Giovani italiani in Germania: un mondo da scoprire — Lombardi nel Mondo

Giovani italiani in Germania: un mondo da scoprire

L’indagine qualitativa realizzata da Edith Pichler, grazie all’impegno dei Com.It.Es di Colonia, Dortmund, Francoforte, Friburgo, Hannover, Saarbrücken e Stoccarda, ci permette di conoscere in parte la galassia giovanile di origine italiana che vive nell’area di lingua e cultura tedesca.

La presentazione nella sede dell’Auslandsgesellschaft NRW di Dortmund dell’indagine di Edith Pichler Junge Italiener zwischen Inklusion und Exklusion (pag. 208, Berlino 2010) «sulla situazione dei giovani italiani in alcune Regioni della Germania» mi ha fatto pensare quanto fosse necessario, da parte delle istituzioni italiane, affrontare questa realtà. Spinosa e complessa, ma anche ricca di spunti positivi.

Un simile studio, se fosse stato realizzato nel periodo 1960-2000, invece di venir rimandato sine die, avrebbe potuto avere come titolo I giovani italiani tra integrazione ed emarginazione oppure Ricerca sull’emarginazione dei figli degli immigrati italiani. Forse: Quale futuro per i figli dei Gastarbeiter italiani in Germania? L’indagine avrebbe potuto aiutare chi operava a stretto contatto con l’universo giovanile della minoranza italiana in Germania. Essere un campanello d’allarme per diverse famiglie pronte ad indirizzare i giovani alla volta dell’inflazionata microeconomia etnica e l’emarginazione, invece di stimolarli a completare con il massimo impegno studi primari e secondari, affrontando l’apprendistato e/o l’avventura universitaria.

Ho letto Junge Italiener zwischen Inklusion und Exklusion con la dovuta calma. Mi giunse nei giorni in cui un articolo apparso sulla WAZ (18.01.2011, Muslime in NRW – Religiös und Integriert, il titolo) attirò la mia attenzione. Il servizio presentava un’ampia e sorprendente inchiesta effettuata all’interno della galassia musulmana. Vi si riportava che un musulmano su due è profondamente legato alla religione e membro di un’associazione tedesca. Che non corrisponde al vero che la maggior parte dei musulmani viva dell’assistenza sociale. Che i più sono aperti ai contatti con i non musulmani. Mentre il 35 % dei giovani turchi consegue la maturità o un diploma che gli permette di frequentare un istituto superiore di qualificazione professionale, percentuale che raggiunge l’80 % tra gli emigrati d’origine iraniana. Uno su dieci confessa d’avere problemi con la lingua tedesca. Il 70% si sente fortemente attratto dalla Germania, quasi fosse una seconda patria. Lo studio, affrontato per la prima volta da esperti e diretto a cogliere abitudini e condizioni dei musulmani nel Nord Reno Vestfalia, sottolineava come questa minoranza etnica sia attualmente impegnata a superare il gap esistente nella formazione.

Due rilevanti indagini, Junge Italiener zwischen Inklusion und Exklusion e Muslime in NRW, apparse tra la fine del 2010 e i primi del 2011. Due ricerche i cui risultati stridono con gli allarmismi lanciati da Thilo Sarrazin in un bestseller ingiusto e crudele nei confronti di tutte le minoranze che nell’ultimo mezzo secolo hanno partecipato all’avanzamento sociale, culturale ed economico di un Paese che negli ultimi anni sembra aver scoperto le enormi risorse che le minoranze etniche hanno portato e portano con sé.

 

La presentazione dell’indagine Junge Italiener zwischen Inklusion und Exklusion ha permesso alla dr.ssa Paola Russo, Console d’Italia a Dortmund, di accentuare l’importanza della formazione scolastica, all’origine del successo e della riuscita sociale ed economica, non solo dei singoli. Per la presidente del Com.It.Es di Dortmund, Marilena Rossi, la fatica di Edith Pichler segna l’inizio di una nuova fase d’intervento nel settore scolastico e sottolinea la rilevanza delle precedenti campagne informative avviate dal Com.It.Es di Dortmund, come i diversi progetti socioculturali che negli ultimi anni sono stati realizzati, mettendo in luce ricerche e attività che hanno riscosso grande interesse presso la collettività italiana e la cittadinanza tedesca.

Edith Pichler, nata a Bolzano e cresciuta a Cles, ha aperto il pomeriggio evidenziando la rilevanza della «nuova mobilità» italiana in Europa, diversa nella sua natura ed evoluzione dalle ondate migratorie del secolo scorso. Edith Pichler, docente alla Humboldt Universität di Berlino, dove si è laureata con una ricerca su «emigrazione ed economia etnica», ha sottolineato le non trascurabili «diversità regionali».

