I canti della filanda, dedicati alla produzione serica comasca — Lombardi nel Mondo

I canti della filanda, dedicati alla produzione serica comasca

Pubblichiamo la quarta puntata delle narrazioni di vicende, tra ‘700 e ‘800, legate alla produzione serica comasca tratte dai documenti d’archivio e canti tradizionali di svago e di protesta del mondo della filanda
DOVE LA COMPASSIONE PUO’ GIOCARE UN BRUTTO SCHERZO!

di Magda Noseda

Como, 1853 dal fondo Coduri e Como, 1836 e 1838, dal Fondo Prefettura b. 4567).

Se la storia è in assoluto una lunga sfida alla CONOSCENZA e se lo storico lavora innanzi tutto con le fonti, nel passato sono state privilegiate quelle politiche o militari, ora invece quelle che rivendicano il ruolo della mentalità degli individui, dei gruppi sociali, fino alla microstoria.

Tuttavia i fatti politici e militari, soprattutto se dirompenti, non si possono trascurare e vedremo dalla storia che segue come influenzarono, da vicino, la vita sociale ed economica degli individui.

1) Tutto incomincia a metà Ottocento ed è diretta conseguenza dei fatti politici del ’48 e degli anni seguenti!

E’ noto- ci dice il memoriale di un filandiere comasco – come il 6 febbraio 1853 avvenisse a Milano la sommossa organizzata per sorprendere il militare e, come poco tempo dopo, venisse decretato il blocco al Cantone Ticino collo sfratto dei Ticinesi dal territorio Lombardo.

A Como si dovettero licenziare dagli stabilimenti serici molte persone e fra queste la DITTA FRATELLI CODURI fu CARLO licenziò il 19 febbraio quattro ragazze di Stabio fra li 10 e 12 anni, che lavoravano ad incannare la seta nel filatoio in Borgo S. Bartolomeo.

Accade dunque che il giorno 24 giugno (circa 4 mesi più tardi!) uno dei proprietari, l’ingegner Coduri, già ingegnere all’Ufficio Pubbliche Costruzioni del Genio Civile, a sua volta licenziato dalla carica per volere del maresciallo Radetzky per avere partecipato ai fatti del ’48, dovette recarsi a Pavia e che l’altro fratello, Gerolamo andò a Milano proprio per trattare affari legati alla seta, per cui nella casa del Borgo dell’Ospedale, nella notte dal 24 al 25 giugno rimase la sola fantesca.

Verso la sera del 24 si presentarono alla casa Coduri le suddette ragazze di Stabio licenziate, domandando dei padroni per avere lavoro, e la fantesca, dopo avere risposto che i padroni erano assenti da Como, si commosse alle loro lacrime e preghiere di avere ricetto, almeno per quella notte (come fare a rimandare delle bambinette a ripercorrere, di notte, a piedi, la strada dal Borgo dell’Ospedale fino a Stabio! Ci si rendeva conto dei pericoli di cattivi incontri e dell’oscurità! Della lunghezza del cammino! Il rischio di accettarle in casa era sì grande, ma la coscienza di una donna in età non poteva non essere scossa a tante lacrime!).

E fu così che la fantesca lasciò che rimanessero in casa a dormire colle altre ragazze dello stabilimento, già loro amiche e conoscenti.

Arrivati i fratelli Coduri a Como verso la sera del giorno dopo, il 25 giugno, seppero che la Polizia di Como aveva nella giornata arrestate le 4 ragazzine e le aveva ricondotte al Confine Svizzero, da dove erano evase il 24 inosservate ai soldati del Cordone e di ciò avevano fatto rapporto alla Autorità Militare (ma chi aveva fatto la spia? Chi era andato immediatamente a denunciare alla Polizia l’arrivo delle ragazze? Forse quelle colleghe, non tanto amiche, che vedevano di nuovo vacillare il posto di lavoro?).

