Una famiglia emiliana a Malindi in Kenya — Lombardi nel Mondo
Una famiglia emiliana a Malindi in Kenya
E’ stato il loro bimbo, di quasi tre anni, a spingerli un anno fa nella magica terra di Malindi. Non odiavano l’Italia. E non sono partiti, perché sognavano un Paese migliore con gente migliore. Né sono scappati, come succede a tanti che proprio in Kenya cercano un rifugio.
“Vogliamo veder crescere Filippo in modo sereno – affermano Luca Ottoni (43 anni) e Jessica Teggi (31 anni)- Desideriamo parlarci anche alle 10 del mattino, e dare al nostro piccolo un futuro diverso, fargli vivere esperienze alternative a contatto con popoli tanto lontani. Non sappiamo se la nostra decisione sarà apprezzata quando crescerà. Per la legge che lega un genitore al figlio per il 90% sarà no. Ma crediamo in modo determinato che far crescere un bambino in un ambiente dove, costantemente, sei a contatto con una realtà tanto differente, possa arricchire corpo e spirito”.
Così, la famigliola emiliana, tanto legata alla famiglia, agli amici, alle tradizioni italiane, ma un po’ stanca di pseudo sicurezze professionali, oltreché di trascorrere le serate sul divano, appiccicata alla tv con Sky, si ritrova a fare una nuova esperienza. Partendo da zero. I due in Italia avevano un buon lavoro. Luca per tanti anni impiegato nella stessa azienda, Jessica geometra. Contratto a tempo indeterminato, pagato molto bene, nonostante il periodo di crisi. Una casa di proprietà, ed il bimbo nel miglior nido della zona. Abbastanza soldi in banca per farsi almeno due viaggi l’anno, o per uscire a cena. Ma le abitudini, fanno intendere, annoiano.
E allora? “Innamorati del mare e del caldo- raccontano- al ritorno da una vacanza in Jamaica, ci siamo detti: ‘O adesso o mai più. Abbiamo utilizzato Internet. E’ buffo ammettere che, con una lista di ‘cose importanti’, abbiamo iniziato a cercare la nostra futura meta. Pensando subito a: sanità, scuola, e criminalità. Questi aspetti erano in testa alla classifica. Dopo una serie di letture, raccolta d’informazioni, nottate passate a discuterne insieme, abbiamo avuto due nomi. Kenya e Repubblica Dominicana. Abbiamo organizzato una vacanza in fretta. Destinazione Malindi. Subito questa terra ci ha stregati, nonostante volessimo ad ogni costo rimanere con i piedi per terra”.
Ma perché, cos’ha di speciale? “Malindi – rispondono- é un’ antica cittadina assonnata, ma chiassosa sull’Oceano. E’ sporca, ma anche pulita. Mille contraddizioni. E’ bellissima. Amiamo tutto di questo posto. Il mercato, i profumi, il traffico, la pace, la gente, le lingue diverse, le religioni diverse, le chiese, le moschee, la fame dei suoi abitanti, la ricchezza, la povertà, gli occhi dei bambini, delle donne, degli uomini. E ancora, l’ebano della pelle e il bianco dei sorrisi. Malindi é la fatica e la calma. E’ sole, mare, spiagge pulite, e anche sporche, persone che lavorano o dormono all’ombra. Malindi è la fila di donne che ridono a piedi nudi con un secchio in testa, spazzatura che brucia, fuoco per mangiare. Ah, e che tenerezza le capre, le mucche, i campi da calcio, gli artigiani, i banditi, i tuk tuk, i jambo! Malindi poi, é anche razzismo. E poi, i palazzi, nati quando ha avuto origine l’universo, le ville lussuose, le piccole e graziose capanne all’ombra di imponenti palme”.
Ma a sentire Luca e Jessica quello che rende fantastica Malindi é la capacità dei suoi abitanti di aspettare. Di vivere senza fretta. “Ogni mattina- spiega Jessica- quando percorri la città senti una serenità che ti sale dal cuore. Una sensazione di benessere nell’anima, di felicità che solo una mente appagata può regalarti. Malindi, comunque, respira. E’ un pulsare continuo sotto i tuoi piedi. E’ un’emozione senza tregua. Ogni giorno”.
