Le ACLI e l’emigrazione italiana in Germania (ottava puntata) — Lombardi nel Mondo

Le ACLI e l’emigrazione italiana in Germania (ottava puntata)

Il lavoro di Simonetta Del Favero analizza l’opera delle ACLI e altri Enti nei decenni della grande emigrazione italiana in Germania, nell’epoca in cui i Gastarbeiter erano essenziali per la dinamica economica e sociale della Germania e dell’Italia. Con il reclutamento del 1955 giunsero in Germania delle “persone”, non solo braccia. Con le loro storie, problemi e capacità, risorse e sogni.

«Comunque sia, è chiaro, e in ciò si accordano tutti, essere di estrema necessità venir senza indugio con opportuni provvedimenti in aiuto dei proletari che per maggior parte si trovano indegnamente ridotti ad assai misere condizioni.

   Poiché, soppresse nel passato secolo le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in lor vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che a poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi e in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male una usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, per fatto di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tantoché un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un giogo poco men che servile» 

                                            (Dalla Rerum Novarum di Papa leone XIII, 15 maggio 1891)

 

                         

4          La presenza e l’azione delle ACLI nella Repubblica Federale Tedesca 

            4.1    Dai Segretariati Sociali ai Patronati

Le condizioni di vita e di lavoro, la condizione stessa dei nostri connazionali in Germania, portò ad una diversa concezione dell’assistenza che doveva essere fornita loro. Non più solo conforto ma la possibilità reale per l’emigrato di avere un trattamento simile a quello che poteva godere in patria, vale a dire la garanzia del lavoro basata su un sistema di contratti e sull’azione delle organizzazioni sindacali per farli rispettare, e una legislazione sociale e previdenziale sviluppata ed aderente alle varie condizioni dell’attività lavorativa, con organi quali gli uffici del lavoro, gli ispettorati del lavoro e gli enti di patrocinio. Ovviamente senza trascurare la possibilità di scuole e corsi.

Un sistema adeguato di tutela ed assistenza in grado di risolvere o perlomeno alleviare i problemi degli emigranti in tema di lavoro, di assistenze-previdenze, della casa e quindi del ricongiungimento famigliare, della scuola, del possibile rientro in patria e della creazione di rapporti sociali e umani che non facessero sentire la solitudine e l’isolamento. Andava riconosciuta la posizione di lavoratore al quale assicurare e garantire i diritti che da questa condizione derivavano e il cui riconoscimento costituiva tanta parte nella decisione di emigrare. Un impegno in tal senso doveva essere la conseguenza di un’azione cui tendevano tutte le autorità, da quella diplomatica e consolare, agli enti e associazioni che operavano all’estero in appoggio agli emigrati; azione che però per garantire una tutela efficace nel rapporto di lavoro, necessitava di un’assistenza specifica ed adeguata alle sue esigenze ed alle sue necessità, cioè dell’organizzazione sindacale. La quale però, almeno inizialmente, era limitata nella sua attività dalla territorialità, per cui troppo preoccupata solo della tutela del lavoratore in patria, non sentiva alcun dovere di solidarietà verso i lavoratori in altri paesi, ed inoltre spesso vi era una diffidenza da parte dello stesso lavoratore italiano che preferiva non iscriversi ad organizzazioni sindacali che non conosceva, anche per non essere coinvolto in azioni che avrebbero potuto metterlo in difficoltà data la sua posizione di straniero.

 

SINDACALIZZAZIONE DEI LAVORATORI STRANIERI

                                             Iscritti al            N. complessivo           Iscritti alla

                                            Sindacato*          dei lavoratori                IG-Metall **             

Greci                                       68.055                    269.700                   48.633

Italiani                                     86.989                    422.220                   48.688

Jugoslavi                                 78.479                    471.000                   59.598

Spagnoli                                  55.665                    184.000                   28.721

Turchi                                    147.145                    497.300                   93.064

Portoghesi                               12.695                      63.100                   12.824

Altre nazionalità                      35.995                    410.000                   19.348

Tedeschi                             6.506.525               20.500.000              2.149.821

*     Dicembre  1972

**   Dicembre  1973

 

Fonte: EMIM (a cura di), Il sindacato tedesco tra cogestione e lotta di classe, Milano, Coines, 1975, p.121.