Dalle rilevazioni statistiche, scolari e studenti di origine italiana, dopo la quarta elementare, sono seminati tra Hauptschulen, Realschulen, Gymnasien e Gesamtschulen, senza scordare le «famigerate» Sonderschulen (scuole differenziali): un sistema scolastico «estremamente selettivo che penalizza scolari provenienti da famiglie con un livello di scolarizzazione non alto e non in possesso dell’habitus adatto e dominante».

Nel Baden-Württemberg e in Baviera la frequenza italiana nelle Sonderschulen, nell’anno scolastico 2008-2009, tocca il 10%. Negli altri Länder (con l’eccezione di Berlino) si va dal 4,92 % (Saarland) all’8,6 % dell’Assia. Una percentuale che stigmatizza una situazione che si protrae da decenni. Nonostante interventi e denunce di esperti, le alte percentuali di scolari italiani nelle scuole differenziali tedesche non accennano a diminuire.

La situazione nei Gymnasien (licei) sembra oggi diversa. Si va da una frequenza italiana del 52,5 % (!) a Berlino al 12,5 % nel Baden-Württemberg, toccando il 21 % nel Nord Reno Vestfalia e il 26 % in Assia. Dove Berlino «rappresenta un caso a sé, [con] un sistema scolastico che prevede dopo sei anni di scuola primaria comune la suddivisione nei diversi rami del livello secondario. Inoltre, da non dimenticare, la composizione diversificata della collettività italiana di Berlino, spesso in possesso di un maggiore capitale culturale». Berlino insegna. Già negli anni Settanta del secolo scorso il Senato finanziò un asilo italiano bilingue. Ora esistono ben sei asili bilingui. Dal 1992 c’è la realtà delle Europa-Schulen bilingui. Attualmente, tra gli istituti bilingui troviamo una scuola elementare, una Realschule e un Gymnasium.

La dr.ssa Pichler ha osservato che «attraverso progetti bilingui gli alunni sperimentano una rivalutazione delle loro competenze linguistiche, culturali e sociali. Non dimentichiamo che la cura della cultura d’origine diventa un veicolo verso l’inclusione: competenze linguistiche e sociali multiple rappresentano un’ulteriore risorsa e una qualificazione che rende i giovani competitivi sul mercato del lavoro. Tali competenze, nella globalizzazione in corso, hanno un ruolo importantissimo».

Negli istituti superiori e nelle università, nel semestre invernale 2008-2009, sono stati registrati 6863 iscritti «italiani» (3655 dei quali con un curriculum scolastico completato «in un Paese diverso dalla Germania», nella quasi totalità dei casi in Italia). Dati che, se confrontati con quelli della generazione precedente, potrebbero far gridare al miracolo. In ogni caso, come Edith Pichler ha recentemente dichiarato in una intervista, «diversi studi indicano che per realizzare una certa mobilità sociale in direzione di maggior capitale culturale e acquisizione di titoli accademici di solito servono due o tre generazioni». Come dire che gli studenti universitari di oggi sono i nipoti dei Gastarbeiter italiani degli anni Sessanta – Settanta del secolo scorso.

 

A ben guardare, molti giovani continuano a smarrirsi «lungo il percorso scolastico». Vittime di prognosi sbagliate (dovute forse alla vivacità, a un carattere chiuso, all’ancora deficitaria conoscenza della lingua tedesca o a una situazione familiare sconosciuta all’insegnante). Vittime anche di una cieca fiducia nella scuola, di ciò che gli insegnanti «prevedono» per quel giovane vivace, chiuso, con scarsa conoscenza della lingua tedesca, che, magari, tace una particolare situazione (separazione dei genitori, disoccupazione del padre, problemi per l’alloggio, la malattia di uno dei genitori …).

Solo negli ultimi due-tre lustri «il Paese dove il nonno venne a lavorare» inizia a presentare sugli schermi televisivi, ma anche alla radio e al cinema, agli sportelli postali e bancari, persino tra la polizia, nelle scuole, in politica e in libreria volti e nomi che hanno un background migratorio alle spalle.