Adattarsi, certo, comporta qualche sacrificio. “Vivere qui- aggiunge Luca- significa teletrasportarsi a cinquanta anni fa. Tornare indietro, avere tempo di avere tempo per fare, guardare, vedere e discutere. Puoi scoprirti a contemplare cose che ti erano sfuggite, pur avendole guardate mille volte”. Chiunque a Malindi, pare, sia in grado di vendere e contrattare qualunque cosa. Dicono: “E’ possibile rivolgersi da un elettricista per comprare una macchina o da un marinaio per acquistare casa. Per vendere un divano si può iniziare a diffondere la voce con l’ agente della stradale, che ci ha pure fermato per un controllo”.
Ma come trascorrete le giornate?
“Ci si alza al mattino e si parte – commenta Jessica – armati di pazienza, perché per vivere qui è necessario avere tanta buona volontà. Ci si lascia trasportare da un ritmo frenetico di persone che vivono piano piano. Poi ci si addentra nel mondo attivo di una città di porto. Malindi è una cittadina diversa dal resto del Kenya. E’ a contatto costante con turisti europei. “Molti di questi- fa eco Luca- hanno deciso di stabilirsi qui, e sono soprattutto italiani. Per questo parlare dei malindini non equivale a parlare dei kenyoti. Le richieste di aiuto e sostegno sono continue e si deve essere capaci, disposti a distribuire tanti no. Molto spesso non c’è poesia in tutto questo. In ogni caso, se a Malindi c’è di tutto, il Kenya è fatto di persone riservate, pulite, povere, ma felici. E poi, di bambini che non piangono, donne dal carattere forte. Per sintetizzare, Malindi è uguale a spazi infiniti, natura rigogliosa, Il verde smeraldo della natura che si incrocia con il rosso della terra, il cielo stellato, la luna rovesciata, il buio della notte, animali liberi, uomini liberi”.
Di cosa vi occupate?
“Della gestione di un piccolo villaggio turistico – dichiarano- e le nostre giornate possono essere scandite dall’ ozio più totale, oppure dalle incombenze più burocratiche. Ma ciò che più cercavamo e che abbiamo trovato è il confronto quotidiano con altre persone. La discussione costante con gli indigeni sul perché non possa esistere amicizia vera tra bianchi e neri, i consigli ad un europeo sui luoghi da visitare, le domande rivolte ad un italiano sul Belpaese, sono il sale delle nostre giornate. Certo, c’è anche altro. Tipo: fare la spesa e riparare l’auto spesso”. All’inizio per i tre non è stato semplice. Per questo dicono spesso che occorre tanta incoscienza per cambiare vita. “Sei catapultato in un altro mondo- chiariscono- qui cade ogni certezza, non hai nessuno, noi e un ambiente che di tuo non ha proprio niente, nessuna somiglianza. Fondamentale avere qualcuno dalla tua parte che ti racconti, ti metta in guardia e faccia scuola di vita. Non siamo una coppia mista noi. Uno dei due non è un locale, siamo una comune famiglia italiana, come tante altre in Italia. Abbiamo imparato a decidere con l’istinto, ad ascoltare il cuore. Questa è una jungla. Fidarsi di qualcuno non è facile. Anzi, a volte diventa rischioso. Ma lo devi fare. Ci siamo affidati, per fortuna, alla persona giusta. Che è diventata nostra amica. E poi, è difficile stare senza la famiglia, senza mamma e papà, che a loro volta sono anche nonni. La lontananza è malinconia a volte. E allora, ci si chiama, ci si vede con skype, o quando si può, si prende un charter. Sono otto ore di viaggio, non è una tragedia. Non è tutto. Ci mancano: il prosciutto, la mortadella e la mozzarella. Freschi, però, non come quelli che arrivano qui dopo venti giorni di nave. E da buoni modenesi, ci mancano anche un piattino di tortellini in brodo con un buon bicchiere di lambrusco”. Ma Jessica e Luca sono orgogliosi di quello che stanno costruendo. “Qui- sottolinea Jessica- al