Il Sudafrica di Little Eden, piccolo grande paradiso di Johannesburg – III Parte — Lombardi nel Mondo

Il Sudafrica di Little Eden, piccolo grande paradiso di Johannesburg – III Parte

Si conclude con questa terza parte il racconto di Ferruccio Brambilla sulla sua esperienza in Sudafrica. Un saluto ai bambini sofferenti di Little Eden e un omaggio a questa terra che sta cercando faticosamente di superare le ferite del passato. Perchè, come dice Ferruccio, “Se si riuscirà a non lasciarsi trascinare dall’odio e dalla violenza qualcosa di bello arriverà”.

Questa mattina come sempre con Ferruccio siamo andati a lavorare con la Teacher Lily di origini indiane molto carina e gentile. Personalmente credo che il suo gruppo sia uno dei più gravi. Sono all’incirca trenta ragazzi, i più allettati su delle barelle con due ruote giganti dietro, l’impressione è stata che si trattasse per la maggior parte di ragazzi che devono aver subito degli interventi alla testa o comunque dei vistosi traumi, infatti quasi tutti avevano delle evidenti cicatrici sulla testa sotto i capelli cortissimi. Di questo gruppo mi ha colpito molto John Brouw, 29 anni, veramente un bel tipo, capelli biondi occhi azzurri, trascina i piedi e si sposta velocemente sulle ginocchia facendo forza con le mani, ti lascia quasi di stucco poi quando si siede al tavolo incomincia a dire qual è il suo nome, che sua mamma è felice e che a John Brouw piace scrivere sulla carta con i colori. È impressionante come riesce a stare nel suo mondo e a portarti dentro.

Poi c’è Robert, down sveglio e attivo, estremamente attento e spigliato e credo anche un po’ anarchico. Gira con un mini carrellino per la spesa dove tiene tutti i suoi effetti ed affetti personali. Ed eccola arrivare a piedi nudi e con un sorriso spigliato e duro, è Monday che gira tutta felice e impegnata a cercare baci, col suo corpicino esile ma pieno di sprint.

Con Lucy siamo andati in una palazzina dove lavora una teacher di Praga che i gestori del Little Eden adorano. E’ veramente molto brava, anche il gruppo con cui stava lavorando era di circa 20 ragazzi tra cui Tienen, Jacques, e i miei due testoni e Amed.

I miei due testoni sono una bellissima coppia di ragazzi di colore che non hanno fatto altro che prendermi in giro per tutto il tempo perché non sapevo l’inglese, hanno una risata contagiosa alla Eddie Murphy, e oggi ne ho sgamato uno in chiesa durante la messa che dormiva, che disgraziato! Tienen è qualcuno che è riuscito ad andare oltre la dolcezza, due orecchie a sventola davvero spropositate un bellissimo e perfetto naso aquilino e 2 occhi blu mare, è davvero incantevole timido e riservato non può proprio passare inosservato. Amed è sulla carrozzina ma a giocare a tennis è un asso, il suo livello cognitivo è davvero molto elevato, lui però non viene spostato dal podere perché ha dei seri problemi di salute a livello di bronchi e polmoni, a vederlo così sembra proprio un marocchino. Jacques è il più bello di tutti c’è qualcosa di misterioso e incantevole in lui. Jacques è cieco e con autismo, passa buona parte della giornata sui materassini, con le gambe incrociate e sdraiato con la pancia sopra di esse, un autentica posizione di chiusura. Esce dal suo mondo con urla e dandosi dei pugni in testa, si sposta usando la sedia a rotelle e mantenendo una posizione rannicchiata e di chiusura anche su questa. L’impressione è che i piedi e le gambe si siano stortati proprio per la posizione di chiusura che tiene sempre, forse la cosa che mi ha più impressionato è il fatto che i suoi occhi sono bianchi, non avevo mai visto una cosa così.

 

L’altro giorno entrando con Ferruccio nella sala dove il nostro gruppo fa le attività, c’era una fotocopia sull’autismo che diceva più o meno così “nessun individuo è uguale ad un altro“ e “nessun individuo è uguale ad un altro individuo con autismo”. E pensare che quando sostenevo io questa tesi in Italia, ero stata accusata di far fare da cavia ai miei ragazzi… lo scrivo giusto per non dimenticarmelo”.

 

Ed io invece che, come dicevo ho sempre avuto un’errata considerazione delle persone affette da grave handicap, mi sono dovuto ricredere quando un mattino Simona, arrivando in un’aula pochi minuti prima di me si sente chiamare da Cornelius, uno dei ragazzi che le chiede: “ dov’è il mio amico con la barba?”

