Le priorità dell’Italia nella nuova Libia — Lombardi nel Mondo

Le priorità dell’Italia nella nuova Libia

Mentre i commentatori si interrogano su chi saranno i nuovi reggitori della Libia e, prima ancora, se sia possibile ricreare una qualche forma di unità di quell’immenso territorio, gli scenari possibili vanno analizzati anche con l’obiettivo di elaborare strategie di tutela degli interessi nazionali

Disarmare gli insorti
Svanita ogni illusione di costituire un fronte comune dell’Unione europea, che, almeno per quanto riguarda questa crisi e in generale il Mediterraneo, è totalmente scomparsa dal quadro della politica estera e di sicurezza – a meno che qualcuno non si illuda ancora che per la questione israelo-palestinese esista quell’oggetto misterioso denominato ‘quartetto’ – e preso atto delle politiche vetero nazionaliste e/o neocolonialiste di Francia e Gran Bretagna, anche per l’Italia diventa urgente definire le priorità da promuovere.

La situazione che si sta palesando in questi giorni, prevedibile fin dall’inizio della crisi tranne per chi non voleva vedere, lascia spazio più ai dubbi che alle certezze.

I nuovi reggitori della Libia dovranno innanzitutto ricondurre il dibattito politico sul piano della dialettica. Per farlo dovranno convincere tutte le fazioni, gruppi, tribù, clan, che hanno trovato una ragione di momentanea unità nella lotta contro Gheddafi, a riconsegnare le armi di cui dispongono: da quelle leggere, individuali, alle artiglierie pesanti, ai mezzi blindati e corazzati, ai lanciarazzi multipli, per non parlare che degli armamenti terrestri (e che fine hanno fatto gli Scud? Chi si è impossessato delle migliaia di missili manpad, gli antiaerei spalleggiabili che sono spariti dai depositi?).

Si tratta di una misura indispensabile se si vuole che il dibattito si svolga sul piano politico e non venga inquinato dai rapporti di forza militare; ma uno sviluppo del genere sarà impensabile senza un’imposizione esterna. L’unico organismo legittimato a farlo sono le Nazioni Unite, ammesso che le varie anime della nuova Libia accettino che un’autorità esterna intervenga in modo così intrusivo.

Gara di “bellezza”
L’alternativa realistica è il consolidamento di un certo numero di componenti, più su base etnico-tribale ( e quindi prevalentemente territoriale, ma a macchia di leopardo) che in base a criteri di classe sociale o di ideologia. A meno che non si vogliano definire ideologiche le faglie tra le diverse visioni dell’islamismo. È bene sottolineare che le ricchezze petrolifere libiche non sono, ovviamente, distribuite uniformemente sul territorio, e che quest’ultimo non è caratterizzato da chiari confini tra le zone di influenza delle varie tribù.

Si tratta di un altro pesante motivo di instabilità, in quanto le formazioni che si riterranno penalizzate, disponendo di una forza militare, difficilmente resisteranno alla tentazione di ‘allargare’ il proprio perimetro per appropriarsi di una fetta maggiore della rendita petrolifera.

Può avere dunque conseguenze disastrose la politica su base esclusivamente nazionale che stanno conducendo oggi i paesi europei: è già partita la gara a identificare l’interlocutore più credibile in termini di disponibilità di risorse, così come di atteggiamento negoziale, dando una spinta determinante all’ulteriore frammentazione.

Ecco perché diventa indispensabile che l’Unione europea trovi la forza e il coraggio di coalizzare un fronte unico: sia per esercitare in modo efficace una moral suasion che induca le diverse componenti libiche ad avviare un reale processo di democratizzazione, sia per stroncare sul nascere una ‘gara di bellezza’ tra le potenze europee.

Se quest’ultima nell’immediato potrebbe forse portare a qualcuno dei vantaggi commerciali, nel medio/lungo periodo si rivelerebbe inevitabilmente effimera, proprio per l’instabilità che domina la nuova Libia. Ci troveremmo un Iraq ancora più complicato, caratterizzato non da tre, bensì da trenta componenti, in costante conflitto tra loro. Anche se questa conflittualità non assumesse la forma di una guerra civile aperta, determinerebbe una situazione estremamente instabile e spesso turbata da scontri e scaramucce.

Ognun per sé
Se nel complesso contesto attuale non si riuscisse a definire una credibile iniziativa dell’Unione, sarebbe giocoforza necessario procedere su base bilaterale. Ciò implicherebbe una puntuale valutazione degli interessi nazionali, che comprendono ovviamente il dossier energia, quello infrastrutturale, ma anche quello della tecnologia e quello agroalimentare, per individuare opportune strategie volte a recuperare gli spazi necessari al nostro sistema paese.

Nell’attuazione di questo disegno è indispensabile un’azione sinergica delle istituzioni titolate a svolgere un ruolo: ministero degli Esteri, quello dello Sviluppo economico, con il supporto determinante dei servizi informativi. Tale azione non potrà che essere incardinata nella Presidenza del Consiglio e non lasciata alla iniziativa e alla buona volontà dei singoli attori, pena un inaccettabile calo di efficacia.

Il sistema istituzionale dell’Italia non favorisce, tuttavia, questo tipo di approccio sistemico. L’attuale struttura di governo non sembra oggi idonea ad affrontare le contingenze di medio, e ancor meno quelle di lungo periodo: il caso della Libia deve indurre a riaprire questa riflessione e ad attuare, con la dovuta urgenza, gli opportuni correttivi.

Vincenzo Camporini, www.affarinternazionali.it

Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è consigliere del ministero degli Esteri per gli aspetti militari e consigliere scientifico dello Iai.

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