 

Un passo in avanti, determinato dalla sempre maggiore esigenza di tutela degli interessi morali e materiali degli emigrati non solo in patria ma sopratutto all’estero, si fece con 

la costituzione, presso le più numerose comunità italiane, di appositi uffici, appoggiati alle associazioni sindacali del paese di immigrazione. Ad essi era attribuito il compito di concertare un programma di lavoro in comune volto anche agli aspetti più prettamente personali  della vita dell’emigrato; vale a dire assicurare l’integrità del nucleo familiare  richiamando l’emigrato alle sue responsabilità di marito, padre o fratello verso i familiari rimasti in patria, non solo dal punto di vista finanziario ma anche morale. Si trattava di mantenere negli emigrati il ricordo e l’amore per la patria e mantenere tra tutti gli italiani i vincoli della fraternità e della solidarietà umana. Un fine complesso da perseguire che richiedeva l’intervento di altre associazioni italiane di lavoratori che continuassero all’estero l’attività che già svolgevano in patria: gli Enti di Patrocinio, i Patronati. Esse, infatti, potevano agire in piena unità di intenti con le autorità responsabili del nostro paese e del paese estero, conservando una loro propria libertà di azione per poter intervenire anche nel campo specifico dei rapporti di lavoro e della tutela previdenziale, per sviluppare una maggiore solidarietà tra i lavoratori italiani e tra questi e quelli locali, allontanando così emarginazione, solitudine ed isolamento.

Le ACLI nascono quindi con l’obiettivo di difendere gli interessi di coloro che, abbandonati a se stessi, si ritrovavano svantaggiati dal punto di vista sociale, economico e giuridico di fronte a chi possedeva i mezzi di produzione ed il capitale.

«L’attenzione del mondo cattolico ad affrontare in modo istituzionale i problemi della classe dei lavoratori prende vita nella seconda metà dell’ottocento sulla spinta delle teorie socialiste e di un rinnovato interesse della Chiesa nei confronti del mondo del lavoro (fondamentale è l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, nel maggio 1891). Ciò da vita alle prime Associazioni sociali organizzate che sono:

          L’Opera dei Congressi (attiva tra il 1874 ed il 1904).

          Le Società di Mutuo Soccorso.

          I primi Sindacati cristiani, fino ad arrivare alla Confederazione dei lavoratori     italiani, operante tra il 1918 ed il 1925.

Con il Fascismo questo movimentismo si arresta  e solo alla sua caduta si riannodano i fili dei movimenti precedenti» (1).

Il 3 giugno del 1944, viene firmato il patto di unità sindacale (il Patto di Roma) da parte di Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari, in rappresentanza rispettivamente del Partito comunista, della Democrazia cristiana e del Partito socialista, Lo scopo era fondare un Sindacato unitario, la Cgil. Dalla corrente cristiana di questo Sindacato prendono vita le Associazioni Cristiane dei Lavoratori italiani, le ACLI. Non c’è accordo sulla data precisa della nascita delle Acli. «Vengono alla luce nel corso di quattro incontri che si tengono nella capitale, dal 14 giugno al 5 luglio, a pochi giorni dalla fine dell’occupazione tedesca e dalla firma del Patto di Roma.[…]. La prima uscita pubblica si ha il 26 agosto, a Roma, presso il Convento di Santa Maria sopra Minerva, con un convegno cui partecipano rappresentanti di diverse regioni del meridione»  (2).

La guerra è ancora in corso nel nord Italia e l’Italia è spaccata in due.