 

Ancora Simona scrive: “A pranzo con noi oggi c’era anche la signora Maria che è stata come sempre molto dolce e gentile. A suo modo ha parlato dell’apartheid, ho osservato la calma e la dolcezza e la serenità con cui ne ha parlato, mi ha fatto bene all’anima. Dal suo punto di vista c’è bisogno di tempo da entrambi le parti per sconfiggere la paura, la differenza e l’odio. Con dolcezza e serenità ha detto che serve tempo a entrambe le parti ed è sicura che tra vent’anni le cose saranno diverse, perché il dialogo c’è, anche se non si vede, mi è piaciuta e mi è piaciuta molto.

 

Questa mattina sono andata dai miei fanciulli, dei miei compagni di viaggio. I miei angeli hanno cominciato a conoscermi e non si sono smentiti si sono rivelati per quello che sono veramente dei piccoli e simpatici diavoletti. Così il mio amico Ob… per me è realmente impronunciabile l’ho soprannominato Oba Oba Martin, prima si è addormentato con la testa sulla mia gamba e quando si è svegliato mi ha ringraziato con una raffica di pugni, davvero poco gentile ma abbastanza perspicace il tipino.

L’altro mio amico che cammina sulle ginocchia si chiama Lorenz ha fatto tutto il tempo a cercare di fregarmi gli occhiali. Alla fine sono stata salvata da due seminaristi del Madagascar e della Namibia, ero decisamente diventata l’oggetto delle attenzioni dei ragazzi.

Poi oggi ho conosciuto Goffria a cui non piace neanche un po’ sdraiarsi sui materassini e che si lamenta e piange molto.. e fa dei buoni mach di sberle pugni e dita negli occhi con il compagno di merende Oba.

Infine ho chiacchierato con Paul che, a parte la scarsa memoria ha un buon livello cognitivo secondo me ed un inglese abbastanza semplice per me, mi è piaciuto molto.

Poi a pranzo ho imboccato Tesis piccolo, mingherlino e introverso, quando gli ho tolto il piatto è esploso nella sua rabbia lanciando via la sedia e cercando di togliersi il bavaglino a morsi, very, very nice. Nel pomeriggio non sono più andata perché mi sono inoltrata in una discussione molto concreta e interessante con Ferruccio che devo ancora metabolizzare.

 

In veranda ho guardato il panorama, i tramonti africani sono davvero belli e suggestivi, mentre lo ammiravo mi sembrava di essere in una di quelle cartoline, diapositive che ti passano davanti nei documentari o servizi fotografici e tu guardi, nella consapevolezza che non sarai mai in quel posto per tutta la vita. E invece ci sono, ci sono per davvero di prepotenza… ormai dentro di me ho la sensazione che sia andata, volata! E ho la paura di lasciarci qualcosa, un sogno da adolescente, una paura di cambiare una non voglia di crescere… l’idea di dover o di poter o voler fare, il pensiero che nessuno di noi può decidere come morire ma dovremmo essere tutti padroni di decidere come vivere e farlo senza paure, pesi, remore ma la vita deve essere sempre un po’ più complicata e alla fine spetta a noi la decisione e quasi mai è una decisione facile o quanto meno noi facciamo di tutto per non renderla facile. Questa sera come quasi sempre ultimamente, ho fatto due chiacchiere con Ferruccio e così tra una parola e l’altra ho ripensato al mio ex ed ai bei tempi passati e mi sono sentita vecchia di novant’anni.

 

 

Questa mattina abbiamo lasciato il podere con Elvira e siamo rientrati a Johannesburg, appoggiati i bagagli al Little Eden siamo partiti per il centro della città. Elvira ci ha portato in quello che sembrava un centro commerciale e al cui interno c’erano una torre della quale si poteva ammirare la città. È difficile dire ammirare perché sia dall’alto che dal passarci in mezzo questa città è parsa da subito molto spoglia, sarà che sono abituata alle città europee, ma nella sua desolazione c’è sicuramente un enorme fascino, la sua grandezza è stata per me impressionante, palazzi e case si estendono a perdita d’occhio.

Dopo siamo andati in un mercato africano dove ci siamo comportati da perfetti turisti e abbiamo comprato di tutto e di più. In questo frangente mi ha colpito molto la zia Assunta, la sua capacità di trattare i prezzi e di socializzare, ma anche l’occhio. Le cose belle le vede all’istante non c’è né per nessuno. Tutto ciò che acquista lo espone nel suo negozio di artigianato missionario di Vilminore ed il ricavato della vendita lo infila in diverse buste con scritto il nome del missionario/suora o del volontario. Poi le affida ad ogni persona che parte per le zone delle missioni, affinché le recapiti. Ogni volta che partono, sia Gianfranco che Ferruccio hanno questo primo compito: distribuire le buste di Assunta. E’ meraviglioso!

