La paracadutista partigiana Paola cittadina onoraria di Poggio Rusco — Lombardi nel Mondo
La paracadutista partigiana Paola cittadina onoraria di Poggio Rusco
A Dragoncello di Poggio Rusco all’Ara dei Caduti e a Ca’ Bruciata oggi viene ricordata l’epopea dell’Operazione Herring onorandone i 31 caduti, ma anche rendendo omaggio a tutti i paracadutisti d’Italia. È anche il 67° anniversario della Liberazione. Paola del Din, 89 anni, friulana, partigiana, agente segreto e prima paracadutista donna reduce del secondo conflitto e premiata con Medaglia d’Oro al Valor Militare, ieri sera ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Poggio Rusco. È l’occasione per sottolineare il contributo dell’arma, del corpo, della specialità paracadutista nel contesto della Guerra di Liberazione. Possiamo intanto individuare tre apporti del paracadutismo alla causa della lotta contro l’occupante straniero: Primo. L’invio da parte degli angloamericani delle cosiddette “missioni militari” in appoggio alle formazioni partigiane. Erano organizzate dal SOE britannico (Special Operation Executive) e dall’OSS americano (Office Strategic Service) che avevano la loro centrale di coordinamento in Svizzera, a Berna. In pratica gli uomini delle missioni erano osservatori, istruttori, in particolare facevano intervenire dal cielo rifornimenti fra armi, vestiario, medicinali, in generale beni di conforto. Durante i 20 mesi le missioni che soggiornarono nelle zone delle bande partigiane furono 150, in maggioranza britanniche. Fonti inglesi riferiscono che i militari inglesi paracadutati o passati attraverso le linee nel corso della Resistenza furono 217, fra cui 59 ufficiali di collegamento (British Liasion Officers). Non a caso si è parlato di queste missioni che erano in maggioranza inglese poiché proprio gli inglesi con questi supporti alle forze partigiane volevano affrettare la distruzione delle divisioni tedesche per arrivare velocemente nel Nord -Est dell’Italia, occupare la Venezia Giulia, Trieste, l’Istria, poi Lubiana e via via fino a congiungersi con l’EPLJ (Esercito popolare di liberazione jugoslavo) di Tito e fermare il dilagare dell’Armata Rossa nei Balcani. Tanto per fare un esempio: gli inglesi, rispetto agli americani, già il 26 agosto 1944 attaccarono con l’Operazione Olive la linea Gotica sul versante adriatico arrivando a liberare Rimini, poi Ravenna nel dicembre ’44. Con questa fulminea avanzata ai primi di aprile ’45 erano attestati sul fiume Senio, pronti al successivo balzo per giungere a Bologna. Non a caso gli inglesi erano interessati ad aiutare le formazioni partigiane a costituire le zone libere per poi instaurarvi le libere Repubbliche partigiane, specialmente nel Friuli. La signora Del Din che prima di divenire paracadutista al servizio della No. 1 Special Force, era staffetta partigiana nelle formazioni partigiane Osoppo, è bene ricordare la Repubblica Partigiana della Carnia-Friuli. Fu istituita dalle formazioni Osoppo e Garibaldine il 26 settembre 1944 e sciolta il 10 ottobre dello stesso anno per il massiccio intervento delle forze fasciste e tedesche. La Repubblica Partigiana della Carnia fu la più importante fra tutte le zone libere. Comprendeva 40 comuni e contava 80 mila abitanti. Si estendeva per 2500 chilometri quadrati e la capitale era Ampezzo nella Valle del Tagliamento. Si distingueva fra le altre repubbliche perché nella propria Giunta Centrale, dipendente dal CLNAI, c’erano esponenti delle Brigate Garibaldi, delle Brigate Osoppo, del Partito Comunista, del Partito d’Azione, del Partito Liberale, delle Organizzazioni di massa (Fronte della Gioventù. Gruppi di Difesa della Donna, Comitati dei contadini, Comitati della Camera del Lavoro). Abbiamo parlato delle missioni a sostegno della Repubblica della Carnia-Friuli, però non dimentichiamo che qui a breve distanza da Poggio Rusco, in territorio Mirandolese, operò la missione militare inglese “Stone” capeggiata dal Maggiore John Barton, dal marconista sergente Charles Barret e dall’ufficiale di collegamento italiano inviato dal SIM (Servizio Italiano Militare), di cui non si conosce il nome. La missione di Barton si lanciò nella Bassa Modenese nel novembre-dicembre 1944 per l’operazione “Cisco Red” che doveva, partendo dalla zona di Mirandola, procedere alla cattura e all’eliminazione nel Ferrarese di un generale tedesco. Nel marzo 1945 la stessa missione con il nome di “Evaporate Mission” fu paracadutata per la seconda volta nei dintorni di Mirandola, punto nevralgico nella prospettiva della ritirata tedesca, per ostacolare il ripiegamento dei reparti germanici, specie sulla statale 12. Il maggiore Barton e i suoi uomini oltre a tenere i collegamenti con le avanzanti truppe americane, furono i protagonisti di un combattimento avvenuto a Mortizzuolo di Mirandola il 18 aprile 1945, dopo del quale riuscirono a contattare e collaborare con i partigiani della 14a Brigata Remo. Secondo: si tratta dell’invio di agenti segreti, soprattutto da parte inglese, appositamente preparati delle scuole di spionaggio nella Puglia, ricordiamo il centro di Bari, per attività informativa, non sempre muniti di ricetrasmittente. Questi agenti avevano il compito di comunicare i movimenti del nemico, gli obiettivi militari