Quello che è certo è che immediatamente la Polizia, il giorno 26, chiamò i due fratelli Coduri ad esame nell’Ufficio del Capitano Auditore che abitava in piazza del Duca (= ora Piazza Mazzini) ed il 28 essi furono convocati di nuovo per sentire la sentenza in forza della quale venivano condannati i due fratelli, ciascuno a 15 giorni di carcere e ciascuno ad una multa di Lire 100.

Sgomentati da tale sentenza, non tanto per la doppia multa di lire 100 – così riferisce uno dei fratelli – ma per il carcere di 15 giorni, in un tempo loro indispensabile per avere libertà d’azione onde ricevere i bozzoli, comperati per la filanda, che proprio in quei giorni era cominciata, si affrettarono a ricorrere al Regio Comando di Piazza di Como, facendo osservare che, trovandosi la sera del 24 assenti da Como, non avevano potuto evitare il ricovero delle ragazze e imploravano la mitigazione della pena.

Per intercessione di numerosi altri filandieri che inviarono istanze alla Polizia, i fratelli Coduri evitarono il carcere, ma fu a loro raddoppiata la pena pecuniaria a 200 Lire austriache ciacuno!

2) Non era un fatto strano assoldare mano d’opera, soprattutto femminile, dal Cantone Ticino, anzi era una tradizione del Comasco già da alcuni decenni.

Il filandiere Filippo Brambilla, ad esempio, notifica alla Camera di Commercio, il 5 aprile del 1836 (12 anni prima dei moti del ’48) di avere assunte per la prossima filatura di seta Filatrici, Cernitrici di Galette, Giratrici:

Tra le Filatrici

vi sono elencate: TERESA GINELLI, MARIANNA LUVISONI figlia di Felice, MARIA MANGHERA, MARIA PERUCCA, FRANCESCA BRIANZA figlia di Isabelle di Stabio, GIUSEPPA BERNASCONI, MARIA ROVELLI, CANTILIA SESTI moglie di Davide, di Rancate, MARIANNA CAVADINI, GIUSEPPA BERNASCONI, ROSA BERNASCONI di Chiasso, TERESA BIANCHI di Mendrisio, MARIA ALFIERI di Balerna.

Tra le Cernitrici di Gallette: MADDALENA RUSCONI vedova di Domenico, MARIANNA SOCCHI, di Stabio.

Tra le Giratrici: ROSA SOCCHI figlia di Marianna, ROSA CORTI figlia di Giuseppe, MARIA LUVISONI figlia di Francesco, GIUSEPPA MANGHERA figlia di Domenico, Giuditta COCQIO figlia di Giuseppe, LUIGIA ROBBIATI figlia di Cesare, MARGARITTA BERNASCONI figlia di Giuseppe di Stabio, TERESA ALFIERI, MARIA SASSI figlia di Giovanni di Balerna.,CATTERINA BELLONI di Genestrerio.

Su un organico di 86 donne, 26 vengono dal Cantone Ticino.

E l’anno successivo, 1837, ne conferma molte di esse, tanto che su 95 donne e 5 uomini, 19 provengono dalla Svizzera.

Così il Filandiere Francesco Tacchi che nel 1838 notifica alla Camera di Commercio le filere o tradore che intende assumere nella sua filanda in Borgo S. Vitale per la “prossima ventura estate” :

Se le 5 tradore a 4 capi provengono tutte dallo stesso Borgo di S. Vitale

sono elencate anche: TERESA FONTANA di Novazzano, DOMENICA BOFFI, ANGIOLINA BELLONI, MARIA BIANCHI, CATERINA BELLONI di Genestrè (=Genestrerio), LUIGIA BERNASCONI, ROSA BERNASCONI, MARIA CAVADINI, MARIANNA SALA di Chiasso

A queste egli vuole aggiungere: NATALINA QUATTROPANI, MARIA QUATTROPANI, MARTINA ROBONI di Genestrè e FRANCESCA SALA di Chiasso

Su un organico di 34 donne, 13 provengono dalla vicina Svizzera.

Pure nella famosa filanda Rezzonico e Perlasca vi sono, nel 1837, 24 donne tra Filatrici e Menatrici provenienti da Mendrisio, Ligornetto, Stabio.

