistente non più consono ai tempi che ci hanno sorpassato. Pensiamoci. Ma questa volta seriamente”.

Fonte: (aise)

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