 

Abbiamo visitato un museo sull’Apartheid, molto interessante, c’è stato un forte impatto emotivo, le immagini, le foto dell’epoca commentate da chi le ha vissute, c’erano di quelle scene in cui ho capito, ho capito che l’Apartheid è stata come una guerra, c’erano delle immagini della polizia… sembrava di vedere gli eserciti in Afghanistan e poi tante immagini di vera e propria guerriglia urbana.

Si fa in fretta a parlare di perdono, ma come si perdonano anni di soprusi, abusi e ingiustizie? Di sicuro non con un atto costituzionale o con un nuovo documento o con un fucile alla tempia che ci dice che si deve perdonare per andare avanti, no, non funziona così, è come la guerra. La guerra non finisce perché gli stati firmano la pace. Quando c’è l’odio, la lontananza, la differenza e la paura tra i popoli, la guerre finisce solo quando i popoli riescono ad affrontare e a superare e trasformare il loro odio in qualcosa di un poco più nobile.

Personalmente penso che l’odio non vada sconfitto, o più semplicemente eliminato, penso che l’odio è energia allo stato puro, nella sua estrema negazione, ma è energia, ci fa vivere, ci fa sentire vivi. Per questo l’odio va trasformato e l’unico modo per trasformarlo è la non violenza, l’odio che non sfocia nella violenza si può trasformare in un flusso di energia positiva che scorre, fluisce per portare a qualcosa di nuovo.

E così questo popolo di bianchi e neri che vivono lontani, ancora separati e non riescono a fidarsi gli uni degli altri, non riescono a ricominciare… questo popolo dovrà prima rincontrarsi, ci vorrà tempo, forse anni, decenni, ma se riuscirà a non lasciarsi trascinare dall’odio e dalla violenza qualcosa di bello arriverà.

 

Girando nel museo l’impressione è stata che gli stessi sudafricani, indistintamente dal colore della pelle non sappiano bene come si devono sentire, come si devono comportare e cosa devono fare. Con chi di preciso devono essere arrabbiati e perché.

Non penso che ci sia da parte di tutti i bianchi e di tutti i neri una questione di razzismo, penso sinceramente che sia più una questione di differenza, di paura e di incapacità di andare avanti almeno per la maggioranza delle parti.

Infine siamo andati a vedere la costruzione del nuovo stadio da calcio a Soweto con una capienza di 100mila persone per i mondiali di calcio del 2010 che si svolgeranno in Sudafrica, in questo nuovo stadio si svolgerà la prime partita dei mondiali e la finale.

 

Oggi Gianfranco ha spiegato che in Perù si concentrerà sui disabili fisici e sul fare le protesi, perché per una cosa così non ha le competenze e la professionalità, sentirgli dire una cosa così mi ha notevolmente colpito.

Dopo la cena Luigi e Lucy hanno insistito per portarci fuori a un centro commerciale, nella zona nuova di Johan’, che sta lentamente prendendo il posto del vecchio centro della città, che si sta ormai svuotando a causa della delinquenza e viene svenduto. In questo mega centro commerciale c’è la Mandela i.s. squadre, con una statua gigante di Nelson. E’ stato bello parlare ai suoi piedi dell’Apartheid con Lucy e Luigi che spiegavano a Ferruccio che era un uomo giusto, che pensava che le cose dovevano essere uguali per tutti, e che ha fatto molto per il bene del Sudafrica. Che è stato ciò che è successo dopo a complicare le cose e fra queste cose anche il fatto che vi sono due tribù di neri rivali in Sudafrica e loro sono ancora molto legati a ciò. Ferruccio è stato un po’ provocatorio con Luigi sull’Apartheid e la mancanza di confronto tra neri e bianchi, ma Luigi è stato molto chiaro. Dice che ci vorrà molto tempo ed una adeguata istruzione del popolo di colore, prima che le cose si aggiustino e forse nemmeno vent’anni basteranno.

 

Sono stati i tramonti, i paesaggi estesi e infiniti e strade che si estendevano a perdita d’occhio, la terra rossa dell’Africa, le cavallette colorate, il pericolo di incontrare i serpenti …il filo spinato con l’alta tensione di tutta Johannesburg, i cancelli con la sbarra e la guardia armata, questo popolo diviso tra bianco e nero, tra paura e rabbia, esitazione e coraggio…

Non posso farci niente ma in questo paese diviso e indeciso ci lascio il cuore, forse anche solo un pezzo, ma vorrei tanto veramente ritornare a riprendermelo.

