Hong Kong la nuova frontiera. La terra promessa degli europei in fuga dalla crisi — Lombardi nel Mondo

Hong Kong la nuova frontiera. La terra promessa degli europei in fuga dalla crisi

L’enclave Hong Kong è una delle città più densamente popolate e dinamiche del mondo, centro finanziario ed economico dell’Asia che ora cerca anche uno status di capitale culturale, con università, musei e gallerie d’arte. Spagnoli, italiani, francesi invadono la metropoli. Ed è boom di nuove società, ristoranti e gallerie

«Hai sentito i francesi?» scherza Gérard Henry, dell’Alliance Française, riferendosi all’aumentare delle conversazioni nella lingua di Molière che si sentono oggi a Hong Kong, suscitando sorrisi ironici o compiaciuti fra i francesi che ormai qui sono di casa. Altri trovano che siano aumentati gli spagnoli, diventati semplicemente «muchos», mentre Irene Repuosi, attaché al consolato greco, trova che i greci aumentino, ma che vista la grande diaspora (che vede più greci all’estero che non in Grecia, anche se è un’emigrazione di vecchia data) è difficile capire da dove vengano «i nuovi», se in fuga dalla crisi europea o se arrivati, per esempio, dall’Australia. I greci, come i nostri connazionali del resto, sono un po’ restii a registrarsi al Consolato, lasciando dunque un certo margine di incertezza nei calcoli.

Ma tenendo le orecchie aperte sulle scale mobili che solcano i Mid Levels o negli «shopping mall» dell’ex Colonia britannica non c’è spazio per i dubbi: gli europei stanno sbarcando a Hong Kong ormai dall’inizio della crisi economica. Secondo i dati del Consolato Generale d’Italia, gli italiani residenti in questa Regione Amministrativa Speciale cinese sono passati da 1732 iscritti nel 2008 a 2236 alla fine dello scorso anno. I francesi, dando ragione a chi ironizza dell’invasione gallica, sono più di 10.000, un aumento del 60% in cinque anni. Altro segnale economico: i tedeschi non hanno aumentato le presenze. «Lo dico a tutti quelli che si lamentano che in Spagna non trovano lavoro», dice Luis Jané, ingegnere di Barcellona: «Bisogna partire. Con cinque milioni di disoccupati, a cosa serve restarsene attaccati a una sedia che non ti dà più niente? Partire!».

Di questo nuovo esodo Hong Kong è una meta che non deve sorprendere più di tanto. Beneficia della crescita del continente cinese, appena più a Nord (malgrado il ritorno alla Cina nel 1997, continua ad essere una giurisdizione separata e una frontiera lunga 30 chilometri la divide dal resto della Cina). Con un passaporto europeo si ottiene un visto all’arrivo (che non conferisce diritto a prendere impiego, per cui serve un permesso di lavoro), e si è in una metropoli davvero più cosmopolita di città come Pechino o anche Shanghai, affacciata sulla Cina ma anche sul resto dell’Asia.

La magistratura è indipendente, il che offre maggiori garanzie di equità nel caso in cui ci siano problemi, la criminalità molto bassa, e Hong Kong, da sempre caratterizzata da un dinamismo non privo di brutalità, ha un’estrema capacità di risposta alle scosse economiche. L’immobiliare ha prezzi fra i più alti al mondo, e ci si abitua a vivere in spazi piccoli o molto lontano dal centro. Ma gli stipendi dei lavoratori qualificati sono di solito calcolati tenendo presente il costo dell’affitto, e quando l’economia va male, questo cala in fretta, per poi risalire altrettanto in fretta appena cambia il vento.

Qui, ottenuto il permesso di residenza, si registra un’azienda in mezz’ora: basta controllare che il nome non sia già in uso, pagare una tassa che parte da 200 euro (di più per le aziende a responsabilità limitata), e poi, come si suol dire, si è in business. E visto che la città è aperta alle idee nuove ed ha una certa passione per l’Europa (e una crescente nostalgia britannica) tutto quello che è vino, alta moda o ristorazione è accolto con curiosità. Anche il mercato dell’arte è in pieno boom, e aumentano le nuove gallerie d’arte di fama intercontinentale (come la britannica White Cube, dopo Edouard Malingue dalla Francia e l’americana Gagosian), in risposta alle statistiche che mostrano che gli acquirenti cinesi sono ora il 41,4 per cento dei clienti del mercato dell’arte. Scuole e università assumono: la metropoli commerciale è alla ricerca, ormai da anni, di un certo prestigio culturale.

Il successo non è certo assicurato, anzi, si tratta di una piazza molto competitiva e complessa. L’inquinamento è alto, la politica intricata, la cultura di difficile accesso. Le chiusure possono essere rapide come le inaugurazioni, dunque, ma una chance questa città di emigranti e rifugiati, fondata dai cannoni britannici della Compagnia Orientale delle Indie per il diritto al commercio con la Cina, la concede.

Ilaria Maria Sala
La Stampa

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