Incontro a Morbegno — Lombardi nel Mondo

Incontro a Morbegno

Incontro a Morbegno con Maddalena Shiantarelli autrice della tesi “ L’emigrazione ed il Frontaliero in provincia di Sondrio.” L’articolo è di Silvia Giovanna Rosa.

Il treno si inerpica lentamente, costeggiando il Lago di Lecco ed una serie di pittoreschi paesini adagiati ai bordi della ferrovia, quasi a lambire la sponda d’acqua placida. Lecco, Varenna-Esino, Colico e la sagoma rosicchiata delle montagne che si avvicina. Il Regionale partito da Milano Centrale ci porta a Morbegno, comune della bassa Valtellina, meta, in questo Venerdì come tanti, del viaggio di rientro di molti pendolari, giovani che studiano fuori casa, come il ragazzo seduto al mio fianco, ma non solo. Daniele Marconcini, Presidente dell’Associazione Mantovani nel Mondo, ed io stiamo andando a conoscere la Dottoressa Maddalena Schiantarelli, autrice dell’interessante tesi dal titolo “L’emigrazione ed il frontalierato in provincia di Sondrio”, che il Portale dei Lombardi nel Mondo sta pubblicando a puntate in questi mesi. Lo scopo della visita è innanzi tutto quello di confrontare le nostre esperienze di studio e di ricerca su temi relativi a fenomeni migratori assai differenti (io mi sono occupata dell’emigrazione delle donne italiane in Argentina), ma anche quello di valutare la possibilità di una collaborazione da parte della nostra ospite alle molteplici attività dell’Associazione, al cui interno si è andata costituendo una vera e propria rete di tesisti, ricercatori e studiosi, sparsi in tutta Italia, impegnati a descrivere e documentare con lavori di carattere scientifico la multiforme e corposa storia delle migrazioni italiane.

Scesi dall’affollato convoglio e fatte le presentazioni di rito, un pensiero mi attraversa la mente: non stiamo incontrando solo Maddalena, ma anche il ‘mondo’ che ha tratteggiato così puntualmente nella sua tesi, una terra che da subito prende corpo in ogni sua parola, un luogo che si fa presenza satura, occupando denso lo spazio di ogni sua narrazione, un territorio che si connota quasi come personaggio vivente, pulsando di tradizioni e di storia, e segnando il cammino di coloro che, abitandolo, lo portano inscritto nel proprio destino, come fosse il nome di un familiare a cui si è legati indissolubilmente.

E il giorno successivo, grazie alla disponibilità della Schiantarelli e di suo marito (premuroso papà-in-attesa della primogenita Alice, la cui nascita è prevista in Gennaio), ne scopriamo alcune delle numerose bellezze architettoniche, come l’Insigne Collegiata di San Giovanni Battista (sec. XVII-XVIII), considerata l’edificio barocco più importante della Valtellina, e il Palazzo Malacrida (sec. XVIII), aristocratica dimora nobiliare decorata da eleganti affreschi, stucchi e camini, vicino a cui è ubicato il punto di partenza della nota Via Priula. Questa strada, che oggi collega Morbegno a Bergamo, fu tracciata dal podestà bergamasco Priuli alla fine del 1500, quando la provincia di Sondrio era sotto il dominio Grigionese e la provincia di Bergamo faceva parte della Serenissima Repubblica di Venezia. Il sentiero consentiva ai veneziani di transitare attraverso le Orobie fino al Canton Grigioni, trasportando le proprie merci ed imbastendo rapporti commerciali col Nord Europa, senza essere soggetti al pagamento degli ingenti dazi doganali in vigore nel Ducato di Milano. Nel tempo divenne la via che centinaia di emigranti percorsero per raggiungere la Svizzera e la Germania in cerca di occupazione.

Il pranzo ci fornisce l’occasione di assaggiare uno dei piatti tipici della tradizione culinaria locale, gli squisiti pizzoccheri. E’ durante questa pausa che chiedo a Maddalena qualche precisazione in più in merito alla sua tesi, raccogliendo alcune preziose informazioni sul tema del frontalierato e dell’odierna situazione economico-politica della Valtellina. 

 

Prima di tutto vorrei sapere se sei contenta che la tua tesi sia pubblicata sul Portale dei Lombardi del Mondo.

Sì, certamente. Non mi aspettavo tanto interesse per la parte storica e socio-economica della mia ricerca che, almeno in partenza, voleva essere una raccolta commentata dei dati statistici del fenomeno del frontalierato.

 

Hai accennato al fatto che durante la stesura del tuo lavoro sia stata mostrata una certa attenzione all’argomento, sebbene, però, nessuna istituzione ti abbia concretamente appoggiata, soprattutto per quanto riguarda la raccolta dei dati. Oggi auspichi ancora un sostegno istituzionale, magari per diffondere i risultati della tua ricerca?

Più che ad una diffusione dei dati auspicherei ad un loro aggiornamento (sono passati quasi 5 anni), nonché ad un completamento della mia ricerca con le informazioni che non sono stata in grado di reperire nel 2003, per ragioni di tempo, ma anche e soprattutto per la mancanza di un appoggio istituzionale. Sarebbe interessantissima, ad esempio, una raccolta completa di dati suddivisi per Comune, oltre che per destinazione.

Ovviamente i dati che cerco non sono di facile reperimento. Una frase che mi sono sentita ripetere spesso durante la cernita del materiale è stata: “Noi non abbiamo nulla, ma appena trovi qualcosa facci sapere”. Questo dimostra che già all’epoca c’era sì un interessamento istituzionale, ma non ancorato ad un’effettiva voglia di ricerca.

 

Mi spiegheresti meglio la questione del trattato italo-svizzero, secondo il quale il 40% delle tasse dei lavoratori emigrati ritornerebbe ai comuni di confine, che hanno l’obbligo di investire questi proventi sul territorio?

Con un accordo bilaterale firmato da Italia e Svizzera nel 1974, volto ad evitare la doppia imposizione fiscale a carico dei lavoratori frontalieri, i Cantoni confinanti con l’Italia (Ticino, Grigioni e Valdese) si sono impegnati a girare annualmente allo Stato italiano il 40% dell’imposta sul reddito lorda pagata dai frontalieri (poiché i redditi di lavoro frontaliero sono imponibili in Svizzera). Secondo l’accordo il versamento è effettuato a titolo di compensazione finanziaria delle spese sostenute dai comuni di frontiera a causa dei frontalieri residenti sul loro territorio. Questi soldi vengono poi ripartiti proporzionalmente alle regioni di residenza dei lavoratori interessati e, successivamente, ai comuni di frontiera, direttamente o tramite le Comunità Montane (in base alla percentuale di frontalieri residenti).

La Lombardia ha stabilito che questi ristorni vengano utilizzati nelle zone di frontiera per opere di interesse sociale, quali implementazione dei trasporti, miglioramento della viabilità, case per lavoratori, per citarne solo alcune. 

 

Come si presenta oggi la situazione economica  della Valtellina? In futuro ci saranno nuove prospettive di lavoro o l’emigrazione continuerà a rivestire un ruolo fondamentale nel tessuto sociale della zona? 

La crisi economica si fa sentire anche qui e molto pesantemente, i piccoli commercianti ed artigiani chiudono, ma non va certo meglio alla grande distribuzione o alle industrie presenti nella zona. Per quanto riguarda queste ultime, negli ultimi anni parecchie di loro hanno decentralizzato la produzione in Romania, dove il costo della manodopera è notevolmente inferiore. E quando un’azienda chiude, oltre agli operai in cassa integrazione, sono messe in ginocchio tutte le attività artigianali cosiddette terziste, che qui in valle non sono poche. Penso, quindi, che in questa particolare e difficile congiuntura economica l’emigrazione possa rivestire la sua storica funzione di valvola di sfogo per tutte quelle persone che si trovano senza lavoro. Bisogna tuttavia considerare che il momento di crisi è globale e che sicuramente non lascerà indenne nemmeno la Svizzera.

 

Mi sembra di capire, quindi, che la problematica di cui ti sei occupata è ancora attuale…

Lo è sicuramente e le ragioni sono sempre le stesse: la vicinanza geografica e socio-culturale, che si avverte molto soprattutto nei paesi di confine. Credo poi che, con l’apertura delle frontiere (che avverrà a partire dal 12 dicembre), un giorno scomparirà del tutto anche la percezione della Svizzera come Paese estero, anche se sicuramente alcune differenze rimarranno, se non altro dal punto di vista politico.

 

Le domande poste a Maddalena in questa intensa giornata sono davvero tantissime. Visitiamo ancora diversi luoghi di Morbegno turisticamente affascinanti, e stimolanti alla luce del nostro precipuo interesse: l’emigrazione. Allo sguardo attento di Daniele non sfugge il monumento agli emigranti, che si trova nella zona industriale della cittadina, una struttura d’arte contemporanea dalle forme arrotondate, come in un abbraccio tortuoso e involuto, che ci impegna in una discussione accesa circa il suo significato profondo, anche in relazione all’ambiguo atteggiamento di rimozione dell’esperienza migratoria, che, infatti, in tutta la penisola è stata ricordata e celebrata assai di rado con opere pubbliche (manca un grande Museo dell’Emigrazione Italiana di rilevanza internazionale, ad esempio).

Non è possibile tradurre in poche righe il senso di un incontro, riportare fedelmente le suggestioni e gli spunti di riflessione che il dialogo con l’altro suscita, né i colori di una terra intravisti appena, le sue sfumature, filtrate dalla voce di chi c’è nato e la conosce bene. La breve permanenza a Morbegno si può dire forse attraverso qualche scatto fotografico, e il discorrere con Maddalena si può riassumere, sebbene solo in minima parte, in una sintetica intervista.

Ma resta la consapevolezza che, in fondo, quanto di importante è avvenuto non troverà asilo se non in un angolo di memoria, un non-luogo popolato dai frammenti di parole e immagini rubate alle persone e ai luoghi che si è avuto il piacere d’incontrare.

 

Silvia Giovanna Rosa

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