FRANCESCA CABRINI la santa dei migranti

L’intervento della professoressa Lucetta Scaraffia al Convegno

L’opera della Chiesa cattolica per l’emigrazione italiana ai tempi di san Pio X

Sala degli Stemmi di Palazzo Soardi, Mantova 4 ottobre 2022

La santa dei migranti: Francesca Cabrini

Francesca Cabrini rimase fortemente colpita dalla morte di Leone XIII, il papa che l’aveva indirizzata verso occidente, verso le terre di migrazione americane, che l’aveva sempre sostenuta in tanti modi. Era un papa con cui aveva un rapporto vero, di fiducia reciproca e, cosa eccezionale per una donna, di vera stima. Lo prova il fatto che davanti alla crisi provocata dall’americanismo, Leone XIII si fosse rivolto spesso a madre Cabrini, per capire meglio e avere dei consigli.  Non era certo usuale in quegli anni – ma in verità neppure adesso – che il papa ascoltasse con attenzione una donna, e facesse tesoro delle sue osservazioni. Possiamo ben capire, allora, come traspare dalle lettere della santa, che la sua morte l’avesse gettata nello sconforto. Madre Cabrini conosceva bene lo sprezzante paternalismo che le gerarchie ecclesiastiche riservavano alle suore, e la difficoltà di farsi ascoltare e stimare. Ma l’elezione di Pio X rivelò subito che anche questo papa aveva a cuore i progetti e l’attività incessante di questa piccola donna, e la voleva sostenere in ogni modo. Sempre dalle lettere, veniamo a sapere che, subito dopo l’elezione, madre Cabrini gli fa scrivere dalla superiora delle suore di Roma, mettendolo subito al corrente delle sue ultime attività. Infatti stava progettando una missione in Alaska, per soccorrere dei minatori e scrive da New York (ottobre 1903): “tutte queste cose e notizie del posto falle sentire a madre Saverio de Maria , perché, facendomi la lettera per il Santo Padre, accenni a qualche cosa e torni a dire che solo la necessità di consolidare la Missione mi tiene lontana ma che sospiro ardentemente di giungere ai suoi piedi. ..”.  Si tratta del modo di presentarsi tipico della santa: obbediente all’autorità del papa, ma capace di far capire subito chi è, cioè immersa sempre in mille importantissime attività. Nessuno doveva pensare che lei fosse solo una suorina buona, come tante altre. Lei aveva inventato nuove iniziative missionarie, lei stava affrontando il grande problema del tempo, quello dei fitti flussi migratori, in gran parte composti da italiani, che cercavano una vita migliore nelle Americhe. E lo stava facendo con una efficacia straordinaria, con mille proposte e interventi che stavano cambiando la vita degli italiani immigrati. E ne era perfettamente consapevole. Anche se ringrazia sempre, con vero entusiasmo, delle benedizioni che il papa le manda per l’attività del suo istituto, da donna concreta esulta soprattutto per un contributo più tangibile. Siamo nel 1890, a New Orleans, quando il capo della polizia locale Hennessy venne assassinato da ignoti mentre attraversava il quartiere italiano. La colpa ricadde sui siciliani, sulle cui organizzazioni criminali Hennessy aveva indagato, e di conseguenza vennero incriminati ben 19 italiani che però al processo, grazie alla brillante difesa dei migliori avvocati della città, furono assolti. Ma la folla urlante si recò all’uscita dalle carceri e uccise ben 11 prigionieri. Anche il governo italiano avviò una protesta contro quello statunitense per questa ecatombe, ma la soluzione diplomatica non si trovava e episodi analoghi cominciarono a verificarsi in altre regioni del paese. La situazione di tensione che si venne a creare nella città spinse i religiosi scalabriniani a chiedere l’intervento di madre Cabrini, che arrivò nella città con quattro suore con l’intenzione di riformare la comunità italiana aprendo una scuola con annesso orfanatrofio. Per raccogliere i fondi si mosse con una tecnica che già aveva sperimentato con successo: convincere gli italiani che si erano arricchiti a farsi carico delle difficoltà dei più poveri, cercando di risollevare la stima verso gli italiani invece di cercare di far dimenticare la propria origine, spesso convertendosi anche al protestantesimo. I più generosi furono quelli animati da sentimenti anticlericali, ma ammirati dalle capacità imprenditoriali della suora. In particolare, venne in suo aiuto il ricco capitano Salvatore Pizzati, che da solo si sobbarcò il mantenimento dell’intero orfanatrofio. Dopo avere ricucito le fratture interne alla comunità italiana, madre Cabrini si impegnò ad educare, in pochi mesi, i ragazzi che prima erano abbandonati sulle strade e riportare all’osservanza religiosa i molti che se ne erano allontanati per indifferenza. La chiesa dell’istituto divenne “la chiesa degli italiani”. Dopo soli quattro mesi, poté mostrare all’esterno i cambiamenti avvenuti. L’occasione fu l’arrivo da New York di una grande statua del Sacro Cuore per la chiesa dell’istituto, dietro la quale, in processione, fece sfilare per tutta la città la comunità italiana. La processione si snodò ordinatamente, la gente era pulita e composta, preparata a cantare non solo inni sacri ma anche canti della tradizione italiana come Va pensiero. Il successo fu grande: per la prima volta gli italiani di New Orleans furono applauditi in pubblico.  