I canti della filanda. Terzo episodio — Lombardi nel Mondo

I canti della filanda. Terzo episodio

Prosegue l’appuntamento con le narrazioni legate alla produzione serica comasca, giunte al terzo episodio, e con i canti tradizionali di svago e di protesta del mondo della filanda.
 LA VITA DE SAN LESSI

La vita de San Lessi

che bella vita che l’è

per ubbidir so pader

oh sì l’ha tolt miée

Per ubbidir sua mader

prest l’ha menada a cà

quand fu a metà al banchetto

s’è miss a sospirà

Perché piangì o Lessi

perché piangì mai vuu?

Ho dato in voto a Dio

la mia verginità

Quand fu a metà la strada

el boia l’ha tentà

dove te vet o Lessi,

dove te vet mai ti?

Mi vo a girare il mondo

per fare il pellegrin!

La tua moglie cara

la fa di alter marì…

Sentì ona voos dal cielo

de non scoltà quel lì:

la mia moglie cara

l’è pussè bona de mi

L’è stato via sett’anni

dopo l’è ritornà

el va in de so pader

in cerca de loggià

Mi si te loggiaria

in stalla d’i gainn

quand fu metà la notte

sentì sonà i campann

O sì l’è mort san Lessi

cont ona lettra in man

va là el suo buon pader

e non la lassa andà

Va là la sua mader

e non la lassa andar

va là il papa de Roma

e non la lassa andar

Va là la moglie cara.

oh sì la lassa andar

e poeu che l’hann legiuda

s’inn miss a sospirà…

e poeu che l’hann legiuda

s’inn miss a sospirà…

 

LA SANTA CATERINA

La Santa Caterina biribim biribim biribim bom bom

la Santa Caterina biribim biribim biribim bom bom

era figlia di un re eh-ehè eh-ehè

era figlia di un re, bum!

Suo padre era pagano biribim biribim biribim bom bom

suo padre era pagano biribim biribim biribim bom bom

sua madre invece no oh-ohò oh-ohòo

sua madre invece no oh-ohò oh-ohò

sua madre invece no, bum!

Un dì mentre pregava biribim biribim biribim bom bom

un dì mentre pregava biribim biribim biribim bom bom

il padre la scoprì ih-ihì ih-ihì

il padre la scoprì ih-ihì ih-ihì

il padre la scoprì, bum!

Che fai o Caterina biribim biribim biribim bom bom

Che fai o Caterina biribim biribim biribim bom bom

In quella posa lì ih-ihì ih-ihì

In quella posa lì ih-ihì ih-ihì

In quella posa lì, bum!

Io prego a Iddio mio padre biribim biribim biribim bom bom

io prego a Iddio mio padre biribim biribim biribim bom bom

che non conosci tu uh-uhù uh-uhù

che non conosci tu uh-uhù uh-uhù

che non conosci tu, bum!

Alzati o Caterina biribim biribim biribim bom bom

alzati o Caterina biribim biribim biribim bom bom

se no ti ucciderò oh-ohò oh-ohò

se no ti ucciderò oh-ohò oh-ohò

se no ti ucciderò, bum!

Uccidimi mio padre biribim biribim biribim bom bom

uccidimi mio padre biribim biribim biribim bom bom

ma non rinnegherò oh-ohò oh-ohò

ma non rinnegherò oh-ohò oh-ohò

ma non rinnegherò, bum!

E gli angeli del cielo biribim biribim biribim bom bom

e gli angeli del cielo biribim biribim biribim bom bom

cantarono osannà ah-ahà ah-ahàa

cantarono osannà ah-ahà ah-ahà

cantarono osannà, bum!

O CHE CANATORI L’È MAI QUEST

“O che canatori l’è mai quest!

A la matina me fann levà su prest,

a culazion se fermen no,

al mesdì me lassen ‘na cà nò,

a la sira me lassen ‘na ca tard.

Pesen i ruchett

Con quatter, sett balett.

O che padrun,

me l’è mai impusturun!

L’è semper che a vardà

Cume femm a lavorà.

Lunga l’è lunga,

la paga l’è poca, la seda l’è cattiva,

de strazza en voeuren minga,

i rucchett i voeuren bun,

i c ò i voeuren su,

e su, e su, e su,

i canatori vegni pù.

