Nuova Zelanda, 12 Nazioni siglano accordo sul libero scambio — Lombardi nel Mondo

Nuova Zelanda, 12 Nazioni siglano accordo sul libero scambio

Nuova Zelanda – Gli Stati Uniti e altri undici Paesi dell’area Pacifico hanno firmato a Wellington il Trans-Pacific Partnership (Tpp), il più importante tra gli accordi sul libero scambio.

I Paesi coinvolti rappresentano il 40% della produzione economica mondiale. Le trattative con l’Europa, invece, sono alquanto complicate e non d’immediata risoluzione.

L’accordo intende abolire barriere commerciali e stabilire regole comuni in materia di tutela dei lavoratori, dell’ambiente, della regolamentazione e del commercio online in quei Paesi che coprono il 40% della produzione mondiale: Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Messico, Perù, Cile, Vietnam, Singapore, Brunei e Malesia.

L’accordo commerciale, di grande rilevanza e vasta portata sul piano della liberalizzazione degli scambi non solo commerciali , pone l’area del Pacifico al centro dell’attenzione mondiale, soprattutto per i traguardi che gli Stati Uniti d’America si prefiggono di conseguire con gli altri Paesi firmatari: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.

Il PTT, potenzialmente, potrebbe determinare regole e normative comuni per circa il 40% dell’economia mondiale e influenzare numerosi altri settori: industriale, caseario, medico, agricolo, zootecnico e delle risorse umane).

Con perfetta scadenza temporale, ad aprile e in vigore dal giugno 2015, gli USA avevano varato il Bipartisan Congressional Trade Priorities and Accountability Act of 2015. L’Atto, stabilisce una serie di regole interne e tempistiche che Governo e Congresso statunitensi dovranno affrontare in vista della ratifica degli accordi commerciali internazionali.

 

Grande soddisfazione è stata espressa dal presidente Obama che a margine dell’accordo ha commentato: “Ho passato ogni giorno della mia presidenza a combattere per far crescere la nostra economia e rafforzare la classe media. In un momento in cui il 95% dei nostri clienti vivono fuori dai confini degli Stati Uniti, non possiamo far scrivere a Paesi come la Cina le regole dell’economia globale. Dobbiamo scrivere queste regole, aprendo nuovi mercati ai prodotti americani e allo stesso tempo fissare alti standard per proteggere i lavoratori e conservare il nostro mercato”.

La chiusura del negoziato è un passo fondamentale verso la costruzione di un’ampia area di libero scambio d’importanza globale che metterà insieme il 63% del Pil mondiale.

L’accelerazione impressa al TPP, contrasta però con il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) che invece procede al rilento.

Il TTIP, inizialmente definito “Zona di libero scambio transatlantica” è un accordo commerciale tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, in corso di negoziato fin dal 2013. Questo Accordo prevede l’integrazione dei due mercati, USA – UE, al fine di ridurre i dazi doganali e rimuovere gli ostacoli ancora presenti in regolamenti tecnici, norme, procedure di omologazione, standard applicati ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie. La libera circolazione delle merci, darebbe poi spinta al flusso degli investimenti e dell’accesso anche ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici.

Se il progetto andrà in porto, sarà creata la più grande area di libero scambio esistente, dal momento che UE e USA rappresentano il 50% circa del PIL mondiale e 1/3 del commercio globale. L’accordo potrebbe essere esteso ad altri Paesi con cui le due controparti hanno già in vigore accordi di libero scambio.

Nel frattempo, il mondo scende in piazza contro l’accordo Ttip di libero scambio tra Ue e Usa e sono molte le manifestazioni e le proteste che si tengono in molte capitali e città, dalla Nuova Zelanda al Sud America, per protestare contro l’intesa e per dire no al Ttip. In Germania sono in programma 200 manifestazioni e almeno una cinquantina previste in Italia, perché, a buona ragione dei contestatori, l’accordo commerciale di libero scambio porterebbe risvolti negativi sul fronte del lavoro-occupazione e un calo del 30-40% di scambi di prodotti a danno soprattutto delle Pmi. (l’area geografica interessata coinvolgerebbe oltre 800 milioni di persone).

Un Trattato che fa paura perché se fosse approvato, denuncia il Movimente 5 Stelle, andrebbero persi 1,3 milioni di posti di lavoro e si verificherebbe un calo del 30-40% di scambi di prodotti a danno sopratutto per il mondo delle Pmi. Eppure l’Italia spinge per la firma: “Il 2015 – ha detto il premier Matteo Renzi – deve essere l’anno della svolta, non solo perché sappiamo che col Ttip l’Italia ha tutto da guadagnare sotto il profilo economico ma soprattutto perché mentre gli Usa concludono accordi con la Cina e altri attori, noi, che con gli Usa abbiamo una collaborazione storica forte, non possiamo non fare altrettanto”.

Passate le proteste, i negoziatori torneranno a incontrarsi per un ulteriore piccolo passo verso un accordo. Sul work-desk saranno tutte le aree toccate dalle trattative (dalle auto ai farmaci ai dispositivi medici) con eccezione di servizi e sviluppo sostenibile.

Di Maurizio Pavani (mauripress@live.it)

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lunedì 27 Gennaio, 2020