 

Alla fattoria ultimo giorno e Gran Galà (si fa per dire) organizzato dall’associazione per una “sorpresa”. La sorpresa consiste nel ringraziamento a noi quattro con tanto di cerimonia nell’aula magna e messa celebrata da tre sacerdoti venuti apposta dalla città. Consegna ad ognuno di noi di una targa ricordo con una lettera di ringraziamento. Tanta commozione che non ricordo di aver mai provato… alle stelle!!! Poi i ragazzi ci hanno chiamato uno alla volta e ci hanno dato un pensiero rappresentato da quadretti dipinti da loro. E’ stato molto commovente… non ho pianto ma ho avuto un tonfo al cuore no, non un tuffo al cuore ma bensì un tonfo perché il mio cuore è caduto in quel salone mentre facevo la foto con Shoah, mentre salutavo Obengank, Oupa, Thisa, Cornelius, Ruth, Ianni, Mattiwer e tutti gli altri, anche quelli che non sono riuscita a vedere. Ho sentito una commozione molto forte un magone, la verità è che non avrei voluto venir via… non sono stata molto con i ragazzi, ma non è stato solo quello… ho pensato tanto anche ai miei in Italia.

Stamattina trasbordo da Pretoria a Johannesburg e visita al centro città, sempre da un posto blindato ad una altro posto blindato e rigorosamente in auto. La Carlton Tower (50 piani) dal quale terrazzo si gode una bella vista su tutta la città.

Dopo aver salutato i ragazzi al podere, andiamo a visitare Pretoria in compagnia di Luigi, che ci ha raccontato la sua storia. Da dirigente della De Beers (quella dei diamanti per sempre), a dirigente della associazione Little Eden. Luigi è estremamente gentile. Visto che ci restano solo quattro ore a disposizione prima del volo di ritorno, ci porta a pranzo in un posto bellissimo, buonissime lumache alle mandorle, degli ottimi calamari ai ferri, eccellente vino e buona birra, l’amarilla. Pretoria pare una città molto diversa da Johannesburg, molto più verde e molto meno caotica, è la capitale del Sudafrica con ricchi musei ed il palazzo del governo. Da un punto di vista architettonico più gradevole rispetto a Johannesburg. Peccato che ci accompagna per tutto il tempo un potente acquazzone. Al ritorno da Pretoria corriamo a prendere i bagagli nelle nostre rispettive stanze.

Ora viene la parte più triste, i saluti. Un susseguirsi di abbracci ed addii abbastanza difficili sinceramente. Le persone incontrate mi hanno fatto pensare che forse un po’ di umanità speciale c’è ancora, c’è qualcosa di più, un ottimismo, uno spirito per il viaggio, l’interculturalità che da noi non c’è. Qui quasi tutti i bianchi sono bilingue, i neri di sicuro anche di più. E poi ho conosciuto una fede veramente fuori dal normale. Forse se ci fosse Ferruccio avrei qualcuno con cui fare due chiacchiere, ma non c’è. In serata arriverà a Città del Capo. Per lui il viaggio prosegue.”

 

Tornando ai giorni nostri voglio ringraziare Simona, alla quale ho chiesto gli appunti di viaggio che quotidianamente aggiornava sulla veranda del nostro bungalow. Avrei dovuto ricavarne solo qualche nome o magari un particolare sfuggito. Leggendoli però ho apprezzato molto anche tutto il resto e così non ho saputo fare a meno di riportarli quasi per intero.

 

In ogni viaggio c’è qualcosa che modifica radicalmente il mio precario stato generale, ma questo in particolare mi ha toccato nel profondo e più di altri ha contribuito a cambiarmi la vita. Mi ha permesso di approfondire la conoscenza di Assunta, di Simona e del grande Gianfranco, persone delle quali conserverò un carissimo ricordo per il resto dei miei giorni. Ciao Assunta, ciao Simona e ciao Gian che ora prenderanno il volo per l’Italia, mentre io salirò sulla scaletta di un altro aereo. Prendiamo due voli diversi e non so cosa mi aspetterà a Cape Town, ma sono felice. Un po’ di groppo alla gola forse… ma sono felice!

 

Peccato però che questa deliziosa cornice contenga la foto di un’istantanea scattata nel 2008. Qualcosa purtroppo è mutato da allora, perché tre dei principali protagonisti ci hanno lasciato. La mitica Domitilla col marito Daniele ed il grande amico Gianfranco nel frattempo sono scomparsi. Il mio pensiero va a loro con infinita riconoscenza ed un caro saluto.

 

Qui di seguito la traduzione dall’inglese, della lettera che mi ha consegnato Lucy durante la commovente cerimonia di ringraziamento:”E’ stata una gran bella cosa che una persona come te sia venuta fino quaggiù a servire le nostre persone di Little Eden, grazie per aver prestato il tuo tempo per la cura e l’interessamento alle necessità di questa gente. Hai fatto la differenza nella vita di tutti i giorni dei nostri bambini. Ci mancherai a noi e a tutti loro. Siamo anche grati per la donazione e il tuo supporto è stato tanto apprezzato. Che il Signore ti benedica”.

 

Ferruccio Brambilla con Simona

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