da colpire con gli aerei, come le vie di comunicazione, i depositi di munizioni, i comandi fascisti e tedeschi. Certamente la signora Del Din rientra in questa categoria, anche se c’è da dire che in linea di massima era latrice di documenti, informazioni e quanto altro per il comando inglese, una volta liberata la città di Firenze (primi di agosto ’44). Ecco che anche in questo caso spunta l’interesse che gli inglesi avevano per la zona del Friuli dove le formazioni Osoppo e Garibaldi tenevano in scacco i presidi nazifascisti fino a costituire già dal luglio 1944 la vasta zona libera di cui abbiamo parlato. Nella biografia militare della signora Del Din si parla poi del suo desiderio, prontamente esaudito, di conseguire il brevetto di paracadutismo inglese per meglio varcare le linee nemiche e pertanto intensificare i collegamenti fra i patrioti e il comando inglese. Alla fine parteciperà della Missione “Bigelow”, sempre in veste di informatrice e latrice di messaggi da trasmettere a sud da parte di alcune stazioni RT in zona. La vicenda della signora Del Din ci ricorda molto da vicino, sempre stando nei nostri dintorni qui nel Mantovano, a Felice Barbano, organizzatore dell’omonimo Gruppo che arrivò a contare fino a 12-15 uomini. Barbano, dopo l’8 settembre per non cadere in mano tedesca, varcò la linea del fuoco e si recò nel Mezzogiorno. Desideroso di contribuire a liberare il Nord Italia, dopo aver frequentato il corso per agenti segreti, si fece paracadutare nel Veneto e con nome di battaglia “Gino Brunetti” si recò a Verona a organizzare la lotta clandestina. Era il capo della Missione “Alex”, che rivestiva carattere prettamente militare dipendendo dal comando forze armate alleate di stanza nell’Italia del Sud. Si fece inviare dal comando inglese la ricetrasmittente e con questa cominciò le trasmissioni che avvenivano da Via San Pietro in Monastero. A un certo punto ci fu la necessità di cambiar posto alla radio e quindi venne trasferita a Mantova finendo sotto la custodia addirittura di due sacerdoti: don Costante Berselli e don Aldo Porcelli. Con l’aiuto del marconista “Gianni” (Raffaele Ferraiolo), un napoletano molto esperto in trasmissioni, essi cominciarono a trasmettere a Bari importanti informazioni sulle basi logistiche tedesche qui nel Mantovano. Il 2 agosto ’44 la radio sistemata nella canonica della chiesa di San Gervasio e Protasio verrà scoperta dal controspionaggio tedesco e pertanto tutto il Gruppo Barbano si sbandò: parte fuggì, parte fu imprigionato e deportato in Germania. Riuscirono a tornare Felice Barbano, Spartaco Spaggiari e don Costante Berselli. Fra le altre missioni di agenti segreti paracadutate nella provincia di Mantova sono da ricordare quella scesa a Pietole verso la fine luglio ’44 costituita da tre italiani (i cui nomi sono rimasti sconosciuti) prontamente aiutati sempre da don Berselli, quella che va sotto il nome di Missione “Eco”, scesa nel campo segreto in mezzo alle boscaglie fluviali di Cizzolo, sempre formata da italiani, Emilio Clementel, Gianni Luppi e Francesco Simonini, e l’altra di due soli agenti paracadutata sul Bosco Fontana nel marzo 1945, dei quali è tramandato solo il nome del comandante: il sottufficiale dell’aeronautica Guglielmo Avesani. Queste ultime due missioni andranno incontro a un tragico destino. Intercettate dalla Brigata Nera di Mantova e consegnate alla polizia militare tedesca di Villa Gobio (Fat 374) saranno seviziate a lungo, infine trucidate. Si salverà solo il Clementel che benché sottoposto a snervanti interrogatori e ripetute torture, avrà il coraggio e la forza di stare al gioco dei suoi aguzzini trasmettendo informazioni al comando inglese ma comunicando nel contempo che era prigioniero e per di più sotto sorveglianza. Terzo: Il terzo apporto dell’arma paracadutista è l’invio di aviotruppe italiane sotto il nome di ISAS (Italian Special Air Force) per combattere direttamente il nemico, sia pure in ripiegamento, per impedire sacche di resistenza, atti di distruzione di varia natura, ritorsioni verso i civili. Ecco l’Operazione Herring condotta a termine da 226 paracadutisti dello Squadrone Folgore e del Reggimento Nembo, comandati rispettivamente dal Capitano Carlo F. Gay e dal Tenente Guerrino Ceiner. Partiti la sera del 20 aprile 1945 dall’aeroporto di Rosignano Solvay per un lancio di guerra nelle retrovie nemiche per sgombrare – ancora una volta tornava l’assillo inglese – la via alle truppe angloamericane e giungere il più rapidamente possibile alla frontiera orientale per i motivi che sono stati detti. L’aviosbarco benché distribuito in quattro province: Modena, Bologna, Ferrara e Mantova a causa della contraerea e anche delle incertezze dei piloti americani, ebbe alla fine un riconosciuto successo, specie dal comando dell’VIII armata britannica. L’Operazione ebbe 31 caduti e altrettanti feriti, ben 18 nelle sole località Ca’ Bruciata (Poggio) e Corte Mondine (Sermide). Trentuno paracadutisti provenienti andarono ad aggiungersi agli oltre 80 mila soldati italiani che insieme allo stesso numero di partigiani combattenti si immolarono per la libertà della loro Patria.
di Carlo Benfatti
Fonte: http://gazzettadimantova.gelocal.it/
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