Elezioni Presidenziali Usa 2024: analisi di Paolo Von Schirach della situazione ad un mese dal voto. di Alessandro Verdoliva

26 settembre 2024 in collegamento con Washington – GPI con Massimo Ciarla e Paolo von Schirach

Elezioni politiche americane: una crisi d’identità in un’America divisa
Resoconto dall’intervista con Massimo Ciarla e Paolo von Schirach

Le elezioni presidenziali americane rappresentano un evento cruciale non solo per gli Stati Uniti, ma per l’intero panorama geopolitico globale. In un’intervista in diretta da Washington, organizzata da Lombardi nel Mondo, Massimo Ciarla e Paolo von Schirach, presidente del Global Policy Institute, hanno fornito un’analisi accurata del complesso sistema elettorale americano e delle profonde divisioni che attraversano il Paese.

Il funzionamento del sistema elettorale americano

Il sistema elettorale degli Stati Uniti è basato su un meccanismo di collegio elettorale, che distingue le elezioni presidenziali da quelle legislative. Gli elettori votano per i candidati in ciascuno stato, ma il risultato finale non dipende dal voto popolare nazionale, bensì da quello statale, con ciascuno stato che assegna i suoi grandi elettori al candidato vincente. È dunque possibile che un candidato perda il voto popolare nazionale e vinca comunque la presidenza, come accaduto nel 2016 con Donald Trump. Questo sistema è amplificato dal metodo First-Past-The-Post (FPTP), secondo cui il candidato con il maggior numero di voti in uno stato ottiene tutti i suoi elettori. Questo meccanismo tende a distorcere la rappresentanza, dando più peso agli stati più piccoli e penalizzando i partiti minori o i candidati terzi.

Le distorsioni del FPTP

Una delle critiche principali al sistema FPTP è che non rappresenta accuratamente la volontà popolare. Spesso, i voti in stati “sicuri”, dove un partito domina stabilmente, finiscono per non contare ai fini del risultato finale. Gli stati cosiddetti swing (in bilico), come quelli della Rustbelt (Pennsylvania, Michigan, Ohio e Wisconsin), diventano i veri arbitri delle elezioni. Questo sistema ha generato insoddisfazione tra molti americani, che si sentono esclusi dal processo elettorale nazionale.

Una crisi di identità americana

La polarizzazione politica negli Stati Uniti ha raggiunto livelli senza precedenti. Ciarla e von Schirach hanno sottolineato come gli Stati Uniti stiano vivendo una crisi di identità interna, caratterizzata da divisioni etniche, sociali e politiche sempre più marcate. L’epoca del centrismo americano sembra essere ormai tramontata, con il partito democratico e quello repubblicano posizionati agli estremi opposti dello spettro politico.

La crisi del Partito Repubblicano

Il Partito Repubblicano si trova a dover fare i conti con una scelta difficile: rimanere fedele a Donald Trump o tentare di ricostruire una piattaforma più tradizionale, ereditata da figure storiche come Abraham Lincoln, Richard Nixon, Dwight Eisenhower e Ronald Reagan. L’influenza di Trump, che ha stravolto il partito con la sua retorica populista e il suo approccio dirompente, ha polarizzato l’elettorato conservatore. Tuttavia, la sua ascesa, inizialmente vista come una “commedia” dalla politica tradizionale, ha conquistato il cuore di molti americani, specialmente quelli esclusi dalla globalizzazione e dalle élite urbane.

L’esordio di Trump: una scelta dirompente

Trump, noto inizialmente come imprenditore e personaggio televisivo, è riuscito a capitalizzare il malcontento diffuso negli Stati Uniti, trasformando la sua candidatura in un movimento di massa. Sebbene la sua ascesa sia stata considerata assurda da molti, ha saputo canalizzare la frustrazione di una fetta significativa della popolazione, soprattutto nelle zone rurali e industriali colpite dall’outsourcing e dalla delocalizzazione produttiva nonché maggiormente soggette agli esodi migratori le cui popolazioni d’ingresso non riescono ad essere assimilate.

L’origine della polarizzazione

La polarizzazione negli Stati Uniti ha radici profonde, legate alla gestione dell’immigrazione, a questioni economiche e soprattutto all’affievolimento del mono-culturalismo di cui gli USA sono stati da sempre caratterizzati: il set fondante dei valori sta venendo meno e sta invece emergendo il carattere etnico-razziale, componente questa avulsa dalla politica americana. Con il passare del tempo, le differenze tra gli elettorati delle coste e dell’entroterra si sono accentuate. Le grandi città e le coste, tradizionalmente più progressiste e cosmopolite, votano in maggioranza per i democratici, mentre le aree rurali e industriali, impoverite dalla deindustrializzazione, tendono a supportare candidati repubblicani, visti come difensori di un’America forte che va fiera delle proprie radici.

Le visioni contrapposte dei due schieramenti

I democratici e i repubblicani propongono visioni radicalmente opposte del futuro del Paese. Da una parte, i democratici spingono per un’America più inclusiva, in cui il governo federale gioca un ruolo centrale nella ridistribuzione delle risorse e nella promozione dell’uguaglianza sociale. Dall’altra parte, i repubblicani, specialmente nella versione trumpiana, promuovono un nazionalismo economico e tendendo a voler mantenere lo storico mono-culturalismo, con una visione ridotta del ruolo dello stato e un forte accento sulla sovranità e il protezionismo.

