1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero prete – quinta parte — Lombardi nel Mondo

1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero prete – quinta parte

In questi primi giorni di marzo si è avviato presso il Tribunale di Mantova un procedimento per un processo intentato da 44 IMI, ex schiavi di Hitler, che chiedono un risarcimento per i due anni da schiavizzati trascorsi nelle fabbriche e miniere naziste. Diamo il via a una breve serie documentaria su questa ancora oscura pagina di storia e Resistenza (foto: la tomba comune dove riposano più di 50 IMI a Hagen).

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Il cappellano militare Giuseppe Barbero ci ha lasciato un toccante memoriale sulla prigionia degli IMI nel Bacino della Ruhr. Ne offriamo alcuni estratti.

 

I medici potevano scrivere le diagnosi della morte: pleurite, t.b.c., polmonite, diarrea, nefrite, ecc.; ma non potevano scrivere la vera diagnosi: morto di fame e maltrattamenti. Ho potuto salvare e portare a casa tre quaderni pieni di indirizzi di morti. Sono circa cinquecento. Chi vuole avere una conferma di quanto scrivo, vada a visitare il cimitero principale di Dortmund, dove riposano le salme di ben 730 Italiani. Ogni mese poi vi era il trasporto di centinaia di malati inguaribili e tubercolotici, che andavano a morire in altri campi di concentramento.

La Croce Rossa di Ginevra era al corrente della terribile situazione degli Italiani. Più volte feci pressioni per inviare anche a noi pacchi di viveri e vestiario. Inviò anzi un vagone di pacchi a Berlino, da distribuirsi fra gli Italiani. Il governo fascista e nazista li rimandò indietro, dicendo che noi non eravamo prigionieri, ma internati di una nazione ex-amica, e che a noi pensavano essi stessi.

Nessuno vidi morire con un senso di disperazione nell‘animo. Il dolore li aveva purificati, avvicinati a Dio. Erano rassegnati, alcuni anzi contenti di morire; oramai per loro la morte non segnava che la fine delle sofferenze, e l‘inizio di una grande gloria in Cielo.

Chi lasciò in me un ricordo più profondo ancora, e direi quasi un senso di venerazione, fu un certo Cardini Danilo di Firenze… giaceva sul suo tavolaccio, scheletrito, con la febbre che lo divorava. Non voleva mai che mi allontanassi dal suo capezzale. „La morte non mi fa paura,“ mi diceva sovente, e voleva che gli parlassi della morte, dell‘immortalità dell‘anima, del Paradiso, della bontà di Dio… volle dettarmi il suo testamento spirituale. Sono parole di un moribondo, che vede chiaro in Dio, e vanno meditate. Si rivolge alla sposa e ai genitori:

„Cara Valentina. – Questo è il testamento spirituale che io ti lascio, perché voglio che quell‘umile fiamma di amore, che ci ha legati non venga offuscata dal tempo. Voglio che tu conservi di me un buon ricordo. Valentina, se dopo la guerra è possibile riavere le salme dei prigionieri, fai ogni sforzo, ma non farmi dormire fra gente straniera, almeno avrò il conforto di una lacrima e di un fiore. Ti bacio, e chiedo perdono a tutti, se per caso qualche volta avessi mancato. A babbo e mamma rivolgo il pensiero e l‘anima. Spero nell‘immensa bontà divina che mi perdoni, perché se ho molto peccato, ho tanto sofferto. Iddio ama coloro che soffrono.“

Ben sei medici dipendenti dal nostro Stammlager più non ritornarono in Italia.

In quel medesimo giorno già avevo assistito e pianto su tre altri Italiani morti. Il martedì di Pasqua un Italiano, spinto dalla fame, dopo essere stato più di un‘ora in agguato per cogliere il momento buono, tentò attraversare un reticolato interno. Voleva andare nel campo dei Francesi, dove certo avrebbe trovato di che sfamarsi. Lo vide la sentinella tedesca e gli sparò. Non lo uccise; ferito alla spalla potè ancora guarire. Non fui presente al fatto; mi trovavo al cimitero, dove feci 7 sepolture.

23 cappellani disimpegnavano la loro missione nei 170 campi di lavoro italiani, dipendenti dal nostro Stammlager VI D di Dortmund.

