Federalismo e geografia in Arcangelo Ghisleri
La forza di Arcangelo Ghisleri è la sua capacità di visione, la sua fiducia nella ragione e nella conoscenza. Una capacità di visione globale del mondo, geografica e politica, sociologica e storica. L’impressione è che in gran parte degli estimatori si sia sottovalutata la rilevanza dell’attività scientifica e geografica di Ghisleri, quasi fosse un lavoro quantitativamente imponente ma aggiuntivo.
Al contrario, la ricerca scientifica da un lato e l’attività didattica e divulgativa dall’altro sono l’espressione più diretta della sua concezione di geografia militante e della sua vocazione di organizzatore della cultura. Già alla fine dell’800 suoi testi di geografia furono adottati nelle scuole pubbliche; in particolare Ghisleri si specializzò nella redazione di Atlanti che meglio rispondevano ai criteri che preferiva: quello del metodo descrittivo e quello di una cartografia di sintesi che poco si prestavano ad un uso ideologico, sia da parte di chi esaltava la geografia coloniale, sia da parte di chi pensava ad una geografia giustificatrice di politiche di potenza e d’espansione territoriale sul suolo europeo.
Di più : la conoscenza geografica non solo entra a far parte della coscienza e della mente di Ghisleri, si integra con il suo repubblicanesimo democratico e con il suo federalismo, spesso ne illumina e orienta le valutazioni e le scelte politiche.
Tra Cattaneo e Salvemini
Mazziniano e, allo stesso tempo, vicino per sensibilità a Carlo Cattaneo per l’approccio positivistico ai problemi, Ghisleri sa ben distinguere tra analisi della realtà e dei processi nazionali e internazionali e istanze morali e ideali. Sta qui forse la causa profonda del suo “socialismo rientrato” (la convinzione che le buone istituzioni vengono prima delle conquiste sociali perchè solo una libertà piena può portare alla giustizia sociale), ma anche della sua intransigente pregiudiziale antimonarchica a favore della Repubblica come priorità assoluta, convinto com’ è che solo nuove istituzioni nazionali e sovranazionali possano garantire conquiste e diritti civili, sociali e politici. Solo una riforma dello Stato in senso democratico e regionalista è anche la risposta più efficace alla “questione meridionale”, come drammaticamente e lucidamente sollevata da Salvemini.
“ Non la tutela del Nord bisogna sostituire alla strapotenza immorale delle camorre amministrative” scrive Salvemini, ma la “ base solida di forze lavoratrici sulla quale crescano spontanei i partiti rinnovatori”.
E ancora “ Non basta che l’idea federalista venga affermata nelle pagine di un libro; bisogna che diventi programma politico dei partiti democratici. Il federalismo è utile economicamente alle masse del Sud, politicamente ai democratici del Nord, moralmente a tutta l’Italia”. ( Critica sociale, agosto-settembre 1900).
E’ bene ricordare che Salvemini rilancia e rilegge la questione meridionale anche alla luce della lezione di Carlo Cattaneo e della sua concezione federalista, grazie proprio alle indicazioni di Ghisleri con il quale era entrato in contatto epistolare dopo il suo trasferimento a Lodi come insegnante.
Sin dalla fondazione a Cremona nel 1879 del Circolo Cattaneo, il giovane Ghisleri è già un convinto sostenitore di una Repubblica fondata sulla piena autonomia dei Comuni e delle Regioni, alle quali va attribuito il potere legislativo. Nella relazione tenuta all’ VIII congresso nazionale del Partito repubblicano, svoltosi a Forlì nel 1903, Ghisleri contesta i provvedimenti speciali invocati dal Governo Giolitti per il Mezzogiorno e sostiene che la “legislazione speciale” non sarebbe stata utile “se non allorquando uscirà da assemblee legislative regionali, libere e sovrane per tutto quel che riguarda gli interessi locali, i quali non siano in contrasto con gli interessi generali della nazione”.
In queste parole si vede chiaramente il tentativo di conciliare Cattaneo e Mazzini anche sul terreno del federalismo “interno” o sub-nazionale, ( quello che in un saggio del 1945 dedicato a Cattaneo, Norberto Bobbio chiamerà degli “Stati Uniti D’Italia”), visto che su quello sovranazionale ed europeo le posizioni dei due grandi coincidevano ampiamente già nelle impostazioni iniziali.
Per Ghisleri la lezione di Cattaneo come “teorica della libertà” comporta che il progetto repubblicano diventi riforma dello Stato e “ democrazia in azione”, che i partiti siano espressione della società e non di un ristretto ceto politico, che si arrivi al più presto al suffragio universale perché si realizzi davvero quello che lo stesso Ghisleri chiama “ padronanza popolare e libertà”.( cfr. capitolo 3° di “Democrazia in azione. Il progetto repubblicano da Ghisleri a Zuccarini”, 1996, di Marina Tesoro ).
Nell’intenso scambio epistolare tra Ghisleri e Salvemini, tra il 1900 e il 1902, emerge ad un certo punto in ambedue, uno repubblicano e l’altro socialista, la consapevolezza dell’inadeguatezza dei rispettivi partiti e la comune convinzione della necessità in Italia della nascita di un grande “ partito democratico”.
Quello che motiva Salvemini è l’evoluzione del suo pensiero verso il liberalsocialismo, poi ripreso e sviluppato dai suoi allievi Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi e la polemica con Turati che metteva in secondo piano le riforme istituzionali e assegnava ai governi borghesi il compito di democratizzare il Paese.( capitolo 4° di “ Federalismo e Regionalismo”, Laterza 1994, di Zeffiro Ciuffoletti).
