America latina: jus sanguinis e nuovi italiani
rileviamo un interessante excursus sul tema America latina jus sanguinis e nuovi italiani (Fonte Ytali.com)
Recentemente qualche risonanza sui media nazionali ha avuto quello che è stato definito come un “allarme della Farnesina” per la possibilità che dal Sudamerica giungano “milioni di richieste di cittadinanza di oriundi” (…). “Sono già decine di migliaia e iniziano ad ingolfare i tribunali italiani per dimostrare discendenze che risalgono a metà Ottocento.” (…). “Persone che non hanno più legami linguistici né culturali con il nostro Paese”.
In realtà non si tratta di una novità. Da decenni infatti in occasione delle diverse crisi economiche ed istituzionali che periodicamente hanno interessato il continente sudamericano, si sono verificatipicchi nelle richieste di cittadinanza italiana.
Durante le dittature tanti oppositori ai diversi regimi chiesero asilo in Italia e molti erano italiani o di origine italiana; migliaia di persone furono salvate grazie anche al coraggio di nostri diplomatici come Enrico Calamai a Buenos Aires o Emilio Barbarani a Santiago del Cile, che riuscirono a farle espatriare affrontando gravi rischi personali.
Con la “Década Perdida” (il decennio perduto degli anni Ottanta con strascichi in quello successivo) – un debito estero insostenibile, un’inflazione stellare, un altissimo tasso di disoccupazione – la crisi economica coinvolse molti paesi sudamericani ed in particolare il Brasile, l’Argentina, l’Ecuador, il Venezuela, la Bolivia, il Messico e puntualmente le richieste di cittadinanza italiana come gli espatri di cittadini con doppia nazionalità aumentarono considerevolmente.
Il fenomeno si ripeté ancora con la recessione argentina del 1999 culminata poi nel default del 2001; in quella occasione di fronte alla massiccia fuoriuscita di personale altamente qualificato il governo italiano sviluppò una iniziativa finalizzata a contenere l’impoverimento professionale del Paese, condizione essenziale per una sua ripresa.
In tutti questi periodi temporali il flusso migratorio e ciò vale sempre in ogni angolo del pianeta, fu determinato da condizioni di negazione di libertà e diritti umani o da crisi economiche e spesso anche alimentari.
Un’analisi del fenomeno migratorio latino-americano in Italia deve necessariamente considerare anche quanto avviene in Spagna e Portogallo, in particolare dopo il 1986, anno di adesione dei due Paesi all’Unione Europea. Infatti, per molti migranti sudamericani, italiani o italo discendenti, si è potuto constatare come preferissero questi Paesi in luogo dell’Italia come destinazione in ragione del complesso normativo favorevole, per una evidente compatibilità linguistica e in parte anche culturale. Con i primi due decenni del nuovo millennio la Spagna passa dai circa 290.000 residenti nati in America Latina a quasi 2.500.000 (Instituto Nacional de Estadística, 2013) mentre i brasiliani rappresentano circa il 95 per cento dei latino-americani residenti in Portogallo. Evidentemente ragioni storiche, religiose, linguistiche determinano la direzione verso le nuove destinazioni e i paesi di nuovo insediamento frequentemente rappresentano poi una piattaforma per migrazioni secondarie in Europa. Il consistente flusso migratorio nella penisola Iberica da un lato ha attenuato il declino demografico e dall’altro ha contribuito in misura apprezzabile al suo sviluppo economico.
Per l’America Latina dopo la “Década Ganada” (il “decennio vinto” 2003-2013) molti analisti parlano di una “Segunda Década Perdida” per il decennio successivo. Si è chiusa una fase espansiva determinata da una vasta azione riformatrice in campo economico e sociale operata dai governi di centrosinistra, dall’aumento dei prezzi delle materie prime sul mercato internazionale e dal dinamismo demografico; fattori che hanno comportato un apprezzabile calo della popolazione in povertà assoluta. Adesso, in effetti, si assiste ad un rallentamento generalizzato della crescita; alle cause endemiche vanno aggiunti una serie di shock: la pandemia di COVID-19, la guerra in Ucraina, una iperinflazione (che per due paesi, Venezuela e Argentina sarà nel 2023 rispettivamente del duecento per cento e del 99,7 per cento), la stasi dei prezzi delle commodities non alimentari, uno scarso gettito fiscale, l’emergenza climatica… in un quadro di storici insopportabili livelli di diseguaglianza tra classi sociali (secondola Banca Mondiale, tra i venti paesi con l’indice di Gini più alto, dodici sono latinoamericani).