Il lavoro femminile era largamente impiegato per il minor costo. In quegli stessi anni le statistiche sulla trattura della seta ci informano che su 1.346 persone impiegate in tutto il Circondario, 70 erano uomini, 676 donne, 600 ragazze. Il salario toccava le 2 lire austriache per l’uomo, 1,40 lire per la donna, 0,50 per le giovani.

Nelle Filande di seta vengono impiegate fanciulle in tenera età, perfino di 6 o 7 anni, a girare il naspo. Questo lavoro dura tutta la giornata (e nel frattempo le ragazze non possono seguire neppure le scuole elementari), meno di due ore di riposo vengono concesse e sono divise in due riprese.

Paradossalmente è la Cancelleria Aulica di Vienna a registrare il fenomeno e a prendere provvedimenti contro la “soverchia fatica dei fanciulli adoperati nelle fabbriche… a pregiudizio del loro sviluppo fisico e morale (come quello delle giratrici di naspo citate che sono costrette per lunghe ore ad un rapido movimento e contorcimento della persona, tanto da impedire un regolare sviluppo delle membra). Ma la durata del lavoro è eccessiva anche per una persona adulta dovendo rimanere sì lungo tempo in un’atmosfera di per sé umida e pregna di vapore, sempre esposte alle vampe del fuoco e del vapore.

Secondo le disposizioni del Viceré del 10 dicembre 1843 i fanciulli o fanciulle non possono avere meno di 9 anni e prima di essere impiegati devono avere seguito almeno due anni di insegnamento elementare. Per i fanciulli destinati alle Fabbriche non è consentita un’età inferiore ai 14 anni.

L’orario di lavoro sarà di 10 ore per i fanciulli al di sotto dei 10 anni e di 12 ore per quelli tra i 12 e i 14. E’ proibito il lavoro notturno. Sono vietate le punizioni corporali.

Ebbene forse non sufficientemente attenti ai dettati della legge sono ancora i nostri due Fratelli Coduri, che, nel luglio del 1953, malgrado il recente schock (è del mese di giugno!) della sventata prigione per il ricovero delle ragazze Ticinesi, notificano tutte le donne che alloggiano nella loro casa (e che sono adibite alla Filanda): su 101 nominativi, vi sono due bambine di 7 anni: Luigia Monti e Antonia Roncoroni di Fino. Le fanciulle di 9 anni sono 3: Teresa Monti di Fino, Angela Fossati di Acquanera, Emilia Corengia di Cadorago.

Più numerose (7) le ragazze di 10 anni: Giuditta Ballarini di Monticello, Francesca Piatti e Carolina Cappelletti di Caccivio, Rosa Riva di Portichetto, Adelaide Monti ed Elena Roncoroni di Fino, Angiola Clerici di Cadorago.

Lo stesso numero per le bambine di 11 anni, 9 quelle di 12 anni, 9 ancora quelle di 13 anni, 10 le ragazzine di 14 anni. Tra i 15 e 17 anni, 27 giovani. Tutte le altre dai 18 ai 26. Una donna di 29 anni, Caterina Noseda di San Tommaso, una di 32 Caterina Mazzucchelli di Cassano Magnago e due di 35 anni Maria Casartelli di Breccia e Giuseppa Vitali di Lazzago.

Quote rosa del mondo del lavoro? Superiore abilità della donna in quel mestiere? Maggiore affidabilità, diligenza e senso del dovere rispetto all’uomo? Tutto vero! Ma ciò che ha fatto sbaragliare la mano d’opera maschile è il fatto che la fatica delle donne costa … di meno!

 

ADDIO BEJ OEUCC

Sott i castan amar,

sentaa a l’ombria già fresca de bass’ora,

su ‘n murellett

in faccia a la filanda, la cobbia d’i laghett,

come duu oeucc da donna,

la ma rimanda

ol bleu’ bell s’cett

dal nostrar ciel da maggio

color madonna.

