L’orgoglio del Kosovo indipendente (prima parte) — Lombardi nel Mondo

L’orgoglio del Kosovo indipendente (prima parte)

La ruggine tra i corpi di polizia dell’ex Jugoslavia favorisce trafficanti e criminali. All’Europa la missione di sicurezza costerà 340 milioni in tre anni

Il reportage di PAOLO BERGAMASCHI

Le bandiere issate ai margini della pista dell’aeroporto di Pristina catturano l’occhio dei viaggiatori che dalla scaletta si incamminano verso il nuovo edificio dove vengono smistati i bagagli. La posizione dei pennoni non è casuale.

 Il numero degli stendardi aumenta ad ogni mia venuta e sono il segno tangibile che il Kosovo sta gradualmente conquistandosi un posto nella comunità internazionale. Sono adesso sessantadue le bandiere degli stati che sventolano al sole di un autunno insolitamente caldo.

 Servono a dare visibilità ad un’indipendenza più di forma che di fatto. La polizia di frontiera mi regala anche, per la prima volta da quando arrivo nel capoluogo kosovaro, un timbro sul passaporto che se da una parte contribuisce ad arricchire la collezione sulle pagine del mio documento di identità dall’altra è destinato a darmi grattacapi quando dovrò recarmi a Belgrado. Dalle divise inappuntabili ai sorrisi accoglienti tutto appare in ordine.

 Le fumose sale d’aspetto balcaniche crepitanti di urla strozzate e brulicanti di ghigni poco raccomandabili sono oramai un ricordo sepolto in qualche piega della memoria. Nuovo parlamento, vecchie abitudini.

 Ad ogni inizio di legislatura i coordinatori dei gruppi politici in Commissione Affari Esteri si incontrano per decidere la ripartizione delle relazioni parlamentari. L’ordine di scelta è determinato dalla dimensione del gruppo. Per quanto concerne i paesi in via di adesione le prime ad essere attribuite sono quelle che riguardano i paesi più grandi che garantiscono agli eurodeputati attenzione e visibilità come Croazia, Serbia e Turchia.

 Ai gruppi di seconda fascia, quindi, spettano i paesi più piccoli o quelli più complicati e difficili da decifrare. E’ il caso del Kosovo attribuito anche questa volta al gruppo verde, in particolare all’eurodeputata austriaca Ulrike Lunacek. Eppure per il cittadino europeo il Kosovo dovrebbe rivestire un interesse notevole, di gran lunga superiore, proporzionalmente, agli altri paesi della regione sia dal punto di vista politico che da quello contabile. In questo paese, infatti, l’Unione Europea, dallo scorso aprile, ha dispiegato la più grande missione di politica di sicurezza e difesa che costerà ai contribuenti europei 340 milioni di euro nell’arco di tre anni oltre al consistente pacchetto di aiuti che viene iniettato da tempo a Pristina e dintorni nell’ambito dei vari programmi di assistenza. Tanto, forse troppo per un paese di soli due milioni di abitanti.

 La missione EULEX equivale, di fatto, ad un protettorato europeo nell’ex provincia serba. Sostituisce quella insediata dalle Nazioni Unite nel 1999 dopo l’intervento militare della NATO che aveva sottratto Pristina al controllo di Belgrado. Concepita nell’ambito della Proposta Comprensiva per la Definizione dello Statuto del Kosovo formulata dal mediatore internazionale Martti Ahtisaari, l’ex presidente della Finlandia cui è stato attribuito lo scorso anno il premio Nobel per la pace, l’amministrazione europea doveva preparare il Kosovo all’indipendenza. Il veto russo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha, però, incartato le mosse dei paesi occidentali che si sono visti costretti a riaggiustare il mandato della missione in corso d’opera che, adesso, è finalizzato alla promozione dello stato di diritto, dell’ordine pubblico e della sicurezza a prescindere da quello che sarà o potrà essere lo status della provincia.

 In altre parole Bruxelles ha trovato un compromesso con Belgrado che consente ad entrambi di salvare la faccia. Per buona parte dei paesi europei il punto di arrivo di EULEX è un Kosovo indipendente e sovrano mentre per la Serbia il percorso è tutt’altro che definito.