In particolare, in questa situazione di precarietà economica, sono aumentati i prestiti del Fondo Monetario Internazionale e conseguentemente l’onere del servizio del debito oltre all’aggravamento delle condizioni di finanziamento, rendendo, da un lato, ancora più difficile l’obiettivo di una indipendenza economica e, dall’altro, il ricorso alla disponibilità espressa da altre nazioni, come la Cina, con il rischio di cadere in una preoccupante“Debt Trap”. In proposito è interessante riportare il punto di vista cinese, pubblicato sul China Daily:
Le crisi del debito sono scoppiate molte volte in America Latina, ma nessuna è stata causata dalla Cina. Invece, gli Stati Uniti sono stati collegati direttamente o indirettamente a quasi tutte le crisi del debito nella regione. Negli anni Settanta, ad esempio, le banche statunitensi offrirono grandi quantità di prestiti ai paesi latinoamericani, che stavano attuando una strategia di crescita del debito. Di conseguenza, il rapporto debito/PIL della regione è salito da circa il 18 per cento nel 1970 a circa il 45 per cento nel 1982, e il rapporto tra debito ed esportazioni è salito dal 180 per cento al 330 per cento. Nella prima metà del 1981, la Federal Reserve aumentò bruscamente i tassi di interesse e l’onere del servizio del debito per i paesi latinoamericani divenne insopportabilmente pesante. Inoltre, il calo dei prezzi delle materie prime ha ridotto drasticamente le entrate di questi paesi. Di conseguenza, il Messico e altri paesi dell’America Latina sprofondarono in una crisi del debito. Sono gli Stati Uniti, invece della Cina, che hanno portato l’America Latina nella trappola del debito.
Nonostante le precisazioni va ricordato che ormai la Cina eroga un volume di prestiti di ultima istanza quasi uguale a quello del FMI ma con tassi di circa il cinque per cento a fronte del due per cento applicato dal Fondo e Argentina e Venezuela sono tra i principali destinatari.
Infine, va evidenziata l’evoluzione demografica nell’area (uno dei fattori essenziali per la crescita economica nei decenni passati) che passerà, per quanto concerne l’aumento della popolazione in età lavorativa, dall’1,3 per cento (tra il 2009 e il 2019) allo 0,6 per cento per il successivo decennio.
L’America Latina secondo la FAO
è stata una delle aree che ha ottenuto i migliori risultati in termini di riduzione della fame e della povertà nell’ultimo decennio fino al 2015. Tuttavia, pur essendo il più grande esportatore netto di cibo al mondo, tra il 2019 e il 2021 ha registrato un aumento del trenta per cento del numero delle persone che soffrono la fame, che raggiungono i 56,5 milioni. […] Questa situazione potrebbe rappresentare una battuta d’arresto di un decennio o più nello sforzo per ridurre la povertà e la fame nella regione e ostacolare gli sforzi per ridurre le disuguaglianze come stabilito nell’Obiettivo di sviluppo sostenibile dieci..
Si assiste pertanto a una situazione di crisi diffusa che porta come inevitabile conseguenza a consistenti tensioni politiche e sociali, dal Peru all’Ecuador, dall’Argentina alla Colombia, alla Bolivia… e in un contesto simile si riprende a emigrare o si prova ad avere in tasca un altro passaporto che consenta in caso di necessità migliori opportunità di vita.
Si tratta. come si è visto, di un fenomeno ricorrente, al palesarsi di una crisi si registra inevitabilmente un aumento delle richieste di cittadinanza italiana e altrettanto ricorrente è l’angoscia che pervade la Farnesina.
