La dea della danza (seconda puntata) — Lombardi nel Mondo

La dea della danza (seconda puntata)

Federico II di Hohenzollern, o Federico il Grande, nacque a Berlino il 24 gennaio 1712. Nel trecentesimo della nascita di questo regnante proponiamo ai lettori di Lombardi nel Mondo il ritratto di Barbara Campanini che si esibì a lungo alla corte prussiana, lasciando rilevanti testimonianze della sua arte e personalità.
La dea della danza (seconda puntata)

Federico II di Prussia

In questo regno Barbara Campanini debuttò il 13 maggio 1744. Il «ballet d‘action», integrazione perfetta tra libretto, musica, coreografia e scenografia, fu portato dalla Campanini al successo. Con lei trionfa la danza, tutta italiana, integrata dal «salto», al contrario della «danza bassa» di tradizione francese. Federico II le offrì un contratto quinquennale a 5000 talleri l‘anno. Una cifra enorme per una ballerina, con diritto a cinque mesi di ferie! Un anno dopo, visto il successo all‘Hofoper Unter den Linden, la somma venne portata a 7000 talleri. Il compositore di corte Carl Philipp Emanuel Bach, figlio del celebre J. S. Bach, doveva accontentarsi di «soli» 300 talleri!

Ciò mandò in crisi Voltaire, scandalizzato che una ballerina venisse remunerata in tal modo. Che una ballerina ricevesse simili attenzioni a corte, era sorprendente. Monsieur Voltaire, velenoso come sempre, mormorava che «la Barbarina veniva pagata più d‘un ministro». E si lamentava che, a lui, erano destinati «solamente» 5000 talleri. Invidia, forse. Invidia per quella ballerina parmense ammessa nella cerchia più confidenziale di sua maestà. Monsieur si vendicò scrivendo nella «Vita privata di Federico II» che la Campanini piaceva a Federico II per le sue «gambe muscolose che gli ricordavano quelle di un uomo».

Barbara Campanini partecipa a un momento storico in cui l‘area di lingua e cultura tedesca è impregnata di cultura italiana. A Stoccarda, Colonia, Norimberga, Francoforte, Magonza, Dresda, Duesseldorf e Berlino… cantanti, attori, ballerini, musicisti, poeti e compositori italiani sono richiestissimi, quasi a completare quelle architetture barocche che, a partire dal XVII secolo, sono fiorite in ogni angolo della Germania. Era un dovere per le corti europee, e tedesche in particolare, ingaggiare compositori, poeti e artisti italiani. Era un‘epoca dove una festa seguiva l‘altra, una rappresentazione succedeva a un‘altra, tra scenografie olimpiche mosse da incredibili macchine teatrali, animate da divinità, pastori, guerrieri e cigni. Basti pensare alla gloria che il Metastasio raccolse a Vienna. Al leggendario Farinelli, a Faustina Bordoni, moglie e interprete ideale delle creazioni di Johann A. Hasse, compositore tedesco che dimostrava come la musica italiana del XVIII secolo svolgesse un ruolo primario.

Nel 1746 Berlino era un enorme cantiere. Sans Souci era quasi completato. Dietro l‘Opera iniziavano i lavori per la cattedrale di Sankt Hedwig. In questa città, nel palazzo di Bahrenstrasse, Barbara Campanini apre i saloni a nobili prussiani e intellettuali europei presenti nella capitale. Di qui passò anche l‘Algarotti, ambiguo protetto dell‘imperatore. Sarà il veneziano a suggerire la futura scritta per il cornicione dell‘Opernhaus: «Fridericus Rex Apollini et Musis», ricambiato dal «re filosofo» che farà erigere il monumento funebre dell‘Algarotti nel Camposanto di Pisa.

Nelle corti europee si mormorava che ci fosse del «tenero» tra Federico II e la ballerina, donna e artista da «chronique scandaleuse». Tutti parlavano di lei. Della sua bellezza, per esempio, testimoniata da numerose memorie, dal ritratto di Rosalba Carriera (Gemaelde Galerie, Dresda) e dalla tela di Antoine Pesne (databile 1745 e ora nello Schloss Charlottenburg). Ne scrissero la Vossische Zeitung (fondata nel 1617) e la Spenersche Zeitung, fondata in quegli anni ruggenti. Le dedicarono versi in latino che la celebravano come una creatura che riuniva in sé le virtù di Venere, Giunone e Minerva.

Eccone un esempio: «[…] In Te naturae rarum est certamen et artis: / Dotibus ista suis se probat, illa suis. / Hic Phrygius, tribuat judex cui paemia palmae, / Haeret, et arbitrii defugit usque caput. / Juno grado placuit, specie Venus, arte Minerva: / Barbara divarum singula sola tenet. / Perpetua Superi servent Tibi lege iuventam, / Nil te nobilius vel Venus ipsa dabit».

In questo periodo la vita e la carriera di Barbara Campanini hanno una svolta. L‘amore e la passione fanno la loro parte. Nel 1748 la ballerina cade in disgrazia presso Federico II per aver accettato l‘offerta di matrimonio del nobile Carl Ludwig von Cocceji che, balzato sul palcoscenico durante una rappresentazione, le dichiarò il suo amore tra gli applausi degli spettatori. Carl Ludwig era il figlio del cancelliere prussiano Samuel von Cocceij che cercò in tutti i modi d‘impedire la relazione tra la Campanini e il figlio. Fu lui a consigliare Federico II di sciogliere il contratto con l‘artista parmense.

La Barberina si rifugiò in Inghilterra e il suo spasimante fu rinchiuso per un anno e mezzo nelle patrie galere. Quando Barbara Campanini ritornò in Prussia, sposò segretamente Carl Ludwig. Carl Ludwig Cocceij venne esiliato a Glogau (Glogów), in Slesia. La Barberina lo seguì, dopo aver venduto il palazzo berlinese di sua proprietà. Dieci anni durò il legame tra Barbara e Carl Ludwig, ma la separazione fu pronunciata solamente nel 1788. Nel 1789 Federico Guglielmo II la elevò a contessa. Poco o nulla si conosce del lungo periodo trascorso in Slesia, anni sicuramente molto diversi dai frenetici periodi francese, inglese e berlinese.

A Barschau (Barszow), la più famosa ballerina d‘Europa diede vita a una fondazione per giovani nobili decadute. Della fondazione, il cui motto era «Virtuti asilum», fu badessa sino alla morte, che la colse nella sua residenza il 7 luglio 1799. Chi cercasse Barschau, non la troverà più. La località è stata sommersa dalle scorie di una miniera di rame attiva sino al 1970.

Le spoglie della grande Barbara Campanini, invece, riposano sotto il freddo pavimento della chiesetta di Hochkirch. Qualche informazione la potrà dare il curato. Nient‘altro. Neppure una lapide ricorda l‘artista parmense, i suoi successi, la passione per la danza, gli amori e il lungo soggiorno in Slesia.

O i momenti in cui le ricompariva nella memoria l‘immagine d‘una bimba che, nella sala d‘una scuola di danza di Parma, eseguiva passi e salti e giri, si piegava e rialzava, al comando della madre. Gli occhi sgranati su un futuro d‘arte e amore.

 

Fine

 

Luigi Rossi (Bochum)

www.luigi-rossi.com

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