L’Italia e la Lombardia in Brasile: tra immigrazione e contemporaneità

di Guilherme Balista

In Brasile, dall’ottenimento dell’indipendenza dal Portogallo, l’immigrazione è stata in cima all’agenda intellettuale e politica del paese. Ciò fu dovuto principalmente alla vasta estensione del suo territorio, alla necessità di soldati per garantire la difesa del paese, al fabbisogno di manodopera e, quindi, da necessità economiche diverso ordine

Sopratutto verso la fine del XIX secolo, l’immigrazione inizia, tuttavia, ad assumere nuove forme, frutto della congiuntura internazionale dell’epoca. Infatti, mentre l’Europa viveva la cosiddetta “transizione demografica”, con un grande incremento demografico dovuto ai miglioramenti dell’agricoltura, un calo nei tassi di mortalità e la mobilità della gente agevolata da ferrovie e piroscafi, il Brasile viveva un periodo di espansione della sua produzione di caffè, con tanto di incremento delle opportunità di lavoro. Con la fine della schiavitù, c’era, altresì, bisogno di assumere manodopera a contratto.

È in questo contesto che si verifica l’immigrazione italiana in Brasile. Tra il 1884 e il 1959, 4.734.494 immigranti entrarono nel paese, di cui 1.507.695 italiani, principalmente a causa del grande stimolo del governo. La fase migratoria più importante si verificò all’inizio del periodo repubblicano, durante il quale si preferiva l’ingresso di famiglie, piuttosto che di singoli individui, la maggior parte dei quali provenienti da Veneto, Campania, Calabria e Lombardia.

Gli italiani arrivarono inizialmente nella zona meridionale del Brasile, dove furono insediate colonie di immigrati italiani. Nel diciannovesimo secolo, il governo brasiliano creò le prime comunità, fondate in aree rurali come la Serra Gaúcha, Garibaldi e Bento Gonçalves (1875). Dopo cinque anni, a causa del gran numero di immigrati, il governo creò una nuova colonia italiana a Caxias do Sul. In queste regioni, gli italiani cominciarono a coltivare uva e a produrre vino. Attualmente, e forse non a caso, queste zone producono i migliori vini del Brasile. Sempre nel 1875, furono fondate le prime colonie di Santa Catarina in Criciúma e Urussanga e, poco dopo, quelle dello Stato del Paraná.

Anche se la regione meridionale fu quella che ricevette i primi italiani, è stata la regione sud-occidentale ad accogliere, nel complesso, il maggior numero di immigrati dall’Italia. Ciò fu dovuto al processo d’espansione delle piantagioni di caffè nello Stato di San Paolo.

Gli italiani iniziarono ad espandersi in Minas Gerais, Espírito Santo e Rio de Janeiro. La maggioranza assoluta di essi aveva come destinazione iniziale la campagna per il lavoro agricolo. Molti, dopo anni di raccolta del caffè, risparmiarono abbastanza soldi per comprare la terra che lavoravano, e,così, diventarono agricoltori. Altri partirono per grandi centri urbani (come la città di San Paolo), a causa delle pessime condizioni di lavoro nelle campagne.

Gli italiani parteciparono attivamente al processo di industrializzazione brasiliano, rappresentando, nel 1901, cerca il 90% dei lavoratori impiegati nelle industrie di San Paolo. A causa del gran numero di lavoratori immigrati dall’Italia, questo gruppo ha partecipato alla formazione del movimento operaio in Brasile.

L’immigrazione italiana in Brasile continuò fino agli anni 20, quando il regime nazionalista di Benito Mussolini iniziò a regolamentare le partenze degli italiani. Con la seconda guerra mondiale, la dichiarazione di guerra dal Brasile all’Italia e il continuo recupero dell’economia italiana, l’arrivo degli italiani nel paese subisce un sensibile decremento.

Nel 2013, l’ambasciata italiana a Brasília ha riferito che ci sono circa 30 milioni di discendenti di italiani nel paese (quasi il 15% della popolazione brasiliana), la metà dei quali residenti solo nello Stato di San Paolo. La sola città di San Paolo conta circa 11 milioni di abitanti, di cui quasi 6 milioni sono italo-brasiliani, ossia il 55% della popolazione locale. Per avere un’idea di questa grande percentuale, è interessante confrontarsi con la più grande città d’Italia – Roma, che, al giorno d’oggi, ha circa 3,8 milioni di abitanti, ossia meno italiani che nel capoluogo di San Paolo. Secondo un’indagine del 2016 pubblicata dall’IPEA (Istituto di Ricerca Economica Applicata), fondazione del governo federale brasiliano, in un campione di 46.801.772 nomi di brasiliani analizzati, 3.594.043, ossia il 7,7%, possedeva un cognome di origine italiana.

Gli italo-brasiliani sono considerati la più grande popolazione di oriundi al di fuori dell’Italia. Essi non formano un gruppo etnico a parte della popolazione locale, ma sono parte integrante e radicata nella società del paese. Essi mantengono usanze tradizionali italiane, così come parte della popolazione brasiliana, che le ha assorbite a causa dell’impatto dell’immigrazione.

Molte caratteristiche culturali italiane, poi incorporate alla cultura del paese e sono presenti fino ad oggi, furono portate nei bagagli dagli emigranti lombardi ed italiani in Brasile. Tra gli innumerevoli contributi possiamo citare l’uso del “ciao” in tutto il Brasile, gli accenti dei brasiliani, principalmente nella città di San Paolo, nella Serra Gaúcha, nel sud di Santa Catarina e all’interno dello Stato di Espírito Santo; l’introduzione di nuove tecniche agricole ed alcuni piatti che divennero parte integrante della tradizione culinaria brasiliana, come la pizza, gli spaghetti, la colomba pasquale e il panettone natalizio.

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