L’emigrazione valtellinese in Australia (1860-1960) nelle lettere degli emigranti – seconda parte: l’aspetto storico — Lombardi nel Mondo

L’emigrazione valtellinese in Australia (1860-1960) nelle lettere degli emigranti – seconda parte: l’aspetto storico

In questo capitolo presentiamo una analisi della situazione della Valtellina nel periodo in cui si genero’ la spinta migratoria verso il continente australiano, per poter meglio comprendere le ragioni che spinsero tante persone a decidere di lasciare la propria terra

La Valtellina e’ la piu estesa delle due valli principali della provincia di Sondrio, la piu settentrionale della Lombardia. Valle lunga, chiusa ed elevata, si estende per circa cento chilometri dalla Svizzera al lago di Como. Il terreno e’ per la maggior parte inospitale, con i suoi scoscesi pendii rocciosi e con la stretta pianura che si presta alle alluvioni, e la zona e’ soggetta ad improvvisi smottamenti, fenomeno che fu aggravato dal disboscamento conseguente all’alienazione delle antiche foreste comunitarie. Soprattutto nel XIX secolo, la Valtellina era una regione caratterizzata da un’endemica poverta’ rurale. La cattiva qualita’ del terreno lasciava uno scarso margine economico e la zona era quasi esclusivamente agricola. Praticamente vi regnava la monocoltura, essendo l’economia della regione basata sulla coltivazione della vite. I vigneti erano in genere coltivati da piccoli proprietari terrieri : era la classe sociale piu povera ed affaticata della provincia, perche’ la coltivazione dei vigneti era molto faticosa ed estremamente costosa. Il vigneto era in grado si sostentare il coltivatore e la sua famiglia solo per meta’ dell’anno. Essi sopravvivevano grazie a regolari migrazioni, stagionali o temporanee, verso altre zona d’Italia o la Svizzera, la Francia o piu lontano ancora, allo scopo di guadagnare denaro contante che permettesse loro di pagare i debiti, mantenere la famiglia ed acquistare nuovi terreni. Benche’ stesse assumendo proporzioni senza precedenti, nel XIX secolo l’emigrazione non rappresentava quindi un fenomeno del tutto nuovo, bensi uno molto vecchio. Le grandi emigrazioni di quegli anni furono interpretate come abbandono di massa della terra da parte di sventurati messi ai margini di societa’ improvvisamente turbate dalle esplosioni demografiche e dall’impatto con il capitalismo industriale. Ma mentre indubbiamente il capitalismo introduceva dei cambiamenti, il suo impatto in Europa fu avvertito in modo non uniforme, interessando luoghi diversi in momenti diversi e non fu improvviso e sconvolgente, di natura tale da scatenare fughe alla cieca da societa’ immobili. L’emigrazione non avveniva in modo casuale nelle regioni interessate, ma si verificava solo in determinati loghi e coloro che partivano non lo facevano ciecamente, o da soli, ma viaggiavano seguendo dei “fili invisibili” tracciati da parenti ed amici, dirigendosi verso mete ben specifiche. In genere l’emigrazione era temporanea, intrapresa allo scopo di guadagnare denaro contante per acquistare nuovi terreni nel paese d’origine o mantenere la famiglia. La Valtellina, dove le migrazioni stagionali e temporanee erano da tempo scolpite nei modelli di vita, era un caso tipico. Le emigrazioni in Australia (come quelle in America) furono un’estensione di quelle temporanee migrazioni dei braccianti, da tempo intraprese verso paesi piu vicini. Sebbene l’Argentina o gli Stati Uniti superassero in popolarita’ l’Australia quali destinazioni degli emigranti della provincia di Sondrio, la Valtellina divenne una zona spiccatamente “australiana”. Presa da sola, fu per lungo tempo la fonte principale che alimento’ l’immigrazione italiana in Australia. Allora l’Australia rappresentava una scelta non comune. Persino dalla Valchiavenna, la valle gemella della Valtellina l’emigrazione transoceanica punto’ decisamente sull’America. Non si trattava, chiaramente, del risultato di una fuga ad occhi chiusi, poiche’ la gente raramente emigra alla cieca, ma agisce sulla base di informazioni. La preferenza per l’Australia non poteva neppure essere attribuita a politiche governative in materia di immigrazione: le emigrazioni italiane erano non organizzate, cioe’ indipendenti dal governo e anzi spesso in aperta sfida con esso. Per molto tempo l’emigrazione transoceanica fu temuta ed osteggiata in quanto destabilizzante, poiche’ sottraeva i cittadini piu robusti, specialmente gli uomini soggetti agli obblighi militari e riduceva la base del bracciantato. Dato che quindi nelle loro odissee transoceaniche gli italiani facevano affidamento sugli “invisibili legami” della parentela e dei paesani, piuttosto che sul governo, il loro movimento fu denominato migrazioni “a catena”. Inizialmente il numero di quanti raggiunsero l’Australia fu esiguo: prima del 1880 soltanto poche centinaia di valtellinesi. Negli ultimi due decenni del XIX secolo ne arrivarono circa duemila, attratti dalle regioni aurifere, fino al Queensland e all’Australia occidentale, per poi proseguire allo stesso modo all’inizio del XX secolo. Per approfondire meglio la storia di queste emigrazioni e le esperienze di queste persone, per capire fino in fondo perche’ gli abitanti della Valtellina scelsero proprio l’Australia, prenderemo spunto dalle ricerche svolte da Jacqueline Templeton non solo sui resoconti, sulle indagini, sui registri di allora, ma anche sulle corrispondenze (scambi di lettere) tenute con le famiglie, che ci permetteranno di capire piu a fondo gli stati d’animo, le speranze, le paure di questi uomini e queste donne.   

 

Fonte: Jacqueline Templeton, “Dalle Montagne al Bush. L’emigrazione valtellinese in Australia (1860 – 1960) nelle lettere degli emigranti, Museo Etnografico Tiranese, 2001

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