Un ricercatore italiano fra Londra e Barcellona — Lombardi nel Mondo
Un ricercatore italiano fra Londra e Barcellona
Dopo un dottorato in biomeccanica al King’s College di Londra, lo scorso maggio Vito si è dovuto nuovamente trasferire – questa volta in Spagna, a Barcellona – per continuare la propria attività di ricerca. Se le soddisfazioni ottenute da questa carriera all’estero sono certamente tante, la delusione nei confronti dell’Italia è innegabile. Ecco la testimonianza di un giovane ricercatore di talento che, come tanti altri, è condannato all’esilio da un Paese che ormai non investe più sui giovani e, tantomeno, sulla ricerca scientifica.
D: Ciao Vito, ci descriveresti in breve il percorso di studi che hai seguito in Italia?
R: Certamente. Dopo aver frequentato il liceo scientifico a Potenza mi sono iscritto all’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove mi sono laureato con lode in Fisica Teorica.
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D: Quando è che hai capito che nel tuo Paese non avresti avuto un futuro?
R: Penso sia stato il giorno in cui decisi di andare in segreteria per ritirare le tracce delle prove per il concorso di ammissione al Dottorato tenute negli anni precedenti. Fu allora che scoprii che, secondo una prassi all’epoca già consolidata, le tracce non erano a disposizione dei candidati interessati a trasferirsi all’estero…
D: Come giudichi complessivamente la tua esperienza al King’s College di Londra?
R: Sono stato addestrato a fare ricerca di alto profilo scientifico in un contesto internazionale molto competitivo ma anche meritocratico. Ritengo sia stata un’esperienza dal valore inestimabile che ha valorizzato al meglio il mio potenziale professionale.
D: Quali differenze hai trovato nel mondo accademico anglosassone rispetto a quello italiano?
R: Il mondo accademico italiano è un sistema all’interno del quale ricercatori e docenti temono la bravura altrui (percepita come una vera e propria minaccia) al punto di affossarla e distruggerla con ogni mezzo e a ogni costo – persino a costo di sacrificare l’interesse del “feudo” universitario. Nel mondo accademico anglosassone, invece, il ragionamento è rovesciato. Le capacità altrui, per quanto temute, vengono valorizzate e coltivate al massimo. Questo perché si ritiene che sia l’unica strada efficace per favorire non solo il sistema nel suo insieme, ma anche – seppur indirettamente – il proprio interesse personale.
D: A tuo avviso, come dovrebbe cambiare l’Università in Italia per tornare a dare il necessario spazio ai giovani ed evitare la tanto discussa “fuga dei cervelli”?
R: Penso di poter rispondere a questa domanda con una sola parola: meritocrazia.
D: Conosci altri giovani ricercatori italiani che sono stati costretti a seguire la tua stessa strada?
R: Sì, tantissimi… più numerosi dei granelli di sabbia in riva al mare.
D: Ti sei da poco trasferito a Barcellona. Ci diresti le tue prime impressioni?
R: Faccio ricerca post-dottorale per un istituto semi-privato affiliato all’Università di Barcellona. In apparenza, il mondo universitario spagnolo sembra identico a quello italiano. Ma in realtà c’è una differenza tutt’altro che trascurabile: loro si sono già resi conto del fatto che è necessario invertire marcia puntando sulle capacità dei ricercatori e sulla meritocrazia affinché il sistema possa sopravvivere.
D: Pensi che in Spagna potrai finalmente trovare una sistemazione definitiva?
R: Chi vivrà vedrà… In un clima mondiale come quello attuale è il massimo che mi sento di dire.
D: Che prospettive avresti se oggi tu decidessi di ritornare a lavorare nel mondo universitario italiano?
R: Assolutamente nessuna. Chi va a Roma perde la poltrona!
Grazie Vito, e in bocca al lupo per la tua nuova esperienza a Barcellona!
Intervista di Andrea Muzzarelli (@amuzzarelli)
Fonte: http://www.italiansinfuga.com/
Marcella Bellocchio
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