In occasione del XXII Convegno Nazionale nel 2002 dell’Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e d’Anagrafe, un’interessante relazione dal titolo “Problematiche relative agli immigrati dall’Argentina” così recitava:
Per la spiegazione dell’accelerazione delle richieste occorre tener conto delle difficoltà economiche e sociali che stanno investendo alcuni Paesi di pregressa emigrazione italiana, quali l’Argentina e il Brasile, che stanno determinando presso le nostre rappresentanze diplomatico-consolari la presentazione in massiccio numero di domande di ricostruzione della cittadinanza italiana da parte dei discendenti di cittadini italiani per nascita residenti all’estero. Tale pressione sta determinando e anzi ha già determinato una crescente criticità operativa della rete diplomatico-consolare che non è in grado di smaltire l’enorme afflusso di richieste avanzate finora da centinaia di migliaia di oriundi italiani.
Le aspettative connesse all’attribuzione dello stato di cittadini italiani sono da rinvenirsi, in particolare, nei benefici riservati ai cittadini metropolitani tra cui diritti politici ed in primis quella fondamentale del voto esteso con la recente legge n. 459 agli italiani iscritti in AIRE, ma anche quello di trasferirsi in altri Paesi dell’area nord-americana senza necessità del preventivo visto di ingresso oppure di fissare la propria residenza nei Paesi dell’Unione Europea per motivi di lavoro o di studio fruendo di tutti i diritti connessi nella detenzione della cittadinanza europea.[…] Conseguire quindi per uno straniero non comunitario la cittadinanza europea equivale ad un valore aggiunto che consente di arricchire la propria sfera giuridica dilatando le possibilità di lavoro e di professione e quindi, in ultimo, la prospettiva di implementare le proprie condizioni di vita in maniera estremamente sensibile. […]
Occorre inoltre ricordare che già sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso si era manifestata la stessa tendenza, ugualmente proveniente dall’Argentina, anche allora colpita da una pesante crisi economica che aveva determinato, come oggi, una forte pressione per il riconoscimento della cittadinanza. […] Ciò accentua, come detto, l’ingolfamento delle strutture consolari in grado peraltro di smaltire annualmente soltanto un numero esiguo di istanze di riconoscimento in rapporto a quelle presentate o in via di presentazione. Da notizie fornite direttamente da alcuni uffici consolari, questi, per soddisfare le richieste stanno fissando appuntamenti per gli anni 2004-2005….
Nulla di nuovo quindi: ad ogni crisi corrisponde un aumento delle richieste cittadinanza ex “jus sanguinis”.
Il calcolo della presenza nel mondo degli oriundi italiani è una “Probatio diabolica”, si va dai quaranta ai sessanta agli ottanta milioni, a seconda delle fonti, moltissimi comunque sono in Argentina, Brasile, Venezuela, Uruguay, Colombia, Paraguay, Cile per quanto riguarda l’America Latina. Le migrazioni di ritorno degli italiani hanno coinvolto fino agli anni Settanta principalmente i residenti in Argentina, Venezuela e Brasile per poi lentamente esaurirsi: nonni o padri sono in piccolissima parte tornati, figli e nipoti sono rimasti.
Molti fattori portano a ritenere che l’interesse prioritario in coloro che richiedono la cittadinanza italiana “jus sanguinis” non sia lo stabilirsi in Italia ma cercare, grazie al passaporto italiano, migliori opportunità di vita in altre nazioni. Per la gran parte ormai gli italo-discendenti sono alla terza-quarta generazione o anche oltre, profondamente radicati nei paesi di insediamento in cui sono nati e vissuti; solo una piccola percentuale parla l’italiano; d’altronde le scuole italiane, in quei paesi, sono considerate d’eccellenza e accolgono soprattutto studenti non oriundi della media-alta borghesia locale.
Un effettivo stabilimento in Italia di quanti richiedono la cittadinanza italiana attraverso la ricostruzione genealogica sarebbe un gran bene per il Paese crollato al 201° posto al mondo per numero di figli, con nascite in calo di un terzo dal 2008 e con un tasso di fecondità per donna passato dal 2,38 del 1951 all’ 1,25 del 2022, al terzultimo posto dopo Macao ed il Giappone.
D’altronde, un dato significativo per comprendere alcune delle ragioni del calo demografico italiano è rappresentato dagli indici di incidenza della povertà assoluta per numero di anziani e di figli minori in famiglia: al 2021 con due anziani si è sotto il cinque per cento, con un figlio si passa intorno all’otto per cento, con due al quindici per cento con tre al 23 per cento circa (Elaborazione DIPE su dati ISTAT).
