In Senato il convegno “Italiani e italici verso le elezioni europee”

Italiani e italici verso le elezioni europee”: questo il titolo del convegno che si è svolto questa mattina presso la Sala Zuccari del Senato, in Palazzo Giustiniani, e che è stato introdotto dai saluti del senatore Pierferdinando Casini, cui si deve l’iniziativa in collaborazione con ASVIT, l’Associazione Svegliamoci Italici.
“Il Parlamento Europeo è l’unico vero luogo di partecipazione democratica”, è “il luogo di sintesi” di tutte le sfaccettature dei popoli europei, ha esordito Casini, ricordando la figura di David Sassoli, cui il convegno è stato dedicato.
Moderati dal giornalista Marco Giudici, sono poi intervenuti numerosi relatori tra i quali, a portare il contributo degli italiani all’estero, Maria Chiara Prodi, vice segretaria generale per l’Europa e Africa del Nord del Cgie e direttrice della Maison de l’Italie di Parigi.
Ad aprire il dibattito Piero Bassetti, presidente ASVIT, che ha evidenziato la “funzione culturale dell’Europa” e al suo interno il “primato culturale” italiano. “250 milioni di persone nel mondo, pur non avendo la cittadinanza italiana, sono ispirate ancora dal nostro modo di vedere il mondo”, ha osservato Bassetti, invitando la rappresentanza italiana a Bruxelles a “tenerne conto” e ad avere coscienza che siamo “chiamati” con i nostri “valori” a superare la “crisi” che oggi il mondo sta vivendo.