 Molto dipenderà dal parere della Corte Internazionale di Giustizia cui le autorità di Belgrado si sono rivolte per dirimere la questione.

 Il verdetto è previsto per il prossimo aprile. Intanto il governo serbo è riuscito nell’intento di neutralizzare la missione europea innervosendo la leadership kosovara che vede indeboliti gli sforzi volti ad ottenere il riconoscimento internazionale.

 Ogni volta che si parla di Serbia, l’opinione pubblica kosovara entra in fibrillazione. Il crimine organizzato non conosce frontiere e la frantumazione della Jugoslavia ha in un certo senso facilitato il compito a chi gestisce traffici illeciti, siano essi di droga, merci, armi o esseri umani. A causa di antiche e recenti ruggini i corpi di polizia dei nuovi paesi della regione spesso non si parlano rendendo la vita più semplice ai criminali le cui reti si diramano e avviluppano tutti i Balcani collegandosi con le mafie presenti nei paesi dell’Unione Europea di cui l’Italia, purtroppo, è capofila. Bruxelles, però, ha imposto come condizione preliminare all’integrazione europea una lotta più efficace contro le organizzazioni criminali obbligando le polizie della regione a sviluppare una strategia di azione comune e ad intensificare, quindi la collaborazione.

 Tutto apparentemente logico e normale ma ciò che è logico e normale dalle altre parti non lo è affatto nei Balcani. E’ bastato, infatti, che il capo missione EULEX Yves de Kermabon firmasse un protocollo di cooperazione con il Ministero degli Interni serbo perché a Pristina si scatenasse il putiferio. Sono volate, nelle istituzioni kosovare e sulla stampa, parole pesanti che hanno messo in discussione il ruolo dell’Unione Europea accusata di riportare il Kosovo sotto il controllo della Serbia.

 Il generale de Kermabon, che ci riceve nella moderna palazzina che ospita la missione europea in un quartiere periferico della capitale, respinge con decisione le critiche: «Questo accordo non è né un cedimento né una resa alla polizia serba ma, al contrario gioca a favore della sicurezza della popolazione kosovara; alcune delle persone che ci accusano di mettere a rischio la sovranità del Kosovo potrebbero avere legami con il crimine organizzato. Adesso i leader politici sostengono di non essere stati messi al corrente dei negoziati in corso con Belgrado», aggiunge, «ma la realtà è diversa perché sono sempre stati informati di quanto accadeva». La missione EULEX ha il compito di monitorare e consigliare le autorità locali pur mantenendo alcune responsabilità esecutive.

 La trattativa con le autorità serbe è, quindi, stata condotta in linea con il mandato ricevuto. E’ un dato di fatto, però, che ci sono stati grossi errori di comunicazione che hanno messo in cattiva luce la diplomazia europea pregiudicando il prosieguo della missione. Il favore con cui era stato accolto dall’opinione pubblica il passaggio dell’amministrazione delle Nazioni Unite a quella dell’Unione Europea si è dissolto nel volgere di pochi giorni tra le polemiche.

 Le vetrine dell’ampio viale perdonale dedicato a Madre Teresa espongono in bella mostra le prime guide turistiche in inglese interamente dedicate al Kosovo.

 In precedenza gli unici libri a disposizione erano i vecchi manuali di viaggio dell’ex Jugoslavia, dove il Kosovo era sbrigato in poche pagine e Pristina in poche righe.

 Non penso siano molti i turisti che scelgono l’ex provincia serba per le proprie vacanze, ma l’indipendenza ha dato diritto, almeno in termini editoriali, alla conquista di uno spazio di scaffale analogo a quello degli altri paesi della regione.

 Anche questo è un segno, piccolo ma importante, che conforta psicologicamente i disorientati cittadini kosovari. Uno dei punti chiave del piano Ahtisaari è la piena attuazione del processo di decentramento che attribuisce e definisce i poteri dei governi locali.

 Con questo piano il numero delle municipalità viene portato a trentotto con cinque nuovi comuni in cui la minoranza serba diventerà maggioranza.

Gazzetta di Mantova del 09/11/2009

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