Madre Cabrini aveva capito che per una città con la passione musicale che serpeggiava nelle strade come New Orleans una buona musica sarebbe stata decisiva per far accettare gli italiani. Capisce che per far uscire gli italiani dal cono d’ombra in cui si trovavano, dal disprezzo razziale, bisognava presentare in pubblico gli elementi positivi della cultura del nostro paese. Lo avrebbe poi fatto sempre: alle cerimonie di inaugurazione delle scuole, orfanatrofi, ospedali che fondava – e che dovevano sempre essere in edifici belli e ariosi – non mancavano mai, insieme ad una degustazione di cibi italiani, anche qualche cantante che deliziava il pubblico con un pezzo operistico o una romanza. Per le inaugurazioni non badava a spese, sapeva che nella società americana erano importanti. La madre poi amava ricompensare chi la aiutava, nel caso di Pizzati con una decorazione vaticana. Pio X la esaudì. Anzi, inviò non la Croce Pro Ecclesia, che lei aveva chiesto, ma addirittura la croce di cavaliere di San Gregorio Magno. “che degnazione! – scrive la madre in una lettera – E’ proprio il nostro Buon Padre il papa. E noi, da buone figlie, consoliamolo colla santità della vita religiosa e col pregare perché tutti i suoi nemici siano costretti a venirgli ai piedi umiliati e convertiti”. E poi continua scrivendo che la notizia della onorificenza era arrivata proprio il giorno del compleanno di Pizzati, “chi sa come avrà goduto a sentirsi oggi stesso Cavaliere, titolo a cui teneva tanto ..”. Alla Croce smaltata d’oro e al mantello – che doveva essere bello, senza risparmio – avrebbero provveduto le suore stesse. Un momento così bello viene un po’ guastato – scrive nelle lettere – dall’ostilità del console italiano, socialista, che non voleva dare nessuna onorificenza,  ma anche questa volta le suore riescono a pacificare gli animi, e la festa si svolge in un clima allegro e solenne, unendo sia l’arcivescovo e tutto il clero della città che il sindaco e gli altri maggiorenti. Così, conclude madre Cabrini “fu un vero trionfo del papa e della chiesa di New Orleans”. Madre Cabrini si occupava affettuosamente dei malanni del papa, tanto da inviare “  alcune casse di acqua minerale “White Rock”, fatte pervenire dalle Suore di New York, destinata al Papa perché serve “a tener libero il corpo da quegli umori che favoriscono la gotta”. Nel 1912 Pio X invia alla santa tutta la sua approvazione per la nuova impresa a cui si sta dedicando, l’ospedale Columbus a New York. Dopo averlo definito “impresa di sì grande utilità pubblica” il papa invia la sua benedizione a tutti coloro che collaboreranno con la madre Cabrini, e alle loro famiglie. Non sappiamo con precisione quante volte la nostra santa sia stata ricevuta da Pio X in udienza privata, ma sicuramente il 19 novembre 1906. Così madre Cabrini racconta: “fui ricevuta in udienza privata dal santo padre il quale si rallegrò assai per la Chiesa che abbiamo potuto far consacrare il giorno di san Francesco Saverio e ne gradì assai la medaglia commemorativa. Discorrendo a lungo io gli dissi che mi sentivo molto antica e che non mi piacevano le novità. Egli mi disse: Oh! Madre , siate sempre all’antica e procurate che lo siano tutte le vostre figliuole e che abbiano sempre la stessa semplicità e così le benedizioni del cielo scenderanno sempre sopra di voi e sulle opere vostre così estese nei due emisferi”. Ma certamente avranno anche parlato di emigrazione, tema caro al cuore del papa, e la santa avrà esposto il suo originale metodo di intervento. Sappiamo che tutti i religiosi che erano partiti per stare accanto agli immigrati italiani  si proponevano di offrire loro assistenza religiosa e quasi sempre anche un minimo di aiuto materiale nei casi più disperati.  