Giovani italiani nel mondo, parla Elisa: «Serve una rivoluzione tecnologica» — Lombardi nel Mondo

Giovani italiani nel mondo, parla Elisa: «Serve una rivoluzione tecnologica»

Elisa Dal Farra, bellunese, vive e lavora a Hong Kong, ha nostalgia dell’Italia e ha le idee chiare su cosa servirebbe nel nostro Paese

«Hong Kong è un posto incredibile. Ha due facce: una che testimonia il fatto che si tratta di un importante centro commerciale e finanziario, turistico e aeroportuale. L’altra con le casette basse sulla spiaggia. Ti trovi proprio in mezzo al sud est asiatico, in poco tempo puoi arrivare a Singapore, in Thailandia o a Taiwan. A Hong Kong vedi aspetti che ti fanno pensare a come potrebbe essere l’Italia dal lato dei servizi, se solo si decidesse a puntare sulle nuove tecnologie con investimenti di base, che se nel breve termine possono anche implicare sacrifici, sai che nel lungo ti portano a risultati molto importanti e l’investimento torna con gli interessi».

Elisa Dal Farra, 26 anni, fa parte del social network Bellunoradici.net, voluto da Abm, Provincia e Camera di commercio. Da un anno e tre mesi vive a Hong Kong, dove lavora alla Camera di commercio italiana come “project manager”. Si occupa di gestire due tipi di progetti: da un lato interventi di supporto alle aziende italiane che vogliono trovare contatti nel territorio cinese; dall’altro ci sono gli aspetti più culturali, «di “networking”, come è chiamato in Cina, il cui scopo è il confronto tra diverse realtà», ma anche l’organizzazione di eventi, seminari, riunioni imprenditoriali dall’Italia. Elisa è una dei tanti bellunesi che hanno deciso di emigrare all’estero. Un’emigrazione naturalmente diversa rispetto a quella del passato.

Per quali motivi hai scelto di lasciare l’Italia? E perché la Cina?
«A 18 anni, finite le scuole superiori, non hai ancora bene in mente cosa fare. Raccogli gli input che ti vengono dall’esterno e poi prendi la tua strada. Io personalmente ero stata abituata a viaggiare, per il lavoro di mio padre, pilota dell’Aeronautica. Vivere in tanti posti diversi è stata una bella palestra, ti dà un’apertura mentale non da poco. In Italia poi ho trovato una cosa principalmente che non va: è dato poco spazio ai giovani, soprattutto in ambito lavorativo. In un altro paese, per esempio, a 22 anni sei preso sul serio (nel mio ufficio il mio capo ha 32 anni!). Qui in Italia entri in azienda e sei considerato solo l’appena laureato senza competenze. In realtà i giovani hanno il vantaggio di conoscere le nuove tecnologie. Certo, l’esperienza te la devi costruire e ci vuole un bagaglio per “aggiustarsi”. Ma nessuno del resto nasce “imparato”».

Oltre a questo, cosa manca secondo te a Belluno e, in generale, in Italia?
«Ci vorrebbe una rivoluzione tecnologica, aprire nuove forme di imprese (pensiamo alle aziende sociali). Il problema è che nel nostro paese manca un supporto da parte dello Stato, strutturale. Ma bisogna anche capire che se non si dà il via a un processo di svecchiamento gli uffici resteranno vuoti, i ragazzi giovani se ne saranno andati fuori da Belluno o dall’Italia e il ricambio non ci sarà più. Noi italiani abbiamo dei punti di forza che ci contraddistinguono: la testa della gente (vi assicuro che stando all’estero ho potuto verificare che intelligenze come le nostre è difficile trovarle) e un patrimonio artistico-culturale da far fruttare con prodotti di alta gamma. Ed è necessario puntare su giovani e ricerca».

Quali consigli daresti ai giovani bellunesi?
«In Italia usciamo dalle scuole superiori con una preparazione umanistica che è la migliore al mondo. All’Università quindi ci si dovrebbe specializzare in un settore, anche scientifico. Gli italiani sono bravi scienziati proprio perché hanno la possibilità di godere di questo binomio umanistico-tecnico. Ai ragazzi bellunesi direi quindi di specializzarsi, di scegliere una facoltà universitaria con un orientamento settoriale ben preciso. Ma anche di fare un’esperienza all’estero, che ti dà qualcosa in più anche per saperti arrangiare e giostrare. Oltre che per imparare la lingua: io per esempio a Hong Kong parlo al 90% inglese (il cinese solo in parte, lì infatti c’è il cantonese). Oggi non conoscere l’inglese è un ostacolo incredibile».

Pensi mai di tornare?
«Belluno mi manca, soprattutto per il distacco dalla famiglia. Sono via praticamente da 5 anni, mi piacerebbe tornare. Se non lo faccio ogni 6-7 mesi sto male. Quando ho un po’ di malinconia vado a Macao, ex colonia portoghese che ricorda un po’ l’Italia. Sarebbe bellissimo poter tornare in Italia dopo aver lavorato all’estero, per portare all’azienda italiana quello che ho imparato fuori. Ma si dovrebbero creare le condizioni per questo, che purtroppo attualmente mancano. Ed è una grave e penalizzante carenza: le aziende e le istituzioni ancora non se ne rendono conto. Mi auguro che nel lungo periodo si capisca che i giovani sono una risorsa e che la decisione di lasciare il proprio paese avvenga per scelta e non per costrizione».

Fonte: corrierealpi.gelocal.it

Document Actions

Share |


Condividi

Lascia un commento