 

LUNGA L’E’ LUNGA, LA PAGA L’E’ POCA…

cioè LA IRRESTIBILE TENTAZIONE di madre e figlie Moneghette

di Magda Noseda

Como, 1802, dal fondo Camera di Commercio di Como b. 26 (fascicolo 12) e b. 21

Se per i tessitori che abbandonano i telai la Eccelsa Camera sembra avere un atteggiamento più tollerante, non così avviene per i furti di seta che agli inizi dell’Ottocento paiono numerosissimi e che sono definiti: la rovina delle manifatture e del commercio!!! Le prigioni, ahimè, attendono lavoratori e lavoratrici nel campo della seta e ne sono addirittura piene!

Quella tessile era dunque una categoria di disonesti per definizione? Oppure la facilità al furto era dettata da una rivalsa contro l’eccessivo sfruttamento? Oppure ancora, era la materia stessa, così apprezzata dal mercato e così duttile alla trasformazione, a prestarsi, a suggerire quasi l’appropriazione, sperando di farla franca?

Maggio 1802. Si era accorto, già da vari mesi, che andavano continuamente mancando delle sete affidate a lui, Antonio Pozzi, Capo Fabbrica, per essere convertite in stoffe. Si era dato da fare parecchio per scoprire chi fosse l’“usurpatore”, ma senza successo.

Da un mese a questa parte, però, gli era caduta in sospetto una incannatrice che teneva a giornata: sì, una certa Barbara Moneghetta figlia della vedova Cattarina, abitante alla Riva del Lago. Ma era poco più di una bambina! Che diamine! Non aveva né destrezza, né abilità per nascondere la refurtiva!

Eppure quel sospetto si faceva sempre più certezza. Che cosa fare per coglierla in fallo? Doveva assolutamente coinvolgere un testimone, un intermediario. Ma di chi fidarsi, senza destare sospetti, senza che la ragazza ne fosse informata?

Ecco, sì, … forse poteva essere aiutato dalla Maria Ceriani, la moglie del parrucchiere alla Riva del Lago. Era una donna convincente e, per di più, era tipo da prestarsi alla commedia. La Ceriani avrebbe potuto chiedere alla Barbara di portarle delle sete ora dell’uno, ora dell’altro colore che lui (il Pozzi) avrebbe marcato segretamente …

E così si sarebbe smascherata!

La perfida lucidità degli adulti è superiore a quella della gioventù che agisce invece d’impulso, quasi senza ragionare. E’ così che la povera Barbara incomincia a portare alla Ceriani alcune sete contro il pagamento, rifuso dal Pozzi, di mano in mano che queste gli venivano riconsegnate. Spinto da tale sviluppo di eventi, ma ancor più dalla rabbia di essere raggirato da una adolescente, il Pozzi sporge denuncia alla Camera di Commercio.

Una denuncia circostanziata e molto convincente tanto che il Commissario della Camera si reca senza indugio alla casa di Barbara, che abitava insieme con la madre, e vi trova, purtroppo, della seta!

La Barbara è convocata subito, ma non è sola, viene chiamata anche la sorella Marianna, sulla quale sono caduti dei sospetti poiché anche lei lavorava nella casa del Pozzi.

Le ragazzine vengono interrogate, secondo le perfette regole inquisitorie e cioè SEPARATAMENTE! Così il Commissario può controllare le contraddizioni, i punti di contatto tra le deposizioni, può mettere l’una sorella contro l’altra.

Ma non ce n’è quasi bisogno: impaurite da quel mondo adulto e maschile che si faceva minaccioso, sopraffatte dall’emozione di trovarsi in sale grandi e ben arredate cui non erano avvezze … le due sorelle confessano quasi all’istante.

Marianna dice di aver venduto da circa 3 mesi due filzoli (= gruppo di spire per avvolgere il filato) di trama nera (= filato già ritorto) ad una certa Felicina Gianotta, moglie del fu Antonio, che abitava al così detto Prato delli Occhi (= la piazza Roma). La Gianotta era una lavoratrice di bindello a cui, un’altra volta, aveva venduti due filzoli di trama bianca pagata in ragione di 20 soldi all’oncia e gliela portava in casa sua verso l’Ave Maria della sera, alla fine della giornata di lavoro, quando poteva uscire dalla casa del Pozzi, evadendo la vigilanza sua e lo sguardo indagatore delle colleghe. Una volta sola si era fatta aiutare dalla sorella Barbara.

