Kiriwina, l’isola dell’amore, dei fiori e.. dei serpenti

In attesa di partire per l’Africa (Burundi) il nostro caro amico Ferruccio Brambilla, volontario internazionale, ci invia gli appunti di viaggio dell’ultima esperienza in Papua Nuova Guinea, precisamente a Kiriwina, la più bella isola dell’arcipelago delle Trobriand. Si trova poco sotto l’equatore e sopra l’Australia.

Vico ed io abbiamo fatto parte del Gruppo Africa Valdiscalve durante le “Campagne di Papua”, quando si sono costruiti i due acquedotti di Watuluma ed Ulutuya sull’isola di Goodenough. Ora ci dedichiamo alla missione che si trova sull’isola di Kiriwuina, dietro suggerimento dell’amico Dino, un coordinatore della onlus che ha raccolto la supplica di sister Valentina… perché c’è davvero parecchio da fare!

Ma cosa c’entra un arcipelago sperduto nell’oceano Pacifico con l’acqua a Milano? Probabilmente niente, se non fosse che oggi, uscendo dalla doccia, rifletto su una cosa che desidero condividere. Prima ancora di buttarmi addosso l’accappatoio infatti, mi chiedo com’è che si può compiere quotidianamente ed in pochi minuti un atto così insignificante come fare la doccia a Milano, con l’acqua calda al punto giusto, che toglie in pochi secondi la schiuma… quando fino a pochi giorni fa dovevo fare i conti con quella a disposizione, sempre scarsa, che quando andava bene era acqua piovana raccolta dai pluviali posti ai bordi del tetto in lamiera; quando andava male, quindi in mancanza di pioggia, più semplicemente quella salata dell’oceano, che si doveva andare a prendere con dei secchi lungo le impervie insenature delle spiagge di durissimo corallo, per giunta popolate da coccodrilli. Oltre a non sciacquare per niente, quella fredda acqua dovevo centellinarla e buttarmela addosso con il solo ausilio di una piccola caraffa.

Mi domando cosa porta una persona come sister Valentina a compiere una simile scelta di vita. Vive infatti da molti anni qui a Kiriwina, la più grande delle piccole isole Trobriand, a est della Papua Nuova Guinea. (La foto mostra una delle spiagge deserte dell’isola. Vale, do you remember? Le interminabili passeggiate…).

Durante il lungo periodo trascorso recentemente in sua compagnia, abbiamo parlato tanto e di tante cose ma non le ho mai posto questa domanda… e, ripensandoci, non gliel’ho mai chiesto perché mi sembrava la cosa più normale del mondo che lei fosse lì. Forse la risposta sta nella passione con la quale riesce a dare conforto alle persone che tutti i giorni vengono a trovarla, più che a trovarla a consultarla, quasi sempre per problemi di carattere medico o per medicazioni di varia natura. Le famiglie, che di sera noi andavamo a visitare, nel buio totale dei villaggi fatti di bambù e foglie di banana. Gli anziani, gli ammalati ed i feriti più o meno gravi che assiste con la necessaria urgenza, ma con tanta semplicità e naturalezza. La buona parola che ha per tutti e la totale condivisione di quel poco che ha. Così, alla fine mi sembrava normale tutto quello che le vedevo fare… e anche l’acqua me la facevo andar bene così com’era. Poi, fosse solo l’acqua il problema di Kiriwina…

Tante volte mi sono chiesto cosa serve per riuscire in tutto questo… basta il dono della sua fede?

Se penso che in un paese “civile” come il nostro viene premiato chiunque, basta che sappia fotografare il malcontento di tutti gli altri… come potremmo premiare l’impegno e l’insegnamento di persone come Valentina? Sono forse due cose diverse? Può darsi, ma non riesco ad evitare questa considerazione ogni volta che incontro angeli come lei, ed in questi ultimi anni ho avuto la fortuna di incontrarne tanti.

Vivendo con loro, con la loro sconcertante umiltà e con la disarmante semplicità della gente che assistono, si cambia la visione della vita. Si impara quanto sia tutto relativo, quali siano le cose veramente gravi della vita o gli avvenimenti davvero importanti nella nostra fragile esistenza.

Ma questa condizione, che da un lato sicuramente arricchisce, ha un grave aspetto negativo… me lo hanno confermato loro stessi, gli angeli di cui sto parlando. Se riuscirò, un giorno cercherò di spiegare perché questo non è sempre un bene, per chi poi deve tornare a fare i conti con la quotidianità del paese in cui vive la maggior parte del suo tempo, dove buttare il televisore non basta… dove l’atmosfera che si respira resta pesante ed ogni volta, ad ogni rientro lo è sempre di più. Dove tutto ciò a cui si dedica tanto tempo sembra futile, fino ad apparire assolutamente inutile.

Dico questo rischiando di apparire presuntuoso… Chiedo scusa, ma sono sincero.

Mi consola il fatto che, come dicevo, questo stato di cose è sempre condiviso dalle stesse persone che incontro. Forse è qualcosa che aiuta, o almeno contribuisce a far trovare loro la forza per continuare. Può essere che, anche per questa ragione se ne guardano bene dal ritornare a casa… puo essere?

Cara Valentina se tu potessi essere qui, o meglio essere io lì, scateneremmo sicuramente uno di quei discorsi che ci facevano tirare tardi la sera, dopo cena. Sempre interessanti e stimolanti.

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