«Fondatore riconosciuto delle ACLI è Achille Grandi, già Segretario della Confederazione Italiana del Lavoro (CIL) nell’ultima fase di libertà sindacale prima dell’avvento del fascismo, e ricostruttore della corrente sindacale cristiana nella clandestinità prima della liberazione» (3), mosso dall’istanza di salvaguardare l’identità dei lavoratori cristiani e quindi il patrimonio ideale del cattolicesimo sociale, all’interno del sindacato unitario. Giovanni Bianchi nota come già alla formazione del Sindacato unitario, i cattolici avessero allegato al patto un documento in cui si affermava la possibilità di creare associazioni libere e formate per scopi educativi, politici, assistenziali e ricreativi ed in altre opere di carattere cooperativo e assistenziale (4).

Il nome scelto era «associazioni cristiane dei lavoratori italiani» perché sotto la stessa bandiera avrebbero dovuto militare diverse associazioni, dai circoli alle società cooperative.

Le finalità sono sintetizzate negli art. 1 e 2 dello Statuto. Nel primo articolo del primo Statuto, alle ACLI è riservato il compito di integrare “l’opera delle organizzazioni sindacali unitarie per tutto quanto esula dai compiti specifici riservati al Sindacato”.  Si trattava del cosiddetto ruolo pre-sindacale che le ACLI intendevano svolgere all’interno della CGIL. Questo ruolo consisteva nella raccolta degli operai cristiani e nella loro formazione alla militanza in un contesto privo di garanzie. Il mezzo primario era la modernizzazione del loro bagaglio culturale.

Un ruolo, quello delle ACLI, che sarà evidente ai tempi della rottura sindacale (luglio 1948) in quanto agevolerà la nascita del nuovo Sindacato, la CISL, in senso democratico e aconfessionale. Tuttavia la nascita della CISL pose in gioco la presenza delle ACLI alle quali, solo in seguito venne riconosciuto il ruolo di “movimento dei lavoratori cristiani” e, quindi, un significato ecclesiale ed un aspetto socio-politico capace di ricucire la storica frattura tra Chiesa e movimento operaio, egemonizzato, quest’ultimo dai socialisti e soprattutto dai comunisti.

Padre Mario Castelli ricordava che «… le ACLI erano nate per esplicare un’azione sociale e che questa azione sociale era stata oggetto di:

          Una contestazione pratica, da parte dei politici, sindacalisti, militanti cattolici che vedevano una sorta d’ingerenza delle ACLI in campi che ritenevano essere di propria competenza.

          Una contestazione di principio, perché le ACLI erano difficilmente inquadrabili            negli istituti cattolici usuali. Erano una novità e, come ogni novità, difficili da           controllare.

Tuttavia le ACLI erano nate per occupare uno spazio ben preciso, all’interno del movimentismo cattolico, e ciò avrebbe dovuto far cadere quelle diffidenze» (5).

In questo spazio le ACLI operavano per:

          Integrare in una cultura generale i lavoratori che rappresentavano un gruppo    culturale troppo chiuso. 

          Individuare un approccio classista ai problemi del lavoro, che pur sfuggendo alle regole del marxismo fosse in grado d’essere accettato da un’Italia che, per i suoi precedenti storico-culturali, da una parte non poteva prescindere da qualsiasi influsso cristiano, e dall’altra parte non era in grado di accettare una

 

Come conseguenza dei due punti precedenti, «le ACLI dovevano creare un luogo informale, dove non emergessero le preoccupazioni contingenti della polemica politica, dell’impegno sindacale “a breve”, della compromissione delle Gerarchie ecclesiastiche in questioni non ancora sufficientemente “mature”: un luogo di libera discussione con verifica nelle reazioni della base popolare. Lavoro e sviluppo sociale sono i due grandi progetti di impegno delle Acli che manifestano la loro appartenenza alla Chiesa con un proprio carisma, fondato sulla ricerca di una laicità cristiana matura espressa nell’impegno sociale» (6). 