Madre Cabrini fa molto di più, osserva e comprende fino in fondo la situazione, e elabora un vero e proprio programma  che è al tempo stesso rafforzamento dei legami con la loro identità originaria – attraverso la lingua e la religione –  e insegnamento dell’inglese e della cultura americana. Cioè una preparazione ad inserirsi nella società americana, a diventare cittadini americani, cosa che le suore fanno subito, per dare buon esempio, e che deciderà di fare la stessa Cabrini, prendendo la cittadinanza americana nel 1909. Ma senza rinnegare la loro origine nazionale e la loro religione. Un programma che, con stile molto moderno e americano, anticipa in una lunga intervista concessa al quotidiano Il progresso italo-americano dopo un anno dall’arrivo a New York, nel 1889 a cui seguì  una dettagliata intervista di un giornale americano, The Sun: “il nostro obiettivo è quello di strappare gli orfani italiani della città dalla miseria e dai pericoli che li minacciano e di far loro dei buoni uomini”, a cominciare dalle ragazze, sottoposte a tante tentazioni. La sua proposta ebbe successo, grazie all’azione capillare di un gran numero di scuole sparse strategicamente in tutta l’America, e sconfisse quella che era invece la tendenza prevalente prima del suo intervento, cioè l’inserimento individuale nella società americana, a costo di dimenticare le proprie origini e rinnegare la fede cattolica per cadere nell’indifferentismo religioso o addirittura per convertirsi al protestantesimo, come avrebbe fatto un italiano di successo, Fiorello La Guardia, sindaco di New York. Da ogni istituto – sempre corredato da una chiesa, che diveniva la parrocchia degli italiani – partiva una rete di iniziative verso il quartiere che comprendeva la scuola parrocchiale e la visita alle famiglie. Gli immigrati in difficoltà sapevano che si potevano mettere in contatto con le suore, e sollecitarne l’aiuto, sapevano che le suore avrebbero aiutato i disoccupati a trovare un lavoro, ricoverato i bambini senza famiglia  e assicurato assistenza legale alle famiglie povere che ne avevano necessità. Se necessario, aiutavano anche coloro che desideravano rimpatriare. Presso ogni istituto vi era una segreteria per aiutare gli immigrati a scrivere a casa, a sbrigare le pratiche burocratiche, a tenere i contatti con le istituzioni del loro paese d’origine. Ma soprattutto li aiutavano a sentirsi esseri umani, esistenti e riconosciuti. Come scrive Gunther Anders nel suo illuminante saggio sull’emigrazione, da lui vissuta negli anni 30 proprio negli USA, “ognuno di noi fa l’esperienza di esserci solo nel momento in cui altri lo chiamano in causa in quanto esistente”. Altrimenti ci si sente come aria, come se non si esistesse più, come provano tanti suicidi fra gli immigrati. Madre Cabrini offriva loro un appiglio, una dignità: “non erano più completamente sospesi nel vuoto, appartenevano ora a una comunità di destino” (Anders). Il problema della lingua è fondamentale per uscire da questa situazione di spaesamento, di non esistenza. Da una parte, la loro lingua originaria era l’unico pezzo di casa che ancora padroneggiavano, persino in quello stato di completa umiliazione, l’unico che testimoniava del luogo a cui appartenevano per nascita. Ma la loro lacerazione interiore poteva essere curata solo dalla possibilità di entrare nel nuovo mondo parlando – possibilmente bene – la nuova lingua. Solo in questo modo avrebbero potuto creare nuovi legami, che ricompensassero almeno in parte la perdita di quelli originari, e quindi adattarsi alla società di accoglienza. Negli istituti di madre Cabrini si parlava italiano, così nelle messe e nelle feste collettive, ma a scuola i ragazzi imparavano bene l’inglese. Pio X aveva capito la ricchezza nascosta in quella piccola suora, e la appoggiò sempre, fino alla sua morte nel 1914. Anche quando nell’istituto delle missionarie si profilò una ribellione interna di un piccolo gruppo di suore, che voleva cambiare la madre generale, il papa si schierò senza remore a fianco della fondatrice. Era una donna che anticipava i tempi, madre Cabrini, e non solo nei confronti del fenomeno migratorio, che sarebbe divenuto il grande problema nei decenni successivi, in tutto il mondo, ma anche dando prova concreta di cosa sapevano fare le donne, senza perdersi in rivendicazioni femministe, ma cambiando la realtà in cui viveva grazie al suo coraggio, alla sua fede e a quella che oggi chiameremmo una effervescente carica di creatività. Anche questa, avrebbe detto la madre, dono dello Spirito santo.

Lucetta Scaraffia

Università degli Studi Sapienza di Roma

Bibliografia

Epistolario di santa Francesca Cabrini, 5 volumi, Istituto suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù.

L.Scaraffia Tra terra e cielo. Vita di Francesca Cabrini. (introduzione di papa Francesco) Marsilio, Venezia 2017.

Gunther Anders L’emigrante, Donzelli, Roma, 2022.

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