In quasi tutti i campi di lavoro vi era pure un medico italiano. Erano assai stimati per la loro scienza medica dai Tedeschi stessi; la loro opera serviva ai fini tedeschi, e perciò poterono restare con i soldati passati civili. Alcuni soltanto, i più sospetti di propaganda antitedesca, furono rinviati negli Offlager…

 

I Russi

Se triste era la condizione degli Italiani, immensamente più triste e dolorosa quella dei Russi. I morti Italiani si contano a migliaia; i morti Russi ascendono a qualche milione. Alcune volte riuscii a penetrare di nascosto nella loro infermeria. Ogni più macabra descrizione non corrisponderebbe a realtà. Facevo baciare ai moribondi il Crocifisso, e davo assoluzioni in articulo mortis. Nel nostro Stammlager i Russi ebbero più di 8000 morti.

Più volte alla settimana, partiva un carro tirato da due cavalli, carico di cadaveri russi. Erano tutti senza cassa, sistemati su quel carro come pezzi di legno, mentre gambe e braccia cadevano penzoloni da ogni sponda; non di rado cadaveri cascavano a terra e venivano smarriti lungo il tragitto. Giunti al cimitero, due incaricati si mettevano la maschera, col tridente tiravano giù quei cadaveri oramai in decomposizione, col tridente li gettavano nella fossa comune… Gli Italiani invece furono quasi sempre sepolti con propria cassa e fossa individuale.

I Tedeschi nutrivano verso i Russi un odio feroce, un disprezzo senza ritegno, e i maltrattamenti inflitti a questi poveri disgraziati erano veramente raccapriccianti…

Il 29 maggio 1944, un Russo tenta attraversare un reticolato interno per andare nel campo francese, onde raccogliere pezzi di pane, bucce di patate. Lo sorprende la sentinella, gli spara e l‘uccide. Erano le 16. La medesima sentinella rimonta di guardia alle 21. Spara contro un altro Russo a 5 metri di distanza e lo uccide…

Un Russo è stato talmente bastonato che ha perso i sensi, cascando a terra. Buche di bombe non mancano: due pedate e il Russo rotola in una di queste. Un Italiano, certo L. di Murazzo (Cuneo), è comandato a ricoprirlo di terra. Alle prime badilate riacquista i sensi quel martoriato, si agita nella buca, e l‘Italiano certo non ha cuore a continuare… L‘Italiano protesta, e allora… si commuove il Tedesco: estrae la pistola, e due colpi sfracellano il capo del povero Russo.

Ad Hagen un poliziotto conduce la sua vittima torturata al lavoro: è un crociato russo, uno dei prigionieri segnati nella schiena con una croce; doveva lavorare e soffrire vessazioni di ogni genere fino a tanto che non moriva. Proveniva da un campo di eliminazione.

Arrivano i picchiatelli nemici, ma deve continuare a lavorare. Mitragliano a bassa quota, e il poliziotto vien quasi tagliato a pezzi da scariche di mitra. Il crociato russo, in delirio di trionfo, e assetato di vendetta più feroce ancora, prende un pezzo di carne sanguinolenta del poliziotto ucciso e lo addenta feroce. Lo scorge un altro Tedesco e lo fredda sul posto.

Una domanda mi sono sentito fare decine di volte:

„Erano anche bombardati i campi dei prigionieri?“

Sarebbe certo errato rispondere che questi campi costituivano un obbiettivo militare. Ma quando erano vicini a obbiettivi militari le bombe non li risparmiavano.

Notte dal 22 al 23 maggio (1944): l‘una dopo la mezzanotte. Suona il preallarme e poi l‘allarme. Non mi alzo sperando nulla abbia a capitare. Ma tosto sento gridare: „Hanno gettato i razzi. Hanno gettato i razzi.“ In un baleno sono vestito e sono fuori della baracca. Contemplo per un istante il terrificante spettacolo: tutto è illuminato a rosso; bombe che cascano e scoppiano; incendi qua e là; sibili di bombe. Mi getto nel paraschegge…

Quale spettacolo si offre ai nostri occhi, uscendo dal paraschegge! Una parte della città in fiamme; tutte le nostre baracche o a terra o incendiate; il velodromo intatto. Ci invade quasi un senso di disperazione. Se non l‘hanno colpito, gli Inglesi certamente ritorneranno. Ma dieci minuti dopo, grida di gioia erompono dai nostri petti. Il velodromo era stato colpito da uno spezzone incendiario, e spuntavano le prime fiamme. Bruciò tutta la notte, riscaldando noi poveri prigionieri, senza casa, ma contenti in cuore di aver salva la vita.

sesta puntata (Luigi Rossi, Bochum)

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martedì 28 Gennaio, 2020