Questi erano effettivamente gli obiettivi, realizzati, di Achille Grandi che, nel febbraio 1945, per motivi di salute, lascia la presidenza ACLI a Ferdinando Storchi. Presidente che enfatizzerà la funzione pre-sindacale delle Acli, e quindi il loro essere espressione della corrente cristiana in campo sindacale. Sono tre i presupposti di fondo sui quali si basa la risposta cristiana ai problemi dei lavoratori:

          Rifiuto del capitalismo e del collettivismo.

          Impegno di Stato e Società per un bene che sia comune e la realizzazione della            convivenza delle classi sociali.

          Unità politica dei cattolici.

Ferdinando Storchi considerava che il ruolo essenziale delle ACLI fosse quello di formare la coscienza religiosa che doveva sostenere i lavoratori nella loro azione sindacale e su queste basi procedette al loro sviluppo diffondendole su tutto il territorio italiano secondo una rete di Circoli capillare. Questi ultimi divennero così non solo un luogo di aggregazione politica, sindacale e formativa, ma anche di ricreazione. E’ proprio in questi primi anni che nascono alcune attività specifiche delle ACLI quali il Patronato, il Movimento Femminile, e Gioventù Aclista.

Il D.L. del Capo Provvisorio dello Stato del 29 luglio 1947 n. 804 “Riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e di assistenza sociale” , è un momento importante perché  spezza  la pretesa del Sindacato di monopolizzare il settore dell’assistenza.

«Siamo nel pieno della prima fase delle ACLI che va dalla fondazione a tutti gli anni ’60 e vede, dopo la rottura sindacale del luglio 1948, uno spiccato interesse alla dimensione politica. Ciò porterà, alla metà degli anni ’50, sotto la presidenza Pennazzato (il presidente delle tre fedeltà – chiesa, lavoratori, democrazia – che tuttora ispirano le ACLI), ad esprimersi in una presenza, talora correntizia, nella DC, fino a formare una sorta di sinistra di quel partito» (7).

Di fronte ai problemi internazionali, l’attività delle Acli si amplia dalla spiritualità e dalla centralità del lavoro, alle aree dell’esclusione e dell’emarginazione, all’accoglienza e alla condivisione con gli immigrati, alla cittadinanza europea e alla solidarietà internazionale, vincendo la tentazione del localismo. In un’azione generale che vedrà i Patronati affiancarsi a sostegno dell’attività dei consolati nei campi che esulano dalle loro specifiche funzioni.

In campo laico, la presenza italiana più attiva nell’assistenza in Germania è rappresentata dal Patronato Acli, il quale riconosciuto con D.M. 29 Dicembre 1947, pubblicato sulla G. U. del 7 Gennaio 1948 come organo qualificato per la tutela dei lavoratori e degli emigranti italiani, svolgeva un’opera di assistenza all’emigrante, interessandosi di tutto ciò di cui egli poteva avere necessità. Le Acli assumevano in tal modo il ruolo di organizzazione di rappresentanza dei lavoratori emigrati nei confronti  delle autorità locali, di quelle consolari italiane, e per questo aspetto come per l’attività di formazione e di assistenza sociale furono utili gli accordi di collaborazione conclusi, per la Rft, con il KAB (Movimento Cattolico dei Lavoratori tedeschi) ed il Werkovolk (8).

Il Patronato ACLI è presente in Germania dal giugno 1956 inizialmente con le sedi di Colonia e Stoccarda, allora come oggi roccaforti della presenza italiana in questo paese.

«Tra il 1960 e 1963 vengono aperte altre sedi a Francoforte, Friburgo, Karlsruhe, Ulm, Wolfsburg, Augsburg, Monaco di Baviera, Bochum e Wuppertal. Oltre queste sedi stabili, regolarmente costituite, con presenze settimanali o mensili operava anche in altre 24 località della Germania, presso Missioni, circoli e associazioni.