Da bott, a la vedrada

da la filanda, comparess ‘na bionda …

E in d’on oggiada,

che lor hénn bonn da dagh,

ona lusnada,

gh’è tutt ol bleù

d’on ‘onda,

ol bleù d’ì nostar lagh:

gh’è tutta la pitanza

d’i biond de la Brianza.

Se slonga, intant, sa smorza, l’ombria d’i piant:

sa lassan via in dal scur

i doss i lagh i mur …

Ciffòla ol caminon

da la filanda in la vallada:

e dal porton

ven foeu ‘na diavolada,

on’ usellanda,

da donn e da canzon …

Hènn scià, hénn scià: ma sàran

contra ‘l murell …

Hénn sett tosann bej mor …

ma fissan cont i oeucc

pien d’ona polvar d’or,

compagn da sgrazz da stell

in l’acqua fonda,

in d’on velù morell:

“Parchè domà la bionda?”

“e nun che semm, o lu?”

Ohi mora, ohi bella mora …

l’anema peccadora

la ved, da dree i colonn

d’i moretton,

cant oeucc in fira, cant ca ma toeu da mira.

Oeucc da biss, color verd, rar a trovaj;

ma quand ta cotta via,

oeucc da falchett, da stria,

parriaa dopo a mollaj.

Oeucc da foeuj secch, castan,

ca ta deslengua ol coeur,

e lor al sann,

ca ta indolzess na làgrema

par tutt l’amar de l’anema.

Oeucc ross che, sbarlusent,

par on moment

foeugan in mezz I zilli,

come quej d’i conilli.

Oeucc da comand,

oeucc gris, d’azzaa,

color d’i nivol quand

gh’è temporaa:

pront a dà ol paradis

o a da l’inferna

ca na squinterna …

Addio, bej oeucc ch’ho cognossuu in la vitta,

c’ho saraa su e verduun,

restaa in d’i bosch o in mezz i biad,

oeucc da s’giaff, da basétt, da tradiment;

addio, bej sogn, ormai lontan, perduu

compagn d’i milla oggiad,

compagn d’i giurament

pientaa scià e là in Brianza …

E adess? E adess? ‘Sa vanza?

 

FACH SÜ LA CROCE

Fach sü la croce

sü quel portone

che in filandone

vöi pü andagh

fach sü la croce

sü quel fornello

che l’ann novello

vöi pü andagh

fach sü la croce

‘na croce granda

che mì in filanda

vöi pü andagh.

 

MAMMA MIA MI SON STUFA

Mamma mia mi son stufa

o de fa la filerina

ol cal e ol poch a la mattina

ol provin do volt al dì

Mamma mia, mi son stufa

tutt ol dì a fa ‘ndà l’aspa

voglio andare in Bergamasca

in Bergamasca a lavorar

Ol mestè de la filanda

l’è ol mestè degli assassini

poverette quelle figlie

che son dentro a lavorar

siam trattate come cani

come cani alla catena

non è questa la maniera

o di farci lavorar

tucc me disen che son nera

e l’è ‘l fumm de la caldera

el mio amor me lo diceva

di non far sto brutt mestèe

Tucc me disen che son gialda

l’è ol filor de la filanda

quando poi sarò in campagna

i miei color ritornerai

quando poi sarò in campagna

i miei color ritorneran.

POVERE FILANDERE

Povere filandere

Ga n’avrì mai ben,

mai ben, mai ben,

Dormerì in la paia

Creperì ‘n dal fen

‘n dal fen, ‘n dal fen;

Povere filandere

Ga n’avrì mai ben,

mai ben, mai ben,

Dormerì in la paia

Creperì ‘n dal fen,

‘n dal fen, ‘n dal fen.

Suna la campanella

Gh’è né cia né scur

Povere filandere

I picca ‘l cò ‘n del mur

Suna la campanella

Gh’è né ciar né scur

 

Povere filandere

I pica ‘l cò ‘n del mur

Povere filandere

Ga n’avrì mai ben

Mai ben, mai ben,

dormerì in la paia

creperì ‘n dal fen,

‘n dal fen, ‘n dal fen

Povere filandere

Ga n’avrì mai ben…

Dormerì in la paia,

creperì in dal fen…

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