Società innovative, è boom. In università si fa impresa — Lombardi nel Mondo
Società innovative, è boom. In università si fa impresa
Avere un’idea, e riuscire a trasformarla in un progetto di ricerca capace di diventare un prodotto per il mercato. Con un partner che ci mette strutture, sostegno e un buon biglietto da visita. Sono gli spin off: società che si appoggiano all’ateneo. Otto anni fa a Pavia c’era un solo spin off, oggi in totale ce ne sono venti. E solo nel 2012 sono dieci quelli di nuova formazione. Ci sono società nel campo biomedico e chi si occupa di beni culturali. Quello dello scorso anno è un boom: se il lavoro non c’è si può costruirlo. «Purtroppo si parla tanto di crisi dell’università, ma la vera crisi è quella della società italiana che si sta deindustrializzando – spiega Rino Cella, docente delegato al trasferimento tecnologico – Quando gli studenti formati in Italia vanno all’estero si fanno onore, quindi non è un problema di formazione». L’idea di poter costruire società proprio a partire dalle esperienze universitarie può essere una soluzione? «L’università italiana è all’avanguardia nella ricerca a fronte di un numero ridotto di ricercatori e di risorse – dice Cella – E’ una vergogna la quantità di soldi destinati ai progetti Prin dal ministero per l’area “scienze della vita”: 15 milioni per tutte le università italiane. A fronte di 14 milioni che sono le spese del consiglio regionale del Lazio». In un contesto nazionale complicato Pavia sta tentando la strada delle imprese innovative. «Per la situazione pavese con una deindustrializzazione pesante si riesce a fare imprese innovative gratificando le persone formate in ateneo», aggiunge Cella. E con questo spirito sono nati i venti spin off pavesi. Arkedos, per esempio, si occupa di servizi per il recupero di beni culturali. «Ha preso spunto dalle nostre ricerche universitarie – spiegano Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi, docente dell’ateneo – Gli spin off possono essere un’opportunità per poter riversare le proprie competenze». La Julight ha iniziato con un capitale di 20mila euro, che ancora non è stato recuperato. Un investimento con l’obiettivo, raggiunto, di pagare almeno i giovani ricercatori. Il prodotto di punta è un vibrometro laser. «Misuriamo le vibrazioni degli oggetti senza toccarli – spiega Guido Giuliani docente universitario che lanciato il progetto – ci sono diverse applicazioni: dalle vibrazioni del motore in un’auto al battito cardiaco, agli strumenti musicali». Un’idea che funziona? «Siamo nella fase di star up – dice Giuliani – iniziamo a vendere i prodotti però sono ancora di più i soldi messi nel progetto che quelli guadagnati. L’aspetto importante è che ci siamo accorti che servono anche competenze di management. Diciamo che, senza scomodare Steve Jobs, è importante realizzare i propri sogni».
fonte: la provincia pavese
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