Buona parte dell’attività svolta era dedicata all’informazione che si esplicitava sia a livello di singoli sia di gruppi omogenei: lavoratori vicini all’età pensionabile, disoccupati, ecc… Le ACLI, nel loro insieme di movimento e servizi, si ponevano così in Germania come elemento fortemente educativo, di promozione e difesa dei diritti dell’emigrazione» (9).

L’attività del Patronato si svolgeva inizialmente attraverso una rete di Segretariati Sociali, la cui funzione era quella di attenuare il distacco dell’emigrante dalla sua patria, sostenendolo nella tutela dei suoi diritti e nelle sue difficoltà e, di agevolare e difendere il lavoratore nell’aspetto previdenziale come nello svolgimento delle pratiche per la carta di soggiorno, il collocamento, i contratti di lavoro, la malattia, e il sostegno nelle vertenze sindacali. Settori nei quali l’impegno dei Segretariati era dettato per lo più dalla necessità di supplire alle carenze presenti, a livello istituzionale, in entrambi i governi. E’evidente che la loro presenza diverrà ancora più necessaria dopo il 20 dicembre1955 [rif., §. 2.1].

L’assistenza all’estero (10) che avveniva attraverso l’organizzazione degli appositi Segretariati Sociali, fondamentali sia per l’emigrante che arrivava per la prima volta, sia per coloro che già si trovavano sul luogo di lavoro, serviva innanzitutto a non farli sentire abbandonati e a cercare di limitare il malcontento e i danni derivanti dalla difficoltà di far valere i propri diritti.

L’attività di assistenza svolta dal Ministero degli Esteri attraverso le sue rappresentanze consolari, non poteva svolgersi completamente proprio per il fatto stesso di essere realizzata dalla rappresentanza diplomatica e quindi con il limite rappresentato dal non poter andare oltre l’ambito giurisdizionale della diplomazia. Di conseguenza, il Consolato, chiamato ad un’azione di tutela nei rapporti tra lo Stato italiano e quello tedesco, non poteva, in via normale, scendere all’azione assistenziale di natura sindacale o sociale, e neanche assumere difese in posizione di controparte che lo avrebbero messo in conflitto con istituti, imprese o imprenditori stranieri. Attività che invece poteva e doveva essere svolta da altri organismi che coordinavano la loro azione con quella dello Stato ma senza avere le caratteristiche e le limitazioni dell’attività diplomatica ufficiale e senza confondersi con essa; sulla base delle esperienze già avutesi con le opere di carattere sociale ma private che avevano svolto in passato un’azione a difesa degli interessi e dei diritti scaturenti da leggi o da contratti. 

 

I  compiti principali dei Segretariati Sociali consistevano:

– nel dare notizie e informazioni sulle possibilità emigratorie nei vari Paesi,

– nello svolgimento delle pratiche necessarie all’espatrio,

– nel far conoscere le norme previdenziali ed assistenziali,

– nell’intervento presso gli organi assicurativi e previdenziali italiani ed esteri

– nel facilitare i contatti familiari.

Interventi che lo portavano ad essere un Patronato di Assistenza, ed allo stesso tempo un Sindacato di difesa, un punto di incontro dei lavoratori italiani della zona ed un centro propulsore di iniziative e solidarietà, mantenendo sempre come fine principale la tutela e la difesa del lavoratore nel campo dei suoi diritti assicurativi e previdenziali; ambiti nei quali era necessaria una specifica competenza.

