Per i tango bond un altro rinvio in vista — Lombardi nel Mondo

Per i tango bond un altro rinvio in vista

Ennesima doccia fredda per i risparmiatori italiani che ancora detengono obbligazioni dell’Argentina andate in default nel 2001, i famigerati tango bond. L’intervento nelle ultime ore di un giudice di New York, che ha congelato i fondi della Banca centrale argentina presso la Federal Reserve , di Alessandro Merli

Ennesima doccia fredda per i risparmiatori italiani che ancora detengono obbligazioni dell’Argentina andate in default nel 2001, i famigerati tango bond.

 

L’intervento nelle ultime ore di un giudice di New York, che ha congelato i fondi della Banca centrale argentina presso la Federal Reserve, ha complicato ulteriormente il recente tentativo di Buenos Aires di normalizzare i rapporti con i creditori esteri per poi tornare a raccogliere capitali sui mercati.

 

Il giudice americano, Thomas Griesa, è una frequente comparsa nella lunga saga del debito argentino, del cui capitolo più recente sono protagonisti la presidente della Repubblica, Cristina Kirchner, e il capo della Banca centrale, Martin Redrado, faccia a faccia in uno scontro istituzionale senza precedenti.

 

La signora Kirchner e il suo predecessore e marito Nestor hanno costruito negli anni la propria popolarità sul maltrattamento dei creditori esteri. Nel 2005 hanno imposto loro il taglio più pesante mai realizzato in una ristrutturazione di debito sovrano, offrendo il 30% circa del valore originario dei crediti. Il default prima e lo scambio-capestro poi hanno giovato ai sondaggi del governo, fino a favorire la curiosa staffetta fra marito e moglie alla Casa Rosada. Ma hanno fatto dell’Argentina un pariah sui mercati finanziari internazionali. Buenos Aires allora ha cercato risorse altrove: prima collocando i suoi bond all’amico venezuelano Hugo Chavez, poi nazionalizzando i fondi pensione e mettendo le mani nelle loro casse.

 

Esauriti questi escamotage, si è fatta strada negli ultimi mesi la consapevolezza che nel 2010, e soprattutto nel 2011 (anno di elezioni presidenziali), il Governo sarebbe andato incontro a un’altra bancarotta se non avesse potuto far ricorso ai mercati dei capitali. Al G-20 di novembre a St. Andrews, in Scozia, il ministro dell’Economia, Amado Boudou, aveva annunciato quindi di voler preparare in tutta fretta un altro swap per convincere quei creditori che nel 2005 si erano rifiutati di aderire al primo e che tuttora detengono 20 miliardi di dollari di titoli argentini (più 9 di interessi non pagati). Tra loro, molte decine di migliaia di risparmiatori italiani, cui veniva promesso, tra l’altro, un trattamento di favore rispetto agli hedge fund e agli “avvoltoi” che avevano raccattato debito argentino a prezzi di realizzo dopo il default.

 

A metà dicembre, quando ormai cominciavano a circolare le bozze dei documenti per l’operazione, la signora Kirchner annunciò che, a garanzia delle sue buone intenzioni, l’Argentina avrebbe messo a disposizione 6,6 miliardi di dollari delle riserve ufficiali accumulate in questi anni (sono 48 miliardi, grazie al boom dell’export di materie prime). L’annuncio ha scatenato una reazione a catena che il presidente certo non si aspettava. L’opposizione ha sostenuto che l’uso delle riserve della Banca centrale serviva al governo per gonfiare la spesa pubblica in vista delle elezioni, Redrado si è messo di traverso a difesa dell’indipendenza della Banca centrale (e, mormora qualcuno, delle sue ambizioni politiche), gli investitori esteri si sono trovati ancora una volta presi in mezzo dalle decisioni di un interlocutore inaffidabile.

 

Il 7 gennaio la Kirchner si è appropriata per decreto delle riserve che voleva e ha licenziato il banchiere centrale. In ventiquattr’ore, un tribunale ha congelato entrambe le decisioni, consegnando la vicenda allo stallo. Il governo ha fatto appello. Il 20 gennaio prossimo, il Congresso, oggi controllato dall’opposizione, che ritiene di aver trovato l’arma per mettere con le spalle al muro i Kirchner, rinuncerà persino alle intoccabili ferie estive per discutere il caso.

 

Nella confusione si è inserito ora il giudice Griesa, che da New York aveva negli anni sempre bocciato le richieste dei creditori di rivalersi sui fondi della Banca centrale argentina alla Fed, accogliendo la tesi di Buenos Aires che essi andavano tenuti distinti dalle casse del governo, cui fanno capo i debiti verso gli investitori. Se però è il Governo il primo a metter le mani sulle riserve della Banca centrale, l’argomentazione non regge più. Per ora, Griesa si è limitato a bloccare una piccola somma, 1,7 milioni di dollari. Ma è chiaro che con la spada di Damocle di ulteriori sequestri giudiziari, difficilmente l’offerta di scambio dei vecchi tango bond potrà procedere. Anche se lo stesso Boudou ha detto ieri che «non c’è ragione per non andare avanti». Le banche che lo consigliano, e soprattutto gli investitori che avrebbero dovuto partecipare all’operazione (a condizioni peggiori di quelle del 2005), non sembrano dello stesso avviso. Almeno fino a quando gli argentini non avranno risolto a casa propria quel pasticcaccio brutto delle riserve.

 

Fonte: ilsole24ore

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