Un’intervista a Patrizia Audenino e Maddalena Tirabassi — Lombardi nel Mondo

Un’intervista a Patrizia Audenino e Maddalena Tirabassi

In occasione dell’uscita del volume Migrazioni italiane. Storia e storie dall’Ancien régime a oggi, pubblichiamo l’intervista di Iperstoria alle due autrici, tra le massime studiose di emigrazione lombarda ed italiana.

Da tempo Patrizia Audenino e Maddalena Tirabassi sono fra i maggiori studiosi dell’emigrazione italiana. La prima ha partecipato al grande progetto della Fondazione Sella sull’emigrazione dal biellese, uno dei primi cantieri di taglio locale che ha permesso di enucleare importanti caratteristiche dei flussi del Piemonte (vedi Audenino P. et al., L’emigrazione dal biellese, Milano, Electa, 1988). Nell’ambito e poi a partire da questo progetto ha inoltre pubblicato Un mestiere per partire: tradizione migratoria, lavoro e comunità in una vallata alpina (Milano, Franco Angeli, 1990) e ha approfondito il versante piemontese (vedi assieme a Mauro Reginato, Carlo Corsini e Paola Corti, Emigrazione piemontese all’estero. Rassegna bibliografica, Torino, Regione Piemonte, 1999). Tirabassi ha esordito con Il faro di Beacon Street: social workers e immigrate negli Stati Uniti, 1910-1939 (Milano, Franco Angeli, 1990). Inoltre ha curato una serie di testimonianze otto-primo novecentesche da Sull’oceano di Edmondo de Amicis (Vibo Valentia, Monteleone, 1993) a Ripensare la patria grande. Amy Bernardy e le migrazioni italiane (Isernia, Cosmo Iannone, 2005). Infine è responsabile delle pubblicazioni della Fondazione Agnelli di Torino, ivi compresa la rivista “Altreitalie”, oggi interamente disponibile sul web.

Entrambe hanno lavorato a sistematizzare le nostre conoscenze sui flussi migratori. In particolare Audenino ha pubblicato assieme a Paola Corti L’emigrazione italiana (Milano, Fenice, 2000), primo tentativo di sintesi del percorso migratorio dalla Penisola. Tirabassi ha curato Itinera. Paradigmi delle migrazioni italiane (Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 2005), importante bilancio della discussione storiografica. Con il recente Migrazioni italiane. Storia e storie dall’Ancien régime a oggi (Milano, Bruno Mondadori, 2008) hanno fatto il punto sulla Penisola come crocevia: un luogo nel quale si parte sin dal Medioevo e si arriva e nel quale ci si muove. Hanno così offerto il quadro di una tendenza alla mobilità ben superiore a quanto normalmente ci si aspetti. Tenuto conto del valore innovativo del loro lavoro e di alcune scelte innovative operate dalle autrici, abbiamo preferito l’intervista a una recensione.

 

In primo luogo abbiamo dunque chiesto loro perché hanno optato per questo titolo che pone l’accento su storia e storie.

 

La scelta del plurale, ribadita dall’indicazione “storia e storie” intende sottolineare in primo luogo la molteplicità di fenomeni che vanno sotto il titolo di migrazioni italiane. Di volta in volta nel corso del tempo si affiancano e cambiano molti diversi protagonisti, si intrecciano sul territorio percorsi di breve, medio e lungo raggio, all’interno e fuori dalla penisola, si annoverano differenti progetti legati alla partenza, da quelli dell’esodo stagionale a quelli di durata pluriennale fino alle partenze definitive. Per questo motivo, per costruire una storia che intenda essere comprensiva delle molte forme che mobilità e migrazioni hanno assunto nella penisola italiana è stato necessario passare attraverso le molte storie diverse dei vari protagonisti. Alle storie degli emigranti stagionali e temporanei abbiamo dovuto affiancare quelle degli esuli politici, degli imprenditori, di quelle comunità che, pur vivendo da secoli fuori dalla penisola, in varie località del Mediterraneo, hanno continuato a riconoscersi e identificarsi nella cultura italiana e a fare talvolta da punto riferimento per arrivi successivi. Inoltre, la molteplicità planetaria delle destinazioni ha moltiplicato la differenza delle esperienze, sulla base delle diversità dei luoghi di partenza al momento dell’esodo, della pluralità di quelli di arrivo e della cronologia delle partenze. Sulla base di questa vicenda così frammentata non si può parlare di una storia, ma di molte narrazioni storiografiche. Per questo motivo, nel libro abbiamo tentato di tenere conto contemporaneamente dei numerosi racconti e delle analisi effettuate nelle società di arrivo sull’emigrazione italiana. Questa operazione infine è stata possibile oggi perché disponiamo ormai di una storiografia abbastanza matura da tentare operazioni di sintesi.