Per quanto concerne la tutela previdenziale, si trattava di interventi per pratiche di carattere tecnico per le quali era necessario che l’addetto sociale del Segretariato avesse una particolare conoscenza della legislazione del paese in cui operava, e delle convenzioni esistenti, dei contratti di lavoro e della legislazione previdenziale italiana, in quanto molte volte si trattava di dover risolvere questioni di diritti assicurativi, di cumulabilità di contributi, di prestazioni fruibili in  patria o all’estero, di diritti estesi o meno ai familiari residenti in quel paese o rimasti in patria. Pratiche che spesso richiedevano l’intervento, nell’ambito del Segretariato, di un servizio di consulenza medica, quando si trattava di contestare le decisioni prese dai medici di fabbrica o dagli enti assicurativi locali, e/o di un servizio di consulenza legale, quando occorreva l’avvio di un’azione di carattere legale per la tutela del lavoratore. Pratiche che tante volte dovevano essere svolte in patria e all’estero, e che quindi non avrebbero potuto essere affrontate e risolte da uffici o comitati agenti nel solo ambito di una competenza o di una conoscenza locale. Dimostrazione ne sono gli innumerevoli atti avviati dopo il rientro del lavoratore in patria, per i quali era richiesto l’intervento del Patronato Acli.

Altro ambito di intervento era la difesa sindacale, in quanto spesso molti aspetti della tutela del lavoratore che rientravano nella competenza delle organizzazioni sindacali non sempre venivano o potevano essere adempiuti da queste ultime, e di conseguenza poteva spettare al Patronato di sostituirsi ad esse. Il settore più delicato di tale attività era rappresentato dai licenziamenti e dalla situazione di disoccupazione in cui l’emigrante poteva venire a trovarsi, momenti in cui doveva essere sorretto ed aiutato e in cui l’isolamento o la solitudine potevano portare allo sconforto e alla disperazione. 

C’erano però altri ambiti nei quali era richiesta la presenza del Patronato Acli, ambiti nei quali poco era stato fatto e che, nonostante il passare del tempo, continuavano a rimanere nell’emergenza. Si trattava dei problemi riguardanti l’assistenza più prettamente sociale, la questione degli alloggi collettivi per i celibi o per gli emigranti che avevano la famiglia in patria, della casa, delle mense nei posti di lavoro, delle scuole, delle rimesse dei propri risparmi in patria, dei rapporti con le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dei rapporti con le autorità civili del luogo di lavoro. L’inserimento del Patronato, in questi casi, includeva anche iniziative culturali e ricreative volte non solo alla difesa dei diritti delle persone ma anche ad un aspetto, molto importante e spesso, volutamente, trascurato dalle autorità: la maggiore coesione sociale tra i nostri emigrati e tra essi e la popolazione locale. L’obiettivo era quello di suscitare tra i lavoratori vincoli associativi tali da metterli in grado di divenire essi stessi organizzatori e promotori di tali iniziative, secondo l’impostazione più rispondente alla loro sensibilità sociale di un movimento operaio fatto dai lavoratori e posto a servizio della loro elevazione e del loro progresso.

 

Tratto dalla tesi “Le Acli e i Gastarbeiter italiani in Germania” discussa, presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Cagliari, da Simonetta Del Favero.

 

Note:

(1)  Garuti G, in Corso di Formazione 2000-2001, Appunti per una storia delle Acli Nazionali, fonte: www.acli.it.

(2)  Casula C. F., Le frontiere delle Acli, pratiche sociali, scelte politiche, spiritualità. I verbali del Consiglio di Presidenza 1944- 1961, Ed. Lavoro, Roma, 2001, p. 15.

(3)  Pasini G., Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani in, Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia 1860-1980, diretto da F. Traniello e G. Campanili, v.1, t. 2, I fatti e le idee, Marietti, Casale Monferrato, 1982.

(4)  Bianchi G., Il ruolo delle ACLI nel dopoguerra, 1945-48, Relazione ad un Convegno su Milano 1943-‘48, anno ?, cit. in Garuti G. , op. cit.

(5)  cit. in Garuti G, op. cit.

(6)  Garuti G, op. cit.

(7)  Garuti G, op. cit.

(8)  Relazione Generale della Presidenza Centrale, X Congresso Nazionale Acli, Roma, 3-6 novembre 1966, Industria Grafica Moderna, Roma.

(9)  fonte: www.acli.it

(10)  Patronato Acli, L’Assistenza agli emigrati, Ed. del Patronato Acli, Roma, s.d.

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