Una realtà che, al contrario dei coetanei di altra lingua e cultura, per esempio i turchi, non tocca i giovani d’origine italiana. Rari sono «modelli» ed «esempi» che possono essere di grande aiuto e stimolo nella scelta di un’attività. Gli «esempi» di connazionali «impiegati in banca», «insegnanti», «giornalisti», «medici», «avvocati», «dirigenti», «architetti», persino «calciatore professionista», un mestiere spesso legato a troppi fattori aleatori e, non ultimo, a un buon o almeno discreto curriculum scolastico, sono scarsissimi. Come per gli «attori», «registi», «scenografi», «fotografi», «commercialisti», professioni diverse dal tradizionale «ristoratore», «gelatiere», «proprietario di un bar», «muratore», «infermiera» frequenti tra il parentado e i conoscenti del quartiere.

Spesso, anche nei casi in cui «l’esempio e modello è a portata di mano», i genitori decidono per i figli: perché l’università viene a costare troppo o si considera il periodo di apprendistato «una perdita di tempo».

La frequenza scolastica o il titolo di studio raggiunto non sono il solo indicatore per quel che riguarda l’inclusione. «Non dimentichiamo che ci sono ragazzi e ragazze che hanno frequentato solo la Hauptschule, fatto un apprendistato e risultano soddisfatti dei risultati e socialmente inclusi», aggiunge la dr.ssa Pichler durante la discussione seguita alla presentazione.

L’isolamento sociale, inoltre, è un altro fattore inibente o frenante. Famiglie che vivono come in una «campana di vetro», muovendosi in un microambiente che ricorda una «patria lontana», tra programmi televisivi rilanciati dalle antenne satellitari, dove l’informazione è deficitaria quanto la conoscenza della lingua del Paese ospitante. Un ambiente in cui l’emarginazione sociale e culturale è e sarà di casa, soprattutto per i giovani (informatissimi su Sanremo, show e spettacoli che riflettono un lontano e chimerico Paese).

 

L’indagine, portata a termine da Edith Pichler, «mira a collegare ricerca e livello istituzionale e si pone come strumento conoscitivo e analitico della situazione dei giovani Italiani in Germania»: socializzazione, identità, percorso scolastico, quale ruolo abbiano avuto «i diversi capitali nei processi di inclusione o di esclusione», prevenzione dell’emarginazione e incentivazione di tutto ciò che porta ad una integrazione sociale, culturale ed economica. La ricerca è stata realizzata grazie all’appoggio e richiesta dei Com.It.Es di Colonia, Dortmund, Francoforte, Friburgo, Hannover, Saarbrücken e Stoccarda. E ai giovani di origine italiana che hanno reso possibile, con il racconto delle loro esperienze personali e familiari, la redazione di uno studio sinora mancante nella storia della presenza italiana nell’area di lingua e cultura tedesca a partire dagli accordi bilaterali del dicembre 1955.

Questo «scandaglio di una generazione» mette in risalto le mancanze delle istituzioni italiane del passato (ora impotenti grazie ai tremendi tagli a scuola e cultura), e quegli «interventi che venivano erogati e sviluppati seguendo un’ottica paternalistica – assistenzialistica che, oggi, non corrispondono ai bisogni dei giovani e ai cambiamenti avvenuti sia all’interno della comunità italiana, che a livello europeo dove la mobilità e il transnazionalismo hanno di fatto sostituito la classica emigrazione».

Lo studio ha il raro pregio di informarci sui risultati scolastici e le scelte dell’ultima generazione, di quei giovani i cui genitori appartengono alla seconda ondata migratoria (anni Settanta-Ottanta del secolo scorso) o che vengono considerati come «i nipotini» dei mitici Gastarbeiter italici. Per quel che riguarda il cammino scolastico dei figli di chi emigrò negli anni Cinquanta-Sessanta, dobbiamo accontentarci delle scarse testimonianze che appaiono nella letteratura specialistica e nella memorialistica. Interventi e studi che già denunciavano per i «giovani Gastarbeiter» e le loro famiglie il rischio dell’emarginazione. O «Exklusion». Individuandone le cause sia all’origine che nei siti d’emigrazione (si veda a questo proposito l’ampia tesi di laurea di Hans D. Walz, Jugendliche Gastarbeiter, pag. 630 – Esslingen 1978).

 

Proprio i giovani, «selezionati secondo determinati criteri («tipo di scuola, milieu e capitali culturali della famiglia, regione in cui risiedono …»), sono la testimonianza di una presenza sociale e culturale sfaccettata e dello sviluppo e cambiamento della mobilità italiana nell’area di lingua e cultura tedesca. Aspetti, questi ultimi, che meritano di venir sottolineati.

