Ermanno Stradelli: il figlio del serpente incantato — Lombardi nel Mondo

Ermanno Stradelli: il figlio del serpente incantato

Dal 10 maggio all’8 giugno, presso il Centro Cultural Galeria Gustavo Schnoor nel quartire Maracana a Rio de Janeiro sarà possibile ammirare un’esposizione composta da 28 fotografie storiche scattate dall’etnografo ed esploratore italiano Ermanno Stradelli alla fine dell’Ottocento.

Segue una nota sul personaggio tratto dal sito Parma e Piacenza on line.

Esposizione fotografica a Rio de Janeiro

“Per gli indigeni del Rio Negro che lo stimavano profondamente era il “figlio del serpente incantato”, e di certo Ermanno Stradelli è da considerare il più importante esploratore dell’Amazzonia, uno dei più illuminati etnologi e geografi italiani.

Nato a Borgotaro nel 1852 da famiglia nobile – il padre Francesco ricevette il titolo di Conte da Maria Luigia d’Austria e la madre, Marianna Douglas Scotti di Vigoleno era contessa, di remota ascendenza scozzese – a 27 anni parte per il Sud America arrivando a Manaus, base delle sue spedizioni in vari punti dell’Amazzonia.

Rientrato in Italia nel 1884 per terminare rapidamente gli studi universitari di diritto dopo pochi anni si imbarca nuovamente, stavolta per il Venezuela, con l’ambizioso proposito di individuare le sorgenti dell’Orinoco. Nel 1890 è di nuovo nel Vaupés, spingendosi nel 1891 fino alle cascate di Yuruparí.

Un mondo, quello della foresta amazzonica, che Stradelli amava e rispettava e raccontava nelle relazioni inviate al Bollettino della Società Geografica Italiana: popolazioni, fiumi, miti, rituali descritti con scrupolo e attenzione, con stile sobrio ed incisivo: un approccio, soprattutto, privo di pregiudizi eurocentrici e animato da un grande rispetto per le culture indigene. Pronto a condividere le esperienze con i suoi ospiti, era tra i pochissimi bianchi cui fosse permesso percorrere liberamente la zona. Guardava con preoccupazione i metodi presuntamente civilizzatori dei bianchi (militari, commercianti, evangelizzatori) e considerava una grave sventura la scomparsa dei popoli indigeni e l’annientamento del loro modo di vivere e interpretare il mondo. Lui, che si era laureato in diritto internazionale con la tesi “Hanno diritto le nazioni civili di appropriarsi delle terre dei Barbari?” nel 1896, con voce solitaria aveva denunciato per primo la distruzione delle culture indigene e aveva applicato la tradizione umanista italiana alla sua visione della foresta amazzonica. A lui si devono anche la prima grammatica e il dizionario della lingua franca di quei territori.

L’esperienza di Ermanno Stradelli è così importante che ancora oggi, un secolo dopo, il suo nome viene associato a progetti di protezione dell’ambiente e di preservazione della cultura e delle tradizioni degli indigeni, come quello lanciato nel 2000 da Amazon conservation team, la mappatura della foresta pluviale con tanto di toponomastica indigena promossa da Google Earth.

La modernità del suo approccio gli permise di riconoscere quanto quella natura possente fosse retta da un fragile equilibrio: nel 1884 scriveva sui bollettini della Società geografica italiana denunciando come la lavorazione del caucciù fosse un “crimine contro l’umanità” e spiegando come le popolazioni indigene erano le prime a subire le conseguenze dell’arrivo in massa di contadini senza terra dal nordest, a caccia di improbabili ricchezze.

In Italia, Danilo Manera, narratore, traduttore, critico letterario e giornalista, affascinato dal personaggio e dai suoi scritti, ha scelto, dopo molti anni, di mettersi sulle orme del grande esploratore in un avventuroso viaggio nella foresta e nelle leggende del Vaupés colombiano e da questa esperienza è nato il libro “Yuruparì. I flauti dell’anaconda celeste” pubblicato da Feltrinelli Traveller.”

 

Articolo inviato da Marco Stella, Rio de Janeiro

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