 

Quale è l’utilità di partire da lontano, cioè dal Medioevo, e di legare emigrazione e immigrazione?

 

Solo un approccio di lungo periodo permetteva di illustrare i caratteri strutturali della mobilità nella società italiana. Non solo i principali sistemi agricoli e le principali culture specializzate si sono basati per secoli sull’apporto insostituibile di lavoro migrante, ma la stessa società urbana e la formazione delle principali città, a cominciare dalla Firenze rinascimentale fino alla Roma dei papi, non sarebbero state possibili senza il continuo apporto di lavoratori arrivati da fuori, sia dal contado circostante, come per il lavoro domestico delle donne, sia da luoghi molto lontani per l’artigianato e i commerci. La dimensione del lungo periodo quindi restituisce il carattere fisiologico e consuetudinario della mobilità, sfatando definitivamente l’immagine della società preindustriale come sedentaria e quindi dell’emigrazione come elemento di crisi connesso all’industrializzazione e alla rottura della società “tradizionale”.

Il libro è volto anche a rendere l’attualità del discorso migratorio italiano. Gli italiani emigrano ancora oggi per almeno cinquantamila unità all’anno, controbilanciate da altrettanti rimpatri. Nel 2004 le cancellazioni anagrafiche per l’estero sono state 64.849 con Lombardia e Sicilia in testa nella graduatoria regionale.

Siamo inoltre in presenza di fenomeni di nuove mobilità: tra il 1996 e il 2002 ogni anno 3.300 laureati hanno lasciato l’Italia; erano 39.013 a dicembre 2001 e sono diventati 59.756 nel 2005. A queste partenze si affiancano le migrazioni “di ritorno” che hanno per protagonisti prevalentemente italolatinoamericani. Se poi esuliamo dalla prospettiva italocentrica, le seconde generazioni presentano ancora problemi e sono inserite nella casistica immigratoria di molti paesi europei: dalla Svizzera, alla Germania, al Belgio, anche gli italiani fanno quindi parte dei fenomeni migratori della seconda globalizzazione.

 

È possibile trarre qualche indicazione dal passato e utilizzare la storia delle migrazioni per comprendere quanto avviene oggi?

 

Ancora una volta la cronologia della lunga durata e la dimensione planetaria delle destinazioni ci sono di aiuto. Nella vicenda plurisecolare delle migrazioni italiane i fenomeni di rigetto, discriminazione e criminalizzazione dei migranti sono stati sperimentati dolorosamente, così come quelli dello sfruttamento, della precarietà e dello spaesamento. I fenomeni contemporanei di diffusa inquietudine e di senso di insicurezza prodotti dall’arrivo e dalla crescita esponenziale della presenza di stranieri non sono quindi un fatto inedito: essi sono già stati sperimentati in altri tempi e in altri luoghi proprio nei confronti degli italiani. Tuttavia questo non basterebbe.

L’ottica della complessità adottata nel volume ci serve a non banalizzare i parallelismi pur individuando i tratti comuni ai fenomeni migratori del passato e del presente: le traversie del viaggio, l’inserimento scolastico, la gestione dei clandestini, i ghetti, le little italy, le banlieue, la questione delle seconde generazioni, i conflitti intergenerazionali nelle famiglie immigrate, le dinamiche dell’integrazione in generale, le politiche statuali sia dei paesi di emigrazione che di quelli di immigrazione, la questione della cittadinanza, sono tutti temi che ricorrono sia nello studio delle migrazioni italiane che nel dibattito attuale sulle migrazioni.

 

10 Agosto 2008

http://www.iperstoria.it/?p=133

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