La distinzione di voto tra coste ed entroterra

La geografia del voto è un fattore chiave nelle elezioni americane. Le coste, sia quella orientale che quella occidentale, tendono a votare in modo massiccio per i democratici, mentre gli stati dell’interno, specialmente quelli del Sud e del Midwest, sono tradizionalmente repubblicani. Tuttavia, gli swing states assumono un’importanza cruciale, poiché sono questi a determinare l’esito delle elezioni. Gli stati della Rustbelt, che hanno sofferto particolarmente l’outsourcing e la crisi dell’industria manifatturiera, sono diventati terreno di battaglia decisivo.

Si ha quindi un netto ribaltamento, fenomeno osservatosi anche nei comportamenti elettorali europei in cui le classi storicamente votanti sinistra si sono nettamente spostate a destra per il suo percepito ruolo di fazione popolare a favore delle classi meno abbienti. L’imborghesimento delle sinistra sembra quindi essere un fenomeno internazionale e le classi meno agiate oggi tendono a votare maggiormente per i repubblicani.

Il rischio di un conflitto interno

L’acuirsi delle divisioni politiche solleva preoccupazioni sul possibile rischio di conflitti interni. La violenza politica, già emersa in episodi come l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, è sintomatica di un crescente malessere che attraversa il Paese. Massimo Ciarla ha evidenziato come le tensioni sociali e politiche potrebbero peggiorare, soprattutto se il processo elettorale venisse messo in discussione.

La morte del centrismo americano

Uno dei fenomeni più drammatici nella politica americana odierna è la scomparsa del centro politico. Gli elettori, sempre più polarizzati, si allontanano dalle posizioni moderate, scegliendo candidati che rappresentano visioni radicali di sinistra o destra. Il risultato è un Congresso sempre più diviso, incapace di trovare compromessi su questioni cruciali.

La Cina e le relazioni internazionali: Trump vs Harris

Le politiche internazionali saranno uno dei temi chiave delle prossime elezioni. Da un lato, Trump si presenta come un sostenitore di una linea dura contro la Cina, accusata di pratiche commerciali sleali e di minare la sicurezza nazionale americana. Kamala Harris, al contrario, rappresenterebbe una continuazione dello status quo, con una politica estera più moderata, basata sulla cooperazione con gli alleati tradizionali. La differenza tra i due è evidente anche nel loro approccio verso la Russia, l’Europa e Israele.

Se quindi la Cina risulta essere un nemico esistenziale degli USA così percepito da entrambi Repubblicani e Democratici, sulla Russia i Dem favoriscono una linea più intransigente rispetto ai Repubblicani i quali delle sorti di Kiev sembrano importarsi di meno. Su Israele grande spaccatura: se da un lato la politica estera mediorientale dei Dem è risultata forse la più scadente degli ultimi anni, grande cavallo di battaglia lo è stata per Trump, in primis con gli Accordi di Abramo e il ferreo supporto a Gerusalemme, supporto che con l’attuale amministrazione è stato sensibilmente ridimensionato.

Distacco anche per quanto riguarda l’Unione Europea: Trump, fautore di un revival della dottrina Monroe sembra totalmente disinteressato al vecchio continente se non per ricordargli quanto effettivamente ci spetta pagare: passare dalla pubertà all’età adulta e riprendere a saperci sostenere militarmente da soli, visto che gli USA – che hanno garantito la sicurezza europea per quasi 80 anni – sono ormai in una situazione di overstretching su troppi fronti e necessitano che gli alleati europei riprendano a parlare di affari militari con meno pudore e giungano al famigerato minimo 2% della spesa pubblica in difesa.

Harris e lo status quo in politica estera

Kamala Harris, probabile candidata democratica, non apporterebbe grandi cambiamenti alla politica estera americana. Le uniche innovazioni significative durante la presidenza Biden sono state la creazione del QUAD, un’alleanza strategica in Asia, e la microdiplomazia con gli stati dell’Indocina. Per il resto, la linea di Harris seguirebbe il solco tracciato dai suoi predecessori.

Immigrazione e assimilazione

Infine, l’immigrazione rimane un tema centrale nel dibattito politico americano. Le differenze tra i due partiti su questo tema sono abissali: i repubblicani spingono per un rafforzamento delle frontiere e una riduzione dell’immigrazione illegale, mentre i democratici, pur favorendo controlli, promuovono politiche di integrazione sul modello tedesco. Il modello tedesco, pensato originariamente per immigrati europei (specialmente italiani) si basava sul principale criterio di integrare economicamente gli immigrati senza nulla dire riguardo il loro assetto culturale. Questo è l’approccio inverso alle super potenze, il cui requisito principale è la totale assimilazione culturale: gli USA a maggior ragione non sono una nazione in senso stretto, non sono etnicamente vincolati, l’unico loro vincolo è la fedeltà alla bandiera e la condivisione dei valori fondamentali, condicio sine qua non della pace sociale. Questo elemento è proprio quello che più sta venendo meno negli ultimi anni.

In conclusione, l’analisi di Ciarla e von Schirach mette in luce un Paese profondamente diviso e in crisi, in cui le prossime elezioni non rappresentano solo una scelta di leadership, ma un bivio tra due visioni radicalmente opposte del futuro degli Stati Uniti.

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