Luigi Castiglioni — Lombardi nel Mondo

Luigi Castiglioni

Luigi Castiglioni, intellettuale curioso ed esperto di botanica, viaggiò negli Stati Uniti dal 1785 al 1788. Era il nipote di Pietro Verri.

Quando l’aveva vista non sembrava una prima volta. New York era una Milano con il profilo (ancora) basso. Lui si chiamava come un vocabolario di latino, ma parlava già un’altra lingua. Luigi Castiglioni, «patrizio milanese», botanico, viaggiatore. Curioso della vita. Facile esserlo in un mondo che buttava via le parrucche e si faceva venire nuove idee in testa. Il secolo dei Lumi in una Milano che era qualcosa di più di una succursale di Parigi. I Castiglioni arrivavano da Mozzate, nel comasco. Gens aristocratica, Luigi è figlio di Maria Teresa Verri, la sorella di Pietro. In casa ci sono libri da non potersi girare. In salotto arrivano ospiti che finiranno tutti nei volumi di storia. Ma ci sono cose che non puoi trovare neanche nelle pagine più profonde. Per vedere e capire devi chiuderti le porte alle spalle.

A Luigi piace viaggiare. Fuori dalle rotte dei tour operator dell’epoca. Gli Stati Uniti nel ’700 lontani come la luna. Ci erano andati in pochissimi. Nessuno li aveva raccontati. Un Paese senza re e principesse. Un laboratorio politico. Il popolo sovrano, la Costituzione, tutti uguali (beh, tranne gli schiavi e gli indiani), un presidente da votare. La democrazia. Duemila anni dopo Atene. Castiglioni si imbarca nel 1785. È aprile. Il veliero si chiama Nettuno. Sbarca il 24 ottobre. Gli Usa sono una striscia appoggiata sull’Atlantico. Una decina di Stati tenuti insieme dalla lingua e dall’odio per gli inglesi. Divisi su tutto il resto. Neanche la moneta è la stessa.

«Nuova York» è già una mela da addentare. Anche se non è ancora grande: ventiduemila abitanti e strade e negozi come nelle «floride cittadine europee» scrive lo studioso milanese. C’è una via che si chiama Broad-Way e un’altra Wall-Street. Ogni casa ha un numero. E c’è, persino, l’illuminazione. Di democratico, per ora, solo le buone intenzioni. L’ascensore sociale è su quattro piani: in alto i mannors, cioè i signori, poi i negozianti, gli artigiani e al pianoterra il popolo. Il bello è che ci vuole un niente a salire o scendere. È il sogno, o l’incubo, americano, dipende da come ti va. New York non è più Europa ma non è ancora America (neanche adesso, del resto). Per vedere il Paese profondo, Castiglioni sale sulla diligenza, naviga sui fiumi, galoppa nella prateria.

Descrive usi e costumi dei nativi americani. Li chiama «selvaggi», senza curarsi del politicamente corretto. Assiste all’incontro tra un governatore e un capo tribù. Riporta il dialogo, pieno di espressioni che sembrano uscite da un fumetto di Tex: «Lingua biforcuta, manitù, augh». Gli indiani gli appaiono strani ma mai inferiori all’uomo bianco. C’è anche spazio, nel libro che scriverà una volta tornato a Milano, per un mini vocabolario della lingua dei nativi.

Castiglioni resta inorridito anche da come vengono trattati gli schiavi neri. Nelle Americhe non era ancora arrivata l’eco ugualitaria di Cesare Beccaria. Le razze esistevano, eccome. E la cultura non faceva da antidoto. Tutti gli uomini erano uguali ma qualcuno lo era più degli altri. Persino gentlemen colti e raffinati come Thomas Jefferson la pensavano così. Senza sensi di colpa. Il futuro presidente americano si incrocerà proprio con l’aristocratico milanese. Un viaggio con destinazione Milano. Colpito dalla laboriosità lombarda. Una terra all’avanguardia nelle coltivazioni agricole. Vede gli allevamenti, cammina per i campi. Parla con i proprietari terrieri. Visita Rozzano e raccoglie le impressioni nel suo taccuino di viaggio. Idee che prenderanno corpo nella sua tenuta di Monticello, in Virginia. Già, un altro nome italiano. Di più lombardo. Destini che si guardano.

Castiglioni, intanto, dopo New York, attraversa Georgia, Virginia, le Caroline e il Maryland. Il paesaggio cambia e così il panorama umano. Ci sono le ville aristocratiche e un Sud già così diverso dal Nord da far presagire un conflitto, prima o poi. I signorotti di campagna sono la classe dirigente del giovane Paese. Imbevuti di illuminismo e pragmatismo. Diritti umani e schiavitù, in un mix pericoloso ed esplosivo. Federalismo e devolution due secoli prima che diventino parole comuni nel lessico politico di qua dell’Atlantico. Una Costituzione che resta un modello. Politici con lo sguardo lungo dei visionari. George Washington che dice no a chi vuole farlo re. Benjamin Franklin che alterna invenzioni a comizi. E ancora le tracce del marchese di Lafayette, un nobile capace di mettere la spada al servizio della libertà senza chiedere niente, o poco, in cambio. Castiglioni racconta anche della natura, lui che è botanico. E degli animali che l’Europa non conosce.

Il viaggio dura tre anni. Con il vantaggio di essere uno dei primi europei. Di guardare senza paraocchi. Vedere senza giudicare. Quando torna visiterà anche l’Inghilterra, il suo faro politico-istituzionale. Tocqueville ripercorrerà lo stesso tragitto mezzo secolo più tardi. E scriverà un libro indimenticabile, «La democrazia in America». Con un passo diverso da quello di Castiglioni. Ma con lo stesso stupore e onestà intellettuale. Un testo ancora attuale. Necessario per capire un Paese che stava nascendo. Ma che, forse senza neanche saperlo, aveva radici milanesi.

 

http://milano.corriere.it/milano/notizie/arte_e_cultura/10_agosto_30/Baroni-il-nipotino-di-verri-che-sognava-l-america-1703663152983.shtml  Carlo Baroni

 

Ernesto R Milani

Ernesto.milani@gmail.com

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