1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero, prete. — Lombardi nel Mondo

1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero, prete.

In questi primi giorni di marzo si è avviato presso il Tribunale di Mantova un procedimento per un processo intentato da 44 IMI, ex schiavi di Hitler, che chiedono un risarcimento per i due anni da schiavizzati trascorsi nelle fabbriche e miniere naziste. Diamo il via a una breve serie documentaria su questa ancora oscura pagina di storia e Resistenza (foto: la tomba comune dove riposano più di 50 IMI a Hagen).

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Il pretino Giuseppe Barbero, nelle fotografie degli anni 1943-1945, ci appare fragile, gli occhi scuri dallo sguardo intenso. Fu vestito d‘alpino e lo mandarono in Grecia. L‘armistizio dell‘8 settembre del “43 lo sorprende a Parga. Con questa data si apre il suo diario, testimonianza di fede e pietà incrollabili. La fiducia nell‘uomo, durante la sua odissea, sembra più svolte svanire.

L‘8 settembre del 1943 inizia la lunga marcia. Grecia, Albania, sino ai confini di Bulgaria e Ungheria. Assiste impotente alle rappresaglie contro i partigiani. Marce continue. E tanta fame che lo costringe a rubare dell‘uva. Sono acini che gli ricordano la vigna del padre.

Poi chiuso in un vagone. Feriti, fetore, urina, escrementi. Il 16 ottobre 1943, al confine austriaco, lo aspetta un pane per 42 persone. Poi riprende il viaggio. Ratisbona, Norimberga, Francoforte, Colonia, Düsseldorf, Duisburg, Hamm, Rheine, Meppen. Il 19 ottobre capisce d‘essere finito nel girone dei dannati. Gelidità e fame. Incontra anche i volontari e li giudica per quel che sono. Conosce gli ufficiali che aderiscono al Partito Fascista, creando divisioni tra gli internati militari. Il 25 novembre 1943 tre pezzi di pane vengono tirati a sorte. Come lui 600.000 altri internati italiani, schiavi del Terzo Impero. 600.000 soldati che hanno deposto le armi e nulla più vogliono sapere della guerra.

L‘8 dicembre, con altri 7 cappellani, parte per Dortmund. Nevica.

Nella zona di Dortmund opererà sino al 7 maggio del 1945. Sino alla pace. Qui vivrà tutta la crudeltà e la violenza degli ultimi sedici mesi del conflitto. Egli si muoverà tra i Lager che recludono gli internati militari italiani (e lavoratori coatti) di Dortmund, Hagen, Bochum, Recklinghausen, Iserlohn e Witten. Con loro russi, polacchi, olandesi, francesi… Nei primi mesi del 1945 il suo raggio d‘azione si estenderà sino a Lippstadt, Soest, Castrop-Rauxel, Gelsenkirchen e la provincia di Ennepe. Un pianeta che, il 7 maggio del 1945, appare come un‘immensa maceria.

Leggendo la lista dei quasi 400 internati militari italiani, assistiti nel trapasso dal pretino centallese, si comprende la sua passio dolorosa e intensa. Egli assiste morti di fame e di freddo, chi crepa per le percosse, le ferite, chi è consumato dalla polmonite, tubercolosi e meningite. Sono scheletri. Nudi e tremanti. Un giorno 4 morti. 20 sepolture in una settimana. Altri 3 stanno rantolando tra i pidocchi. La settimana a metà del maggio del 1944 sotterra 32 vittime: una croce di legno, una preghiera e una nota nel suo diario con l‘indirizzo dei familiari. Gli scriverà una toccante lettera, la cui minuta è arrivata sino a noi. E poi i bombardamenti. I caccia alleati arrivano improvvisi. I bombardieri scaricano bombe di notte e di giorno. A volte, sulla Ruhr, ne scagliano 200.000 in poche ore. Mitragliano. La città e la regione sono in fiamme, anche i Lager. I prigionieri si buttano nelle buche. Brandelli di corpi penzolano dai reticolati. Il 10 marzo del 1945 esce dal suo cuore l‘invocazione tanto tempo soffocata: Nelle tue mani o Signore raccomando l‘anima mia!

La pace scoppia il 7 maggio del 1945. Una fotografia ritrae lo sfinimento del pretino centallese. La giacca mal abbottonata. Quattro ragazzini gli siedono davanti. Il suo volto non è rasato. Il corpo magrissimo. Lo sguardo lontano, forse a ricercare la corona delle Alpi che protegge la sua terra.

Il don Barbero che esce dalla brutalità di questa esperienza è compreso nel finale delle sue memorie, pubblicate nel Natale del 1945: …siam tornati con idee ben chiare e con propositi ben saldi… Abbiamo compreso che [l‘Italia]… non deve essere governata da un regime totalitario o settario, ma da un governo veramente democratico, che rispetti tutte le aspirazioni e le libertà di un popolo, non escluso il libero esercizio del culto. Egli sembra anticipare il dettato della nostra Costituzione. Nella sua opera si rintracciano elementi che vent‘anni più tardi don Lorenzo Milani, nell‘occasione offertagli dai Cappellani Militari Toscani, griderà con la sua tipica dirompenza ed esplosività: …Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l‘errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

L‘opera di don Barbero, tradotta in tedesco grazie all‘impegno della Gesamtschule F. Steinhoff e alla pazienza di Marianne Hahn, è un‘importante testimonianza della barbarie nazionalsocialista e fascista.

Una scuola di Hagen ha avuto il coraggio di recuperare la memoria di un Paese divenuto Lager e di onorare, nel marzo 2001 con le giornate dedicate ai testimoni italiani, i milioni di lavoratori coatti e internati che, con i deportati e chi scelse la Resistenza armata, si opposero alla barbarie nazionalsocialista.

seconda puntata (Luigi Rossi, Bochum)

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martedì 28 Gennaio, 2020