Nella presentazione e analisi dei dati empirici raccolti (dove i giovani potevano scegliere la lingua da usare), vengono alla luce scuola e carriera scolastica, il background familiare, la regione, i capitali sociali e culturali, come le reti sociali (autoctone, ma anche italiane). I giovani, e le famiglie, riconoscono la «debolezza» della Hauptschule, ormai un «binario morto» nel paesaggio dell’istruzione, come le problematiche all’interno del complesso sistema scolastico tedesco e l’importanza della solidarietà tra giovani di diversa estrazione culturale ed etnica. Senza chiudere gli occhi nei confronti del «rischio dei ghetti e delle Little Italy».

Molti degli intervistati ammettono che la cultura originaria può diventare un veicolo verso l’inclusione: competenze culturali e linguistiche aprono prospettive occupazionali. «Parlare due lingue è un vantaggio», riferisce A. di G. Aggiungendo che ha in mente «di aprire la propria macelleria con specialità italiane e tedesche». C’è chi cerca di apprendere lo spagnolo e perfezionare l’inglese, idiomi da affiancare all’italiano e al tedesco.

Alcuni degli intervistati mostrano una «identità ibrida», un trans-cultural melange impensabile, all’interno di molte famiglie, due o tre decenni orsono. L. G. confessa: «Sono cresciuto in modo da prendere per me il meglio delle tre culture». E conclude: «Io sono volentieri tutte e tre le culture», intendendo la cultura paterna (italiana), quella materna (spagnola) e del Paese in cui vive.

Non sono rare le definizioni «Io mi faccio passare per italiano, ma sono anche un europeo» e «Io ho una identità italo-tedesca».

I nipoti dei Gastarbeiter rappresentano in pieno il transnazionalismo che crea nel Paese in cui vivono nuovi spazi economici (per capitali e merci), sociali e culturali («informazioni, idee, simboli»). Mentre i loro nonni erano «confinati» in uno spazio limitato dalla fabbrica, dal quartiere e dalla nostalgia.

 

Edith Pichler conclude il progetto Junge Italiener zwischen Inklusion und Exklusion registrando:

– l’analisi delle interviste conferma i dati empirici secondo i quali negli ultimi anni gli scolari di origine straniera con esperienza migratoria propria hanno risultati scolastici migliori rispetto ai discenti senza esperienza migratoria e che completano tutto il ciclo scolastico in Germania;

– visto che la maggior parte degli intervistati sono nati in Germania e in parte anche i loro genitori sono cresciuti qui, si potrebbe dedurre che il motivo dei problemi scolastici non sia la spesso citata non conoscenza del sistema scolastico tedesco da parte dei genitori;

– un percorso diretto scuola primaria → maturità (Grundschule → Gymnasium) avviene raramente;

– le reti sociali, qualunque esse siano, hanno un ruolo fondamentale per il successo scolastico, in particolar modo quando possono sostenere il giovane;

– le precarie occupazioni di alcuni genitori, come un ripetuto andirivieni Italia – Germania possono più demotivare che motivare il giovane durante il percorso scolastico;

– sono pochi i casi in cui gli intervistati raccontano di aver avuto la sensazione di non essere stati trattati in maniera corretta. Più che di discriminazione, si potrebbe parlare di scarsa sensibilità e comprensione per la situazione dello scolaro da parte dei docenti;

– per alcune persone intervistate il mantenimento e la cura della cultura d’origine rappresenta un veicolo verso l’inclusione. Competenze linguistiche e sociali multiple rappresentano un’ulteriore risorsa e qualificazione aumentandone la concorrenzialità sul mercato del lavoro;

– esiste un meccanismo che influenza la tendenza a legarsi con “reti sociali etniche”, una solidarietà che nasce e accomuna grazie al senso di appartenenza in considerazione al passato simile delle famiglie.

 

 

L’indagine qualitativa realizzata da Edith Pichler, come l’impegno dei Com.It.Es di Colonia, Dortmund, Francoforte, Friburgo, Hannover, Saarbrücken e Stoccarda, ci permette di conoscere in parte la galassia giovanile di origine italiana che vive nell’area di lingua e cultura tedesca.

Sono auspicabili, per il futuro, altri interventi diretti all’approfondimento del mondo giovanile, alla conoscenza della terza età e delle sue problematiche, degli emarginati, carcerati e di chi ha trovato, espatriando in Germania, la conferma, lo sviluppo o meno delle proprie aspirazioni.

 

Luigi Rossi (Bochum)

www.luigi-rossi.com

 

Edith Pichler

Junge Italiener zwischen Inklusion und Exklusion

Berlino, 2010

Pag, 208

ISBN 978-3-00-032845-9

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