Papua Nuova Guinea 2 – Da Ulutuya attraverso Watuluma e Bolu Bolu fino ad Alotau — Lombardi nel Mondo

Papua Nuova Guinea 2 – Da Ulutuya attraverso Watuluma e Bolu Bolu fino ad Alotau

Nuova testimonianza del nostro validissimo collaboratore Ferruccio Brambilla da Papua Nuova Guinea, veramente dall’altra parte del mondo, tra personaggi quasi inverosimili (missionari, indigeni, giovani studentesse, …) e avventure quasi eroiche

Vico ed io siamo sempre in Papua Nuova Guinea. A Watuluma sono le 4.10 di un altro giorno, uno qualsiasi, tanto che differenza fa? E’ buio e mi trovo a scrivere con la debole luce che ci fornisce il rumorosissimo generatore proveniente dalle valli bergamasche.

Da qualche giorno non sentiamo piu’ i trilli della sveglia di brother Lino. Suonava inesorabilmente tutte le mattine alle cinque meno dieci, perchè lui doveva andare alla messa. Forse a causa delle maledizioni di Vico e mie, la sveglia era improvvisamente impazzita e si era messa a suonare a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il buon Lino, preso da improvviso raptus e nel tentativo di farla tacere almeno per un po’, aveva rotto la levetta di plastica che serviva per spegnerla. Bisognava trovare qualcosa per rimediare al danno, ma anche Vico che ci aveva messo mano non ha potuto fare nulla, era morta definitivamente. In questi posti c’è un rimedio naturale o artigianale per ogni cosa, ma non per un marchingegno infernale di plastica made in Taiwan.

 

Qui a Watuluma restava solo una cosa da fare. Per chi non e’ proprio avvezzo ai lavori manuali come me. La prova di un confronto con brother Roberto. Il mio compito? Sondare e garantire la sua disponibilità a diventare il responsabile unico del progetto che ha in animo il Gruppo Africa: la realizzazione di una centrale elettrica (se idroelettrica o a pannelli e’ ancora da decidere). Per questo progetto e’ previsto un sopralluogo, a cura dell’amico Dino accompagnato da un ingegnere di Genova, che naturalmente avrà bisogno di identificare la persona di riferimento all’interno della missione. E chi meglio di Roberto, attuale responsabile del VTTC? (Vocation Training Tecnical Center). Non sono sicuro di riuscire nell’impresa conoscendo il tipo, invece l’introverso ma diligente Roberto si mostra da subito aperto a questa nuova esperienza. Magari non felice, ma pronto per l’incarico. Mi promette che sara’ l’ombra dell’ingegnere durante la sua permanenza, per poi seguire e mettere in pratica i suoi insegnamenti e continuarne nel migliore dei modi la sua opera nei mesi successivi.

Quindi il mattino dopo si riparte per Bolu Bolu, un po’ tristi per aver abbandonato Lino, la sua ottima cucina e la pizza all’aragosta o al granchio gigante del venerdi sera, ospiti da Roberto.

Si ripropone l’avventura, ormai quotidiana, del viaggio col fuoristrada nella foresta, lungo i sentieri di questo grande cimitero di sassi che è l’isola di Goodenough, dell’attraversamento dei fiumi, che mette a dura prova la nostra abilità nella guida oltre che la tenuta del pur robusto track Toyota del quale disponiamo. Con noi father John, l’ultimo arrivato father Angelo ed il nuovo amico Adrien, il papuano che grazie all’insegnamento del Gruppo Africa di un paio d’anni fa, ha costruito tutto da solo la fontana di Biu. Biu è un’amena località di poche capanne, abitate da persone speciali alle quali ora arriva l’acqua potabile, sapientemente deviata da Vico e dal percorso primario, quello delle condutture posate nel 2011. Emozionante il momento in cui sgorga il primo zampillo, seguito poi dal giusto e costante getto. Il tubo posizionato provvisoriamente con la bocca rivolta verso l’alto e legato ad un tronco, diventa una immensa doccia a cielo aperto per tutti gli abitanti del villaggio, che non finiscono mai di rotolarsi vestiti sotto la gelida acqua e di bere dalla fresca ed improvvisata fonte. Abbracci, strette di mano, doni di frutti di ogni genere si sprecano… ci siamo anche un po’ commossi.. forse. Adrien, che non ricordo di aver mai conosciuto nel 2011, si è seduto nel cassone del track ed è venuto con noi solo per farci compagnia, senza preoccuparsi di come sarebbe ritornato, magari a piedi (nudi), impiegando alcuni giorni di cammino attraverso la foresta. Sono fatti così… come fai a non volergli bene? In Papua si può essere soli ma non si può soffrire di solitudine.