Barbara depone affermando che da circa 6 mesi aveva cominciato a prendere seta in casa del capo Tessitore Antonio Pozzi per portarla a vendere alla Gianotta, che la curava vicino alle Piode (= la piazza Grimoldi, vicino al Palazzo Vescovile), sempre verso sera, ma le venivano dati alle volte solo 20 soldi, alle volte meno, e che ciò succedeva 2 o 3 volte alla settimana, e ne vendeva circa un’oncia per volta (= circa 30 grammi). Soltanto da circa 15 giorni ne aveva vendute 4 once (= circa 120 grammi) alla Sagna, la moglie del parrucchiere Pietro Ceriani.

Tutto il traffico era iniziato dietro istigazione della stessa Gianotta la quale aveva procurato di indurla al furto fin dal tempo in cui Barbara si trovava presso un altro padrone.

Finito l’interrogatorio, il Commissario fa visita alla casa della Gianotta, trovandovi sul telaio una pezza di bindello nero che era di ragione del tintore Antonio Porta, abitante a Porta Sala e due canne con sopra qualche poca trama bianca che la stessa Gianotta dice essere residuo di trama venduta da Cattarina Moneghetta, madre di Marianna e Barbara, con cui aveva fatto circa 40 braccia (= 1 braccio = 60 cm., quindi 2 metri e mezzo) di bindello bianco, che poi aveva venduto ad un mercante vicino al Cantaluppi alle Piode, le pare di ricordare che si chiamasse Luigi Bianchi.

La madre Moneghetta gliene aveva data ben 3 o 4 volte, ma poi, malgrado gliela avesse esibita ancora, non ne aveva voluto prendere più, tanto che, allora, la madre Moneghetta le aveva risposto: le porterò al Raschi! Cosa che avvenne diverse volte.

Natale Raschi comprava tale genere di seta e venne pertanto perquisito per ordine della Camera, sia nella casa, sia nella bottega in parrocchia di Santa Maria. Si guardò attentamente ovunque, si frugò in tutti gli anfratti, gli fu richiesto perfino di aprire il vestaro dove infatti fu ritrovata parecchia seta:

– 6 filzoli di trama celeste di peso di once 9 che diceva di averla avuta in pegno dal Capo Tessitore Saverio Pedraglio abitante a San Lorenzo,

– 4 filzoli di colore rosa, verde, bianco e bleu del peso di circa 2 once che diceva averli comprati dalla cittadina Malgrada detta Benasè,

– 7 filzoli di diversi colori di trama ed organzino che diceva di averli presi da molto tempo e non si ricordava da chi,

– 2 filzoli di colore nero e bleu comperati solo il giorno prima da una donna forastiera che abita in casa dell’oste così detto Barlassina, la quale era in compagnia di una giovane figlia del Bollatore di Menaggio, dichiarando di averle dato in pagamento 18 soldi,

– 8 azze (=matasse) di seta greggia data in pegno da Margarita Zighler,

– un mattone di seta greggia avuto dalla moglie di Ludovico Butti, Guardia di Finanza abitante in piazza Jasca,

– 3 canne di legno con sopra poca seta bianca avute in casa da molto tempo.

Tutto, però, sembrava regolare!

Le uniche colpevoli accertate erano dunque le ree confesse!!!

Furono pertanto consegnate alla PRETURA di Como, che eseguì l’arresto e inflisse alle due sorelle Barbara e Marianna Moneghetta una penosa prigionia!

12 agosto 1802. E’ già più di un mese che le due ragazzine soffrono in carcere. La mala stalla si chiama il Carcere di Como. Il Pozzi, sbollita l’ira e recuperata in parte la seta, ha fatto nel frattempo ampia remissione alle detenute e alla madre di esse.

Persino il Protettore dei Carcerati si fa carico del triste destino delle ragazze e invia alla Camera una supplica in cui tutto spera dall’umanità della stessa, invitando a considerare l’età immatura e minorenne delle figlie, la miseria dei tempi e della loro famiglia, la sofferta carcerazione che potrebbe bastare ad essere ritenuta sufficiente per la correzione delle detenute e per esempio agli altri!