Secondo l’OCSE, l’Italia risulta essere il primo tra i Paesi dell’Organizzazione per numero di ex lavoratori in pensione e di cittadini over cinquanta inattivi. Il rapporto tra pensioni e lavoro attualmente si attesta a 72:100 (in base ai dati Istat) ma al 2050 sarà di 1:1 con il rischio di una crisi del sistema pensionistico; gli scenari di proiezione del 2022 delle Nazioni Unite, sempre al 2050, prevedono una popolazione, in milioni di abitanti, di 48,65 (scenario basso) 52,25 (medio) e alto 55,82 (alto) con calo dai dieci milioni del dato maggiormente negativo ai circa cinque milioni della previsione più ottimistica.
In tale prospettiva, come storicamente si è appurato, appare alquanto inverosimile immaginare che un flusso migratorio di una qualche consistenza di italo-discendenti latino-americani (come lascerebbe prefigurare il numero di richieste di cittadinanza) possa dirigersi verso l’Italia aiutando anche a mitigare il crollo demografico.
Una politica proiettata al futuro dovrebbe sicuramente analizzare e correggere le cause della denatalità, ma questa è opera che produrrà, forse, qualche risultato nel lungo periodo e per l’intanto favorire un’efficace integrazione dei migranti che rappresentano una risorsa per l’oggi come accertato da tutte le organizzazioni pnternazionali, dall’ONU, all’OSCE al FMI; d’altronde, in Italia oggi il saldo tra prestazioni ricevute e contributi versati dai migranti è positivo per lo Stato per oltre quattro miliardi, e per l’INPS lo è di oltre quattordici miliardi (a fronte di erogazioni per un miliardo).
Nel periodo 2002- 2020 gli italiani fra i 20 e i 49 anni sono diminuiti di 4,6 milioni (da 23,8 a 19,2) mentre gli stranieri della stessa età sono aumentati di 2,1 milioni, da 900mila a tre milioni, attenuando il calo della forza in età lavorativa; secondo molti analisti, il dato ottimale, idoneo a compensare le uscite dall’Italia, sarebbe di 400.000 arrivi l’anno.
Le nostre strutture diplomatiche nel mondo, ambasciate e soprattutto consolati, dovrebbero svolgere con il supporto delle organizzazioni datoriali (come peraltro previsto, ma non attuato) un essenziale compito di individuazione delle professionalità, a seconda delle richieste, e nel caso indirizzare i migranti in adeguate attività formative che sarebbe stato necessario finanziare anche con le attuali grandi disponibilità di risorse economiche, ma di questo non vi è traccia tra i programmi del PNRR.
Con i fondi del PNRR però si finanzia un programma promosso e gestito dal MAECI denominato “Turismo delle Radici” che dovrebbe fare arrivare in vacanza in Italia nel 2024 gli italo-discendenti alla riscoperta delle loro origini; buona l’intenzione, cattiva l’esecuzione e in grave contraddizione con l’allarme della Farnesina sul numero di richieste di ricostruzione genealogica per l’ottenimento della cittadinanza la previsione tra le attività stabilite dal bando di:
Fornire assistenza alle richieste di ricostruzione della storia familiari provenienti da coloro che sono interessati a compiere il viaggio delle radici, in collaborazione con le autorità comunali ed ecclesiastiche locali.
Ulteriore allarme per gli Esteri e grande felicità per le anagrafi comunali già da anni abbondantemente sottorganico.
La speranza di una visione politica lungimirante che possa fornire utili opportunità al futuro del Paese si scontra però, desolatamente, con le attuali parole d’ordine e con le prassi, che vanno in direzione ostinata e contraria a quella che tutti indicano, basti solopensare al penoso ostracismo nei confronti dei “nuovi italiani” stabilito da una legge del ’92, quando l’Italia non era un paese di immigrazione, e che non si è mai voluto cambiare:
Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.
Con buona pace dei piccoli “nuovi italiani” che alle scuole materne parlano italiano, veneto, pugliese, siciliano … e di quelli un po’ più grandi che usano il congiuntivo meglio di tanti di coloro che si ostinano barbaramente a negare l’evidenza dei fatti.