 

Ad attenderci a Bolu Bolu il flemmatico father Giovanni. Ci racconta che alcuni vandali distruggono sistematicamente i tubi che partono dalla sorgente in cima al monte, dove ci porta per visionare i danni. Presa visione di quanto è possibile fare, chiediamo ed otteniamo di poter disporre di una barca per ritornare velocemente a Watuluma, dove prendere l’apparecchiatura salda-tubi. Alla guida del dinghi l’esperto Joshua, che vive con la cuoca di Giovanni, anche lei con una storia commovente alle spalle. Pioggia battente e vento forte. Alla fine del viaggio di ritorno siamo tutti e tre completamente inzuppati d’acqua sia piovana che salata. Joshua si scusa per il “rif”, termine col quale viene definita sia la barriera di corallo a pochi centimetri dal livello dell’acqua, sia l’oceano quando è molto agitato. Per guidare il dinghi, in entrambi i casi occorre una perizia incredibile per evitare di incagliarsi o ribaltarsi, per cui le sue scuse ci sono sembrate alquanto improprie. Lo abbiamo ringraziato e congedato con il consueto abbraccio.

Risaliamo quindi fino alla presa. Per prima cosa è necessario scavare una traccia il più profonda possibile, dove sotterrare i tubi lungo tutto il percorso, unico modo per scongiurare il ripetersi di questi atti vandalici, messi in atto peraltro da persone che a loro volta ne subiscono le conseguenze. Questo per noi è incompensibile. Sister Adolfa (i suoi avi di chiara origine tedesca), mette a nostra disposizione un centinaio di ragazze della scuola. Oggi per loro è giorno di festa e Adolfa ritiene che anche scavare buche sia un modo per santificarlo. Ma le ragazze si mostrano subito entusiaste e felicissime di poterci dare una mano e questo mi piace di più di un semplice ordine del Furher. Leggiadre, saltellano a piedi nudi sugli enormi massi collocati lungo gli impervi sentieri, insidiosi e scivolosi. Due di loro riescono a portare il generatore, legato con la corteccia di banano ad un tronco di legno che reggono sulle spalle. Altre due col medesimo sistema portano il saldatore. Tutte le altre sono incaricate di scavare la lunghissima traccia dove interrare i tubi saldati. Chi con i badili, chi con i picconi, chi coi gusci delle noci di cocco sapientemente tagliati, qualcuna con le nude mani. Dopo un paio di giorni l’acqua, che mancava ormai da parecchi mesi, ha potuto tornare a scorrere (foto 2) lungo tutto il percorso e fino alle capanne del villaggio. Ancora una volta festa grande e l’immensa gratitudine di tutte.

Poche ore prima della ripartenza da Bolu Bolu per Alotau, Giovanni ci accompagna nella sua personale postazione internet, la piu’ bella del mondo. A circa un’oretta di cammino dalla sua casa e seguendo la spiaggia deserta da dove spuntano enormi palme che sembrano sdraiarsi sull’acqua, si arriva in una piccola insenatura isolata dal resto del mondo. In questo luogo incantevole, grazie ad una torretta della Digicel collocata sull’isola che ci sta di fronte, si riesce ad ottenere la connessione con la rete internet. Anche se non riusciamo a spiegarci come quella specie di ripetitore possa resistere, sapendo che gli indigeni non amano queste moderne diavolerie e che regolarmente le abbattono, non ci sembra vero di poter leggere la nostra posta dopo più di un mese… e soprattutto nell’incanto di un paradiso terrestre (foto 3). Da Giovanni non si ottengono grandi risposte, tantomeno riesco a sapere come abbia scoperto questo posto. Lui è assorto nei suoi pensieri, ma visibilmente soddisfatto per il lavoro fatto e ringrazia dicendo “almeno ora non mi metteranno più in croce” riferendosi alla sister tedesca ed alle ragazze delle scuole. Questa frase, detta da un sacerdote mi fa un po’ pensare…

