20 dicembre 1955 (sesta puntata) — Lombardi nel Mondo

20 dicembre 1955 (sesta puntata)

20 dicembre 1955: con l’accordo tra Italia e Repubblica Federale Tedesca inizia la moderna emigrazione di massa dalla Penisola verso la Germania. Nel 60° anniversario di quella data presentiamo, a chi segue Lombardi nel Mondo, questo evento con un breve saggio.
20 dicembre 1955 (sesta puntata)

Sesta puntata

I pregiudizi – Gli anni compresi tra il 1955 e il 1980 portarono con sé diversi pregiudizi sugli immigrati, non solo italiani. Racconta un testimone: nel «1975 ho conosciuto mia moglie, una ragazza tedesca. I conoscenti di mia moglie furono un po‘ strani con me. Ma lei gli disse che ci dovevano accettare …». [Annette Krus-Bonazza, Einwanderer im Ruhrgebiet (1945-1995), pag. 62, Erfurt 2000].

 

La signora G., giunta nel Bacino della Ruhr nel 1957 a 14 anni, racconta: «Trent’anni fa era tutto molto diverso. Essere Italiano era difficile. Essere una ragazzina italiana era, in modo particolare, ancora più difficile. La scuola era dura, eri una ragazzina italiana. E non avevi amiche. Per una ragazzina tedesca essere amica di una straniera era un paradosso. Qui i tedeschi e là gli stranieri, con i loro capelli e occhi scuri» [in L. Rossi, Gearbeitet – gelebt – gestorben, Italienischer Faktor Hagener Entwicklung, in Heimatbuch Hagen+Mark 1991, pag. 63].

 

Una situazione molto diversa da quella descritta, nei primi anni Novanta del secolo scorso, dai quindicenni Gaetano e Elena. Essi scrivono: «perché dobbiamo vergognarci di dire „siamo Italiani”? Al contrario, ciò appartiene al nostro comportamento. Frequentiamo una scuola tedesca e usufruiamo di tutto quel sostegno non offerto alla signora G.» [in L. Rossi, Gearbeitet…, op. cit. pag. 63].

 

Nel 1966 l‘assistente sociale Giovanni Russo scrive, a proposito degli immigrati italiani: «Essi cercano contatti, indirizzano lo sguardo, desiderano essere persone tra persone… Si fallisce nella ricerca di un’abitazione… nessuno vuole affittare a Italiani… Ognuno crede a magia e stiletto» [in Yvonne Rieker, „Eigen” und „fremd”, op. cit., pag.24].

 

Il 1970 offre agli immigrati italiani un‘occasione di gioia, condivisa con chi ama il buon calcio. La storica partita Italia – Germania a Città del Messico, vide tantissimi italiani scendere in piazza urlanti di gioia e partecipare a caroselli d‘auto. Molti, ricorda l’autore di Una vita una storia, «rischiarono di venir picchiati da inferociti e ubriachi tifosi germanici» [in Una vita una storia, op. cit., pag. 163].

 

 

La famiglia smembrata. Presso molti emigranti si avvertì il bisogno del ricongiungimento familiare. L‘arrivo di moglie e figli, spesso in età scolare, dimostra quel che scrisse lo scrittore Max Frisch: «Abbiamo chiesto delle braccia e ci hanno mandato delle persone».

«Doveva essere la metà del mese di maggio dell‘anno 1962. Dovevo decidermi: o ritornavo in Italia… o andavo a prendere la mia famiglia. Solo con la famiglia sarei ritornato ad essere il solito Salvatore, anche se conoscevo la difficoltà di trovare un appartamento» [in Una vita una storia, op. cit., pag. 127].

 

Anche quando la famiglia si ricongiunge, si è spesso costretti a vivere separati. Con una punta d‘amarezza, il nostro testimone scrive: «…mia moglie e Angelina avrebbero dovuto abitare a Dahl. Spettava loro una cameretta e un fornellino. Io sarei andato altrove: l‘alloggio per gli operai era allo Seeschlößchen». [in Una vita una storia, op. cit., pag. 131].

 

Dall‘altra parte della città.

 

 

 

La lentezza postale. La difficoltà di mantenere regolari rapporti epistolari o telefonici con familiari e amici in Patria era un altro peso per gli emigrati. La domenica si faceva la fila alle cabine telefoniche nelle stazioni ferroviarie o presso gli uffici postali. L‘arrivo di una lettera o di una cartolina era un momento di festa.

 

«Nella portineria della fabbrica, allineate, c‘erano le lettere per gli operai italiani. Le famiglie scrivevano direttamente alla fabbrica»[in Una vita una storia, op. cit., pag. 126].

 

 

 

L‘alimentazione. La mancanza o penuria di sapori e prodotti tradizionali, tra il 1955 e il 1965, accrescevano sensazioni che portavano alla nostalgia.

 

«Gli spaghetti? Cosa erano gli spaghetti e la pasta? Quanto tempo era che non ne mangiavo una forchettata? Secoli, anni, decenni, millenni… Gli spaghetti stavano diventando un dolce ricordo» [in Una vita una storia, op. cit., pag. 73].

Fino a quando qualche emigrante, intraprendente e lungimirante, non avvia un commercio di alimentari, dapprima parallelamente alla sua attività lavorativa. Il primo vino italiano a Hagen venne importato da un immigrato abruzzese. L’autore di «Una vita una storia» testimonia: «Io andai a casa a gustarmi un bicchiere di vino rosso acquistato da A. che, oltre a lavorare in ferrovia, aveva ricevuto la licenza per commerciare in vini e prodotti italiani».[op. cit., pag. 140].

 

 

(fine sesta puntata)

 

Luigi Rossi (Bochum)

www.luigi-rossi.com

 

 

 

 

Nota: invece delle note a pie’ di pagina o finali, abbiamo preferito inserirle nel testo utilizzando parentesi quadre

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