Il Protettore spinge la Camera a prendere una decisione affinché, previa seria ammonizione alle figlie Moneghette di astenersi da simili furti, le ragazze vengano poste finalmente in libertà.

Ma una volta libere ritroveranno le nostre un nuovo lavoro col quale sostentarsi? Verrà loro accordata fiducia? Ci sarà qualcuno disposto a prendersele in casa o in fabbrica?

SONO QUESITI CHE NON SEMBRANO ESSERE PIU’ PREOCCUPAZIONE DELLA ECCELSA CAMERA!

PULIROEU TOEU SU ‘L SO GERLO

Puliroeu toeu su ‘l so gerlo

e ‘l va in gir a vend i oeuv

i oeuv, i oeuv,

el puliroeu,

toeu soeu ‘l so gerlo,

e poeu ‘l va in gir,

e poeu ‘l va in gir, a vend i oeuv,

i oeuv, i oeuv.

Quand fu sta

là ‘n tocch de strada

‘na spusina l’ha incontrà

el puliroeu,

e quand fu sta,

là ‘n tocch de strada

una spusina, ‘na spusina

l’ha incontrà, el puliroeu!

O spusina vurì

i oeuv, i oeuv, i oeuv,

vurì i oeuv de fa rustì,

e la spusina, la gh’ha risposto:

“I oeuv, i oeuv ga i hoo,

‘nca mì,

ga i hoo, ‘nca mì,

compagn de ti!”

Puliroeu mett giò

‘l so gerlo

e ‘l comincia a pizzigà

i gamb e i brasc

e la spusina, tutta rabiada,

in una sces, in una sces

al l’ha buttà,

de la part de là

Puliroeu toeu

su ‘l so gerlo

e ‘l va a cà tutt massacrà,

tutt massacrà, e la sua donna

si mise a ridere,

“Ta ‘mpareret pizzigà i donn, pizzigà i donn

porcell d’on omm!”

 

TRAPPOLIN

A cà mia foo a mè moeud

ciapi i legn de pissà ‘l foeugh,

trappolin de ciapà i ratt

te me fet diventà matt.

A cà mia foo a mè moeud

gh’hoo ‘ buffet de pissà ‘l foeugh

trappolin de ciapà i ratt

e la serva de lavà i piatt.

Pizzighela, pizzighela

la te dirà di sì

pizighela, pizighela

pizighela notte e dì.

Mi gh’avevi ‘na giachetta

l’era bela de qualità

ghe mancaven i do manich

e duu quart in pű tacca

el dedree el gh’era no

el colett l’hoo no trovaa

mì gh’avevi ‘na giachetta

l’era bella de qualità.

Pizzighela, pizzighela

la te dirà di sì

pizighela, pizighela

pizighela notte e dì.

Pizzighela, pizzighela

la te dirà di sì

pizighela, pizighela

pizighela notte e dì.

Pizzighela, pizzighela

la te dirà di sì

pizighela, pizighela

pizighela notte e dì.

IL MURATORE

Oh mama la mè mama il muratore

l’ha fabricaa ‘l poggioeu ma dell’amore,

l’ha fabbricaa ‘l poggioeu che ‘l guarda in piazza

per vedere l’amor mio ma quand che ‘l passa

l’ha fabbricaa ‘l poggioeu che ‘l guarda in corte

per vedere l’amor mio andà a la morte.

Oh mama la mè mama vu si bela

vu sii la rosa e mi son la ramela

vu sii la rosa che compagna ‘l fiore

e mi son la ramela, ma dell’amore,

vu sii la rosa che compagna ‘l fiore

e mi son la ramela, ma dell’amore.

Sta notte ‘l mio giardin l’è stato aperto

Le rose più gentil son staa rubate,

ma se sapessi che l’è staa ‘l mio amore

gli donerei la rosa che l’è un bel fiore,

ma se sapessi che l’è staa ‘l mio amante

gli donerei le rose tutte quante-

Là in fondo all’ortisel c’è un per seghino

e su quel persegui c’è un uccellino,

el g’ha la pena d’ora in su la coa

chi g’ha la dona bela l’è minga soa,

el g’ha la pena d’ora in su la coa

chi g’ha la dona bela l’è minga soa.

 

Per gentile concessione dell’Archivio di Stato di Como

 

 

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