Per Francesco Rutelli, presidente del Soft Power Club, gli italiani in Europa sono una “forza inespressa” da valorizzare. Un concetto, questo, ripreso da Silvia Costa, già presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, che ha parlato di due categorie di “italici”: i circa 60mila studenti e giovani lavoratori italiani che ogni anno si muovono in Europa e che “si sentono molto cittadini europei”, e “i giovani immigrati che magari nascono in Italia, crescono qui, ma che noi continuiamo a chiamare extracomunitari”. Per Costa serve un “approccio alla cittadinanza europea diverso”, che chiede di intervenire politicamente per “creare un diritto e una convivenza pacifica” basati sui “valori condivisi”, perché “oggi vince chi sa mettere in relazione la propria cultura con quella altrui”. Il termine “italici” è tornato anche nella relazione di Francesco Samorè, segretario generale Fondazione Giannino Bassetti, per il quale si tratta di “una comunità reale” eppure “intangibile” composta da “250 milioni di persone nel mondo, che condividono i nostri valori rinascimentali e di pace”, quegli stessi valori attraverso i quali è oggi possibile “rinnovare la legittimazione dell’Europa nel mondo”.
Sui giovani e in particolare sulla loro “assenza” si è concentrato il geografo Giuseppe Terranova dell’Università della Tuscia. La demografia racconta più dell’astensionismo, ha detto, sottolineando che i giovani rappresentano meno del 10% del nostro elettorato, 7,4 milioni circa, il 42% dei quali alle ultime elezioni europee ha scelto di non votare. “La politica non se ne occupa, perché non hanno peso elettorale”, ha aggiunto, riportando un altro dato significativo: “ci sono più di 8 milioni di italodiscendenti nel mondo, ma di quelli europei non abbiamo contezza”, anche perché “spesso non sono scritti all’Aire” e non votano nonostante siano per lo più laureati e altamente specializzati.
Dall’altro lato della medaglia, Andrea Vento e la Schola Italiana srl – Impresa Sociale da lui presieduta si occupano della formazione professionale e della “valorizzazione della coscienza italica” in particolare fra i detenuti nelle carceri italiane, il 32% dei quali “è italico per costrizione, non per scelta”: si tratta di circa 18mila detenuti stranieri al 2023, ha riferito Vento, la maggior parte dei quali nordafricani e, poi balcanici, per i quali è necessaria una “educazioni civica e finanziaria”.
La voce estera al dibattito è stata portata, come detto, da Maria Chiara Prodi, vice segretaria generale per l’Europa e Africa del Nord del Cgie, che ha accolto con entusiasmo il “confronto tra generazioni” avviato dal convegno odierno, che dimostra che“puntare insieme verso la stessa direzione è possibile”. Emigrata in Francia 20 anni fa, Prodi è attualmente direttrice della Maison de l’Italie presso la Cité Internationale Universitaire de Paris (CiuP) e, come ha raccontato lei stessa alla platea, fa “volontariato politico per gli italiani all’estero da moltissimi anni”. Sa bene dunque quanto “le reti istituzionali già esistenti che mettono in connessione tutti gli italiani all’estero, non solo gli iscritti all’Aire, siano portatrici sane di italicità”. Quanto all’Europa, Prodi fa parte di quei 17 milioni di europei che vivono e lavorano in un Paese europeo diverso da quello in cui sono nati: “siamo poco meno del 4%, ma presi tutti assieme facciamo la popolazione dell’Olanda” e il “contributo dell’Italia a questa cifra è molto significativo”, come pure quella degli italiani all’estero che rappresentano il 10% della popolazione italiana.
Tra le “narrazioni possibili del fenomeno”, Maria Chiara Prodi ha voluto portare la sua. “Negli ultimi vent’anni il sogno europeo è stato vissuto da un numero sempre crescente di cittadini come vero progetto di vita, con promesse mantenute di diritti, mobilità…”, ha detto. “La presenza degli italiani all’estero è cresciuta del 91% e la percentuale di bambini nati in questa situazione è cresciuta del 175%”, il che dimostra la “natura ormai definitiva” e la “capacità di costruzione identitaria di queste esperienze”. Perché allora “le Istituzioni scricchiolano”, mentre “il sogno resta”? Secondo Prodi – e il suo pensiero è stato condiviso dagli altri relatori presenti in sala – quando è nato il Parlamento Europeo era organizzato e strutturato in un modo “giusto” per quei tempi. Sono passati però 66 anni e ora “c’è qualcosa che non funziona”. Al di là del singolo caso italiano e del voto all’estero che pesa sul bilancio dello Stato e sulla già affaticata rete consolare, il problema sta nel dove scegliere tra il voto in Italia o nel Paese di residenza: “io non mi sento rappresentata in nessuno dei due casi”, ha detto Prodi. “Noi 17 milioni siamo una sorta di identità funzionale e vorremmo che le nostre istanze venissero rappresentate in Europa”, ha proseguito. “I residenti all’estero formalmente in Europa sono più di 3 milioni, ma chi cittadino italiano ed europeo vive fuori dall’Europa non può votare e questo è scandaloso”, ha incalzato, evidenziando altri problemi che ledono la “cittadinanza nella mobilità”. In alcuni Paesi europei, ad esempio, l’elettore ha il dovere di avvisare il Paese di residenza se ha votato per l’Italia, altrimenti rischia di incorrere in sanzioni. “Inaccettabile è che meccanicamente chi ha la doppia cittadinanza come me sia considerato da uno dei due Paesi astensionista”. Senza contare i diversi meccanismi che prevedono i seggi per le elezioni europee e il voto per corrispondenza per le politiche, con il risultato che “l’ultima partecipazione al voto degli italiani all’estero si è fermata al 7%”.
Questo dato viene visto come “disaffezione”, ma, questa la domanda di Maria Chiara Prodi, “è opportuno dimensionare il sogno alla burocrazia esistente o sarebbe meglio apre le porte alle nuove generazioni? Siamo i meno presenti, i meno ascoltati, i meno considerati”, eppure “non è vero che la sorgente del desiderio politico di partecipazione e di un sogno europeo si è seccata”. Il problema per la vice segretaria CGIE sta “nella nostra rete idrica”, cioè nelle “infrastrutture” che vanno adeguate alla nuova realtà e al nuovo “bisogno di costruire un futuro di pace, di confronto con l’altro”.
C’è, insomma, “un sogno che cerca di farsi strada e che possiamo orientare in qualche modo”, a cominciare “dall’educazione alle identità multiple attivabili, non solo in termini politici ma nelle relazioni”, ha suggerito Prodi. “Un concetto che fa appello alla capacità della nostra coscienza di riconsiderarsi in tanti contesti diversi e che può essere d’aiuto anche nella battaglia contro i nazionalismi”; perché è vero che “lo Stato è sovrano”, ma lo è “anche il cittadino” e – perché no? – “la cittadinanza europea potrebbe essere riconosciuta come autonoma rispetto a quelle nazionali”. Per Prodi infatti “la complementarietà non è antitetica all’autonomia”.
“Forse siamo maturi per una discussione di questo tipo e per considerare le liste transnazionali l’infrastruttura più facile per dare risposta a noi 17 milioni di residenti all’estero, ma anche a chi è in mobilità momentanea e a chi si astiene”, come pure ai “nuovi italiani”, agli studenti fuori sede e ai lavori precari. Non si tratta di “un esercizio di stile”, ha precisato Prodi, “è partecipazione, è dare una chance a questo sogno”.
Umberto Laurenti, vicepresidente dell’Associazione Svegliamoci Italici (ASvIt), che ha chiuso il convegno, ha continuato su questa linea, invitando i partiti a parlare con i giovani, con chi si è astenuto, e a parlare con loro di programmi più che di capolista, perché da questa mancanza di attenzione deriva la “totale disaffezione” dei giovani rispetto alla politica. “Eppure i giovani sono europeisti, perché sono nativi europei”. Il problema per Laurenti sta nel fatto che “l’Europa oggi è in mano ai burocrati e alle lobby”, mentre a “popoli” è negata la partecipazione alla costruzione dell’Europa, come dimostra l’approvazione del Parlamento Europeo che per ben due volte ha votato a favore delle elezioni su base transnazionale “e due volte la Commissione europea e gli Stati membri se ne sono infischiati”. L’invito di Laurenti e del convegno odierno è chiaro: “i padri fondatori volevano l’Europa federale. L’Europa vada avanti”. (r.aronica\aise)

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