Le elezioni americane e il voto ebraico — Lombardi nel Mondo

Le elezioni americane e il voto ebraico

Il voto ebraico sarà come sempre corteggiato sia dai democratici sia dai repubblicani, ma con le dovute cautele, anche stavolta, dovrebbe prevalere la preferenza nei confronti dell’asinello.

A ogni elezione presidenziale il voto ebraico, e quello etnico in generale, assumono un ruolo importante nella scelta del candidato. Una valutazione giudicata da alcuni esagerata, ma temuta da altri per diversi motivi. Gli ebrei sono molto attivi in politica sia come elettori sia come finanziatori e molto numerosi in alcuni stati chiave.

Ad esempio, nello stato di New York rappresentano oltre l’8% della popolazione, e quasi il 6 % nel New Jersey, mentre negli stati limitrofi del Maryland, Massachusetts, Connecticut e Pennsylvania la percentuale varia tra il 3-5%. La Florida e l’Arizona hanno pure una buona percentuale, rispettivamente  3.4% e 1.7% composta soprattutto da pensionati e pendolari di New York e Los Angeles o San Francisco. Poco presenti nel Midwest a parte Illinois e Ohio, gli ebrei della  California superano il 3%.

Queste percentuali ammontano al 2.1% della popolazione americana calcolata su 308 milioni di persone,  ovvero a una popolazione collegata con l’ebraismo di 6.5 milioni di persone, un numero non disprezzabile, soprattutto in funzione dell’importanza annessa agli stati in cui vivono.

Romney sembra curarsi poco del voto ebraico, chiaramente non compatto, ma che storicamente ha sempre dato la propria preferenza al partito democratico. Risalendo alle elezioni presidenziali del 1928 e fino ai giorni nostri, i repubblicani sono sempre stati perdenti. Smith nel 1928, Roosevelt nelle sue quattro tornate elettorali e Truman nel 1948 ebbero tra il 70-90 percento del voto ebraico. Stevenson nel 1952 e nel 1954 ottenne oltre il 64%, mentre Kennedy ebbe l’82%. Johnson fu preferito a Goldwater con il 90% mentre Humphrey totalizzò l’81%. Nel 1972 McGovern ebbe il 65% dei voti mentre Carter nel 1976 ottenne il 71% che precipitò, però,  nel 1980 al 45% anche per la presenza di Anderson con il 15%.

La preferenza verso i democratici continuò con Mondale  e Dukakis nel 1984 e 1988 che si arrestarono intorno al 60%.  Da allora i democratici hanno avuto il voto ebraico con percentuali varianti tra il 76-80 percento sia per Clinton che per Gore e Kerry mentre Obama nel 2008 ebbe il 78% dei suffragi contro il 22% di McCain.

Tanti numeri per ribadire che il voto ebraico può essere determinante soprattutto nei”Swing States” – stati altalenanti,  quando anche le piccole percentuali possono cambiare il risultato finale.

La storica fedeltà ebraica al partito democratico è dovuta a molti fattori tra cui  il grande interesse per il bene sociale risalente, ad esempio, al forte attivismo sindacale e progressista che li ha visti da sempre in prima linea nelle lotte contro l’establishment conservatore. Le percentuali degli ebrei favorevoli all’aborto e ai diritti degli omosessuali sono intorno al 90%.

Negli anni sessanta gli ebrei che hanno dominato la scena delle battaglie per i diritti civili ( Il film “Mississippi Burning” descrive un episodio esemplare)  furono sempre appoggiati dal partito democratico.

Gli ebrei non sopportano il fondamentalismo oscurantista della destra religiosa sostenuta dai repubblicana e di conseguenza non li votano.

Infine si deve anche rilevare che soltanto un 10-15% degli ebrei frequenta un luogo di culto ebraico, fatto che li rende molto laici e di tendenza liberal, quasi automaticamente avversi ai repubblicani.

Tutto questo nonostante gli ebrei costituiscano una base elettorale prevalentemente ricca tanto quanto quella storica che vuole conservare la propria base economica, ma che continua a essere troppo conservatrice per affiancarsi a un elettorato troppo diverso dal loro modo di vedere e pensare.

Probabilmente la situazione è un po’ più complicata ma di fatto il voto ebraico, o ciò che viene generalmente ritenuto tale, non ne vuole sapere dei repubblicani da almeno un secolo.

Questo è il problema in più di Romney, in attesa di analizzare il peso degli elettori di grandi gruppi etnici che sono integrati come gli ebrei ma sono americani atipici.

Ernesto Milani

Ernesto.milani@gmail.com

15 agosto 2012

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