Quello che muove Ghisleri è ancora la lezione di Cattaneo a favore di una democrazia radicale, senza quella paura nutrita dai conservatori e dai moderati verso il popolo e nel coinvolgere pienamente il popolo ; ma anche la sua conoscenza del contesto internazionale non solo dal punto di vista geografico ma anche storico-politico. Dopo una viaggio negli Stati Uniti, scriverà che il federalismo aiuta lo sviluppo della democrazia e che sono “ beate le società che lo intesero e lo realizzarono”.
Colonialismo e politiche di potenza
In un’epoca attraversata da una crescente febbre coloniale e da disegni imperiali che proiettano sul mondo intero interessi economici, commerciali, militari Arcangelo Ghisleri rimane contrario alle ambizioni uscite dalla Conferenza di Berlino ( 1884-85) che sancisce le regole diplomatiche per la corsa alla spartizione dell’Africa fra le diverse potenze coloniali. In questi anni si assiste ad una moltiplicazione esponenziale di studi geografici sull’Africa e sul cuore verde dell’Africa in tutta Europa, in supporto alle ambizioni coloniali , ma anche per rispondere alle curiosità di opinioni pubbliche poco preparate a conoscere l’Altro che, in assenza di un confronto interculturale, comincia a essere definito a partire dai soli paradigmi dell’Occidente.
Verso il passaggio del secolo la geografia politica si trasforma per molti studiosi in geopolitica, una nuova disciplina
troppo spesso al servizio dei disegni imperiali e di potere, attenta alle relazioni internazionali degli Stati e alle loro ambizioni di oraganismi inclini a crescere territorialmente e ad espandersi economicamente. I fondatori di questa prospettiva sono il tedesco Ratzel (il più grande e innovativo) e lo svedese Rudolf Kjellen ( il più ideologico, inventore del termine “geopolitica”, precursore dei vari fascismi europei).
Ghisleri non condivide questa impostazione, convinto com’è che la geografia sia una scienza che debba offrire strumenti conoscitivi, anche i più raffinati, all’intera società umana: alla politica spetta poi la responsabilità di utilizzarli nel modo migliore. Una costante del suo pensiero sarà sempre la distinzione tra scienza ( tutto ciò che è conoscenza e ricerca) e competenza ( la sfera delle attività e decisioni politiche).
Ghisleri viaggia su di un’altra lunghezza d’onda , ben consapevole della lezione mazziniana che riconosce ad ogni popolo legittimi diritti di liberazione nazionale e di autogoverno. Anzi, nel primo esilio svizzero, a cavallo del secolo,
si avvicina a esponenti del socialismo pacifista e umanitario operanti a Lugano, fra i quali Giuseppe Rensi e Angelo Crespi che, nel 1907, daranno vita alla rivista “Coenobium” famosa per aver fatta propria la formula “guerra alla guerra”.
Rientrato in Italia, a Bergamo, inizia a lavorare a quella che lui stesso definisce ” l’opera mia maggiore”: l’ Atlante d’Africa. E’ un’opera che descrive non l’Africa degli africani ma quella degli europei, che accetta il dato di fatto coloniale al punto che l’Africa politica risulta definita nei suoi confini regionali in base al criterio della spartizione coloniale.
Come è possibile che un geografo anticolonialista costruisca un atlante del colonialismo ? A questa “apparente contraddizione” risponde il bel libro a cura di Emanuela Casti “Arcangelo Ghisleri e il suo clandestino amore”, edito dalla Società geografica italiana. Dobbiamo tener conto che 25 anni dopo la Conferenza di Berlino il colonialismo si
è ormai imposto con la forza di un processo inarrestabile, come oggi potremmo leggere i processi di globalizzazione. Ghisleri anticolonialista continua a non condividere e a non giustificare le decisioni politiche che promuovono il colonialismo, ma capisce che non si può tornare indietro, che l’Africa sarà costretta ad attraversare l’esperienza dura e ingiusta del colonialismo per andare oltre. Così anche gli europei sono chiamati a conoscere meglio il mondo, per non aggiungere agli errori dovuti all’uso della forza e delle guerre coloniali, anche l’errore dei pregiudizi e di una cattiva conoscenza degli altri popoli e delle altre civiltà.
La geografia diventa dunque ” una disciplina strategica in grado di creare una competenza politica” ( op. citata pag. 47). Anche se solitario, Ghisleri mantiene contatti con le maggiori scuole di pensiero europee : conosce bene la “geografia coloniale” francese e, ancora prima, la geografia umana del grande Vidal de la Blanche; dal tedesco Ratzel assume il concetto di antropogeografia, cioè del rapporto e delle influenze vicendevoli tra la Terra e l’uomo. Tra il 1880 e il 1891 Ratzel “ conia a breve distanza le definizioni di “geografia culturale” e di “geografia umana” ( vedi il libro “ La geografia culturale” di Paul Claval, De Agostini, 2002).
Ghisleri conosce e apprezza Elisèe Reclus, a cui del resto si ispira per il suo metodo naturale dell’apprendimento della geografia che consiste nello stimolare la fantasia e l’immaginazione dei ragazzi.
Nelle dispute internazionali dei geografi tra le posizioni deterministe e quelle possibiliste, si schiera con queste ultime perché non è la natura o l’ambiente a decidere in ultima istanza, ma nella storia umana e nella società che interagisce in modo profondo con il territorio c’è spesso la possibilità di un intervento consapevole da parte degli uomini.
Non solo sul terreno degli studi geografici, ma anche su quello dei processi e avvenimenti politici lo sguardo di Ghisleri spazia ben oltre la dimensione nazionale.
Marco Pezzoni
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