Le stesse fanciulle che ci hanno aiutato nei lavori, ci accompagneranno nel viaggio in barca verso Alotau. Noi andremo per prendere il volo diretto alle Trobriand islands, loro per “fare pratica” come commesse, inservienti o bariste in alcuni negozi o attivita’ commerciali del paese. Giovanni racconta che il piu’ delle volte tornano incinte, di chi non si sapra’ mai. Parte di loro quindi faranno ritorno al villaggio d’origine coi loro sogni infranti da una sola notte… magari neanche di passione. Altre invece torneranno alla missione in una differente veste, da studentesse a ragazze madri. E’ un circolo vizioso ma che pare impossibile da interrompere. Solo poche riusciranno a trovare e mantenere il lavoro, naturalmente sottopagato e con gravi inadempienze da parte di chi lo offre… Nel pensare alla sorte di queste ragazze, curiosamente mi è tornato in mente il calvario al quale avevo assistito alle Galapagos, quando migliaia di tartarughine appena uscite dal guscio, dovevano percorrere “velocemente” il tratto di spiaggia che le separava dall’oceano, evitando di essere catturate dalle sule dalle zampe azzurre, giganteschi rapaci che sorvolavano a centinaia la zona. Paragone un po’ sgangherato, ma forse anche per le giovani fanciulle è una specie di selezione naturale. Giovanni racconta anche del suo ultimo viaggio nella tratta in questione e della barca che in piu’ occasioni ha rischiato di schiantarsi per le interminabili botte contro le onde impetuose dell’oceano. Dice d’aver pregato “il rosario” affinchè non succedesse qualcosa di grave ed io per un attimo ho pensato che Rosario fosse il nome del barcarolo. Una sonora risata dei presenti per una delle mie solite uscite strampalate.

 

Durante le 22 ore della traversata verso Alotau, l’oceano si è mostrato ancora una volta inclemente. A causa dei continui salti sulle onde altissime, mi sono ritrovato gli occhiali scheggiati e la fotocamera morta, dopo una rovinosa caduta sul fondo della barca. A Vico gli occhiali sono invece caduti in acqua, prontamente ripescati da un ragazzo a bordo della sua barchetta con bilanciere che si trovava per caso a passare di lì. L’unico essere vivente che si è visto durante tutto il tragitto ed era proprio lì, e in quel momento. Il suo solito… la sua solita fortuna. Intanto, appoggiata al bordo della barca, una delle ragazze sta tranquillamente pulendosi con cura le unghie dei piedi col coltello. Il coltello per le ragazze e’ come il machete per gli uomini, o come la noce di betel (bitulnat) per entrambi… non deve mai mancare! Però io penso a tutte le volte che mi sono fatto prestare il coltello per togliere la polpa dai coconuts o per sbucciare manghi e papaie…

Nella Pime House, dove facciamo ritorno dopo il periodo trascorso a Wuatuluma, Ulutuya e Bolu Bolu, ci attendono brother Giuseppe e brother Francesco, quest’ultimo gentilissimo. Si offre di andare per conto mio al Vescovado di Alotau a comprare due bottiglie del vino che usano per la messa. E’ da una vita che lo voglio assaggiare e così finalmente mi sono tolto uno sfizio. Non è gran chè.. assomiglia un po’ al nostro passito, tipo quello di Pantelleria per intenderci, che sarebbe stato meglio con qualche cantuccino toscano. Si sarebbe accompagnato bene anche con le ostie che si usano per la comunione e che ho imparato a fare a bolu bolu, con la semplice farina, un po’ d’acqua ed una specie di bistecchiera elettrica. Me ne sono mangiate un’infinità.

Qui ad Alotau c’è anche father Lino Pedercini, un folle che dovrà imbarcarsi e fare ritorno alla sua missione sull’isola di Curada. Noi invece dobbiamo procurarci i biglietti per il volo Airlines PNG con destinazione Kiriwina, l’isoletta dell’amore nell’arcipelago delle Trobriand, della quale vi racconterò presto…

Cafoi (ciao) a tutti!

 

Ferruccio Brambilla

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