Storie di Italiani all’estero. Verso Spagna, Gb e Francia — Lombardi nel Mondo

Storie di Italiani all’estero. Verso Spagna, Gb e Francia

Lasciano famiglia e amici. Ma spesso trovano gratificazioni e meritocrazia. Scoprono nuove culture e si mettono in discussione. Di seguito da Londra, Siviglia, Parigi e Bratislava le testimonianze di tre “giovani italiani” all’estero.

“Viviamo a Londra da circa tre anni e per quanto contentissimi della scelta, lasciare famiglia, amici e routine non è stato semplicissimo. Ma le gratificazioni ottenute fino a oggi ci hanno premiato pienamente, tornassimo indietro rifaremmo esattamente lo stesso”, dicono Nino Letteriello ed Eleonora Balducchi.

 

Entrambi della provincia di Modena, lui è del 1979 e lavora per Transport for London, l’azienda governativa a capo dei trasporti di Londra, in qualità di programme planning manager per i giochi olimpici che si svolgeranno nel 2012, mentre lei, un anno più giovane, è architetto per Bulding Design Partnership, uno studio leader nel panorama internazionale. “Le nostre ragioni per lasciare l’Italia non sono particolarmente originali – continuano -: imparare una lingua nuova, vivere in una metropoli al centro dell’Europa e del mondo, scoprire nuove culture e stringere nuove amicizie, mettersi in discussione e arricchire il curriculum”.

 

Dal punto di vista lavorativo, Londra cosa vi sta offrendo? “Una meritocrazia basata sul semplice paradigma ‘chi è più bravo guadagna di più e ha un posto migliore’ – risponde Nino Letteriello -. E poi una solida etica lavorativa e l’assenza di situazioni ridicole, quali lavorare senza essere pagato, pura follia!”. “Londra mi offre quello che ogni laureato si aspetterebbe di trovare – aggiunge Eleonora Balducchi -, ovvero l’opportunità di lavorare nel mio settore ricoprendo un ruolo adeguato alla mia formazione. Tutto questo contribuisce a creare stimolanti prospettive di carriera professionale, anche se oggi la scena lavorativa londinese sta risentendo notevolmente del credit crunch”. Ma tornereste in Italia? “L’idea è sempre stata quella di tornare e vediamo il futuro della nostra famiglia in Italia – rispondono -. Amiamo l’Italia, amiamo le nostre famiglie, i nostri amici e le nostre città, i nostri cibi, la qualità della vita e amiamo il sole. Tuttavia il tempo passa e il momento del ritorno non sembra avvicinarsi”.

 

In parte diversa la storia di Filippo Di Pietro, siciliano di Gela. A soli 28 anni, oggi è professore di Economia e finanza all’Università di Siviglia. “Sono partito l’8 gennaio del 2008 – racconta -. La ragione principale è stata di carattere affettivo, in quanto la mia ragazza è spagnola e volevamo vivere insieme, ma in Italia per lei non c’erano possibilità lavorative, mentre a me la Spagna ha offerto una più facile incorporazione dentro la docenza universitaria. Nella scelta ha pesato anche la speranza di migliorare la qualità della vita, visto che in Italia lavoravo di media 10 ore al giorno e non sono così d’accordo con chi dice che da giovani bisogna sacrificarsi”. Ritornare in Italia? Solo a determinate condizioni, tra cui la possibilità di vivere a Bologna (“è l’unica città italiana in cui mi vedrei”) e avere un lavoro che soddisfi davvero.

 

Diplomato all’Accademia dell’immagine dell’Aquila, Pierluigi De Palo, 34 anni, dal 2000 vive invece a Parigi, dove lavora come operatore di macchina e assistente per produzioni audiovisive e cinematografiche. In Francia è arrivato subito dopo gli studi, seguendo il consiglio di un suo professore: “A suo modo di vedere, non avendo io amicizie o contatti già avviati a Roma, la città italiana del cinema, avrei avuto difficoltà a debuttare, a formarmi, a entrare nei circuiti lavorativi. Stimolato dall’idea del viaggio e dalla voglia di confrontarmi con una nuova cultura, mi sono trasferito senza pormi troppe domande”. Bilancio dell’esperienza? Positivo, nonostante le inevitabili difficoltà a lavorare con continuità in un sistema dinamico e altamente competitivo come quello dello spettacolo.

 

“La maggiore differenza con l’Italia, e anche la motivazione principale che mi fa rimanere in Francia – racconta De Palo -, è la presenza solida e tangibile di uno stato che difende fortemente i diritti sociali. All’inizio della mia avventura, per esempio, lo stato mi ha aiutato con sovvenzioni pubbliche a pagare l’affitto del mio appartamento, a seguire corsi di formazione e a inserirmi nel mondo del lavoro, esattamente come se fossi stato un francese”. Un ruolo importante nella scelta di restare ce l’ha anche lo statuto dei cosiddetti “intermittenti dello spettacolo”, che permette agli artisti, ai tecnici e agli operatori che non hanno un impiego continuo di accedere a un sistema di disoccupazione speciale. Uno statuto figlio di una precisa scelta statale di difendere chi fa cultura, che consente inoltre il proliferarsi di progetti “altri” non fortemente legati a dinamiche commerciali. Non stupisce, quindi, che per chi è abituato a questi standard la voglia di tornare in Italia sia “una specie di tensione insolubile”. “Per anni un forte sentimento di nostalgia è sempre stato presente nei miei pensieri – spiega De Palo -, ma oggigiorno mi è difficile immaginare un mio rientro. A prescindere dall’esperienza professionale che ho accumulato, avrei paura di confrontarmi con un mercato chiuso, povero ed estremamente legato a dinamiche di nepotismo e favoritismo”.

 

Ma se Spagna, Inghilterra e Francia sono mete tradizionali dell’emigrazione italiana di oggi, una testimonianza arriva anche da Bratislava, capitale emergente della Slovacchia. Qui vive Alessandro Villa, trentunenne bresciano, alle spalle una laurea in filosofia ed esperienze di studio e di lavoro in Germania e Svizzera. Segretario generale della Camera di Commercio italo-slovacca, si occupa di promuovere le relazioni commerciali, industriali, finanziarie e culturali tra le imprese e gli enti dei due paesi. “Rispetto all’Italia la Slovacchia offre un ambiente più dinamico, meno soffocato, più fiducioso – dice -. E dà spazio ai giovani che abbiano voglia davvero di impegnarsi”. “Tornerei volentieri – conclude – e del resto il mio lavoro mi permette un contatto continuo con l’Italia. Ma tornerei soprattutto se potessi trovare un’Italia più europea, più mobile e ambiziosa”.

 

di Manfredi Liparoti

www.larepubblica.it

 

 

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