Italiani in Scozia e a Londra al tempo della grande emigrazione

Gelatieri, girovaghi e ambulanti…

Ecco come venivano perlopiù additati gli immigrati italiani delle classi meno abbienti in Gran Bretagna nella seconda metà dell’Ottocento. Da allora ne hanno fatta di strada. Ma a rileggere i resoconti dell’epoca, si comprende da quale abisso si siano riscattati. Due scritti in particolare, scovati nel Fondo libraio e documentale dell’Associazione Mantovani nel Mondo, descrivono con efficacia e realismo la temperie dell’epoca. MnM print edizioni li ha rieditati, mettendoli a disposizione del lettore contemporaneo, col titolo Italiani in Scozia e a Londra.

L’emigrazione italiana della seconda metà dell’Ottocento verso il Regno Unito pone questioni sociali e antropologiche interessanti, che si discostano sensibilmente da quelle poste dall’esodo transoceanico della maggior parte dei nostri emigranti. Chi andava nelle Americhe trovava un nuovo mondo, a volte incomprensibile, a volte ostile, ma dove quasi sempre era possibile, per chi lo volesse, immaginarsi un futuro con regole sociali diverse da quelle del vecchio continente. Chi approdava sulle coste britanniche, trovava anche lui un mondo diverso, ma era quello che aveva dato vita a un impero mercantile in piena espansione all’epoca e che s’imponeva attraverso i mari col suo sistema industriale e finanziario. Tumultuose periferie proletarie a circondare Londra e i grandi porti, per il resto, un antico mondo rurale e marinaro consapevolmente stretto intorno alla propria fiera appartenenza isolana.

Qualche anno fa, capitando da turista in un porto nel nord della Scozia, entrai in un pub meravigliosamente illuminato dalla luce obliqua dell’estate nordica, e subito il chiacchiericcio degli avventori, tutti del luogo, si zittì al repentino ordine sussurrato dal barista: «Stranger». Dopodiché ebbi le indicazioni che avevo chiesto, con tutte le cortesie del caso. È l’immagine di una società molto compatta, che appena avvista l’estraneo, lo osserva, lo valuta, poi lo accoglie. Bene, se io, individuo ormai omologato all’aspetto dell’europeo medio, faccio ancora questo effetto nel Duemila, si immagini cosa dovettero pensare gli scozzesi, più di un secolo fa, alla vista di una nuova colonia di stranieri proveniente dalle profonde plaghe rurali mediterranee. Eppure i nostri emigranti arrivarono anche là, sulle tempestose scogliere del Mare del Nord.

Nel primo testo proposto: titolo originale I Gelatieri Italiani nella Scozia di Carlo Sardi, estratto dalla Rivista Coloniale (1911), è narrata proprio questa avventura della  colonia italiana, che ha visto in prima fila i gelatieri, ambulanti e poi stanziali (ice-cream shops), nelle botteghe dei quali ben presto si sono potuti trovare altri articoli allettanti e divertimenti come il biliardo. La novità fu accolta con simpatia dalla popolazione, anche perché portava in lande pressoché desolate e battute dai venti settentrionali un po’ di svago da assaporare in tarda sera, dopo la chiusura dei pub.

Meno bene fu accolta dall’establishment e dal clero protestante locale, per motivi più prosaici che spirituali. Col tempo, la lotta si fece più dura e ne scaturì un piccolo caso diplomatico. Scrive il Sardi: «L’industria dei gelati in Scozia si può dire una creazione italiana, ed è ancora quasi affatto una privativa degli italiani, rimanendo fuori dell’orbita delle industrie locali. Ma la gelosia, chiamiamola così, viene dalla parte del clero, il che può sembrare a prima vista inesplicabile. Il clero scozzese non ha in generale redditi ecclesiastici stabili; il mantenimento del culto e di chi lo esercita dipende dalla contribuzione dei devoti. Ora è naturale che il penny, che si converte in dolciumi o gelati non va a cadere nel vassoio delle elemosine. I ragazzi sentono una più forte attrattiva per i primi che per la seconda: quindi il penny che i genitori hanno dato loro per lo scopo religioso, prende per l’altra destinazione».

Nulla a che vedere, comunque, con l’abnorme questione posta dalla massa dei girovaghi di origine italiana che ha assediato Londra per buona parte dell’Ottocento, e la conseguente terribile piaga dei fanciulli schiavi. «Il quartiere di Holborn, dove, da tempi remoti, vive pigiata in luride catapecchie la quasi totalità dei girovaghi italiani, ebbe per molti anni e conserva ancora in qualche sua parte non raggiunta dal piccone risanatore, l’aspetto, e, purtroppo, il carattere di un vero covo di malviventi». Così un passo del secondo testo: Gli Italiani in Inghilterra di Giuseppe Prato, estratto dalla Riforma Sociale (1900), il quale descrive quell’inferno dickensiano che per buona parte dell’Ottocento ha caratterizzato i bassifondi londinesi, e che ha alimentato l’avversione da parte dei ben pensanti inglesi nei confronti della massa degli emigranti italiani che vi bazzicavano, e in particolare per i suonatori girovaghi fanciulli. Verso la fine del secolo si risale lentamente la china, e anche qui i gelatieri hanno avuto la loro parte. «È già un miglioramento la trasformazione del suonatore od esibitore di scimmie in gelatiere, venditore di castagne, merciaiolo ambulante».

 

(Immagini tratte da:

ISBN 9788894033021

C. Sardi, Gelatieri Italiani nella Scozia, Tip. dell’Unione editrice 1911).

 

 

 

 

 

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© Vittorio Bocchi

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