ITALIANI ALL’ESTERO/ Il “padre” del voto Danieli: vi spiego perché il sistema non funziona

Riprendiamo quanto segnalato da IL SUSSIDIARIO.net
Da tempo è evidente che qualcosa non funziona nel sistema che regola il voto degli italiani all’estero. Il commento dell’ex viceministro Danieli
Elezioni 2022, seggi elettori residenti all’estero alla Fiera di Bologna (LaPresse)

La problematica delle comunità italiane all’estero è da tempo argomento di discussione non solamente legato al fatto dell’eventuale immigrazione di nostri connazionali e il loro rientro attivo in una Patria che si sta lentamente svuotando, ma anche di altre tematiche, peraltro già affrontate in diversi articoli dedicati.

Cogliamo l’occasione di riparlarne attraverso una lunga intervista che abbiamo raccolto con Franco Danieli, l’ex viceministro degli Affari esteri, con delega agli Italiani nel mondo del secondo Governo D’Alema, nonché Sottosegretario di Stato, sempre allo stesso Ministero, durante il secondo Governo Amato. Da sempre ha ricoperto quindi importanti incarichi che lo hanno portato, in forza alle relazioni bilaterali con i Paesi del Continente americano, alla promozione non solo della cultura e degli italiani nel mondo, ma anche ad aver definito le modifiche costituzionali sul voto degli Italiani all’estero nel 2001. È un po’ da considerarsi il padre del tanto discusso voto: e per questo motivo il nostro colloquio inizia su questo tema.

Le elezioni degli italiani all’estero sono un motivo per il quale si è creato un rapporto tra sedicenti “movimenti” di italiani e un elettorato che in gran parte non ha spesso né la cultura, né l’informazione per esercitare il diritto al voto e i cui suffragi, pieni di imbrogli anche comici come quello delle schede false con la dicitura “Camera dei diputati”, hanno portato alla formazione di due Governi (tre se calcoliamo il mai formato “Conte-ter) dove il destino di 60 milioni di italiani residenti viene deciso dai repentini “cambi di casacca” di Senatori e Deputati eletti all’estero con un voto poco responsabile…

La legge sul voto all’estero e la modifica costituzionale le realizzai stando al Governo e sviluppando gli accordi necessari con l’opposizione per riuscire ad avere i numeri per poter effettuare le modifiche. Quella legge ordinaria e, come ripeto, le successive modifiche sono arrivate tardi: questo è l’elemento dal quale bisogna partire per considerare poi tutte le conseguenze che quella normativa ha comportato.

Per quali ragioni?

Il ritardo è dovuto a un’emigrazione di massa che di fatto era già cessata da qualche decennio. Ovviamente quando ci sono fenomeni migratori che risalgono nel tempo c’è un distacco oggettivo sia che si attraversino gli oceani, sia che si vada solo fuori confine, non molto lontano dalla terra di origine. Comunque tutto ciò comporta un distacco dal dibattito politico, dagli interessi e frequentemente vi è anche un risentimento. Per questo tante volte ho sentito nostri connazionali all’estero totalmente disinteressati, con frasi del tipo “Non devo dire grazie a nessuno” oppure “Mi hanno costretto a partire”, “Non mi interessa più nulla, facciano come credono: io qui lavoro e qui mi hanno dato uno stipendio adeguato e servizi”. Poi dobbiamo considerare i decenni che sono passati da quando quasi subito, nel secondo dopoguerra, iniziò la discussione sul voto degli italiani all’estero. A parte questo elemento il dato, sempre in relazione a quanto dicevo prima sul tempo che passa, sull’assimilazione, sull’integrazione, sulla nascita di cittadini di quei Paesi a tutto tondo, quando parliamo di terze, quarte e quinte generazioni. La legge ordinaria ha dovuto tenere conto di alcuni aspetti e di alcune difficoltà tecniche: si discusse dell’opportunità di far votare i nostri connazionali nei Consolati in appositi seggi e ci fu anche un’analisi condotta dai nostri Consolati dopo il primo voto all’estero da cui risultò che il numero già abbondantemente ridotto dei partecipanti sarebbe enormemente diminuito dalle distanze che un cittadino avrebbe dovuto percorrere in Paesi molto estesi e spesso con aree isolate (pensiamo ad Argentina, Brasile o Cile) per potersi recare a votare presso un seggio consolare.

E che decisioni si presero?

Alla fine si scelse, fatto innovativo per l’epoca, l’invio della scheda elettorale, con alcuni accorgimenti, per il voto per corrispondenza. Era inevitabile che questo comportasse, soprattutto in alcuni Paesi, un cattivo esercizio del diritto fondamentale di esprimere il voto: ci sono stati casi documentati di truffe, di pagamento di denaro e di conseguente raccolta di schede elettorali che poi venivano votate da qualcuno interessato. Poi ci sono stati altri casi come quello da lei ricordato delle false schede e, di fronte a questo fatto che, va ricordato ancora, avviene solo in alcuni Paesi in maniera molto profonda a dispetto di altri nei quali è pressoché inesistente. Di fronte al fenomeno e alle domande che mi venivano poste sul come risolverlo, rispondevo, con una battuta: io vi consegno la scheda elettorale dopodiché non posso mettere un Carabiniere in camera da letto per vedere come ognuno di voi gestisce lo strumento del voto. Quindi, ci troviamo di fronte a una difficoltà tecnica unita a un disinteresse rispetto a quello che è l’esercizio più importante che la democrazia parlamentare consente al cittadino.

E quali altre problematiche ha rivelato il suffragio?

Altro aspetto relativo al voto è che abbiamo assistito alla selezione di un personale politico che frequentemente non è stato all’altezza del ruolo che poi sarebbe andato a ricoprire se eletto. D’altro canto non è stato affrontato adeguatamente il tema di un potenziale conflitto di interessi, mai disciplinato. Abbiamo avuto un Ambasciatore della Repubblica argentina eletto nel Parlamento italiano: anche in questa ultima tornata elettorale abbiamo avuto un ex Ambasciatore brasiliano. Questi sono due dei tanti casi che dovrebbero essere disciplinati meglio per evitare situazioni che potrebbero anche contrastare con l’interesse nazionale. Credo che sia complicato immaginare un aumento dei partecipanti al voto, mano a mano che passa il tempo, e questo lo dico anche in riferimento alla nuova emigrazione intellettuale, e non solo: c’è un’iscrizione all’AIRE (Associazione degli italiani residenti all’estero) importante, ma comunque marginale dato che molti dei nostri “cervelli” all’estero non si iscrivono neanche e quindi di fatto poi votano nelle loro circoscrizioni di appartenenza in Italia. Detto tutto questo alla fine non credo che esista la volontà di modificare la legge attuale prevedendo una presenza al voto nei seggi in strutture consolari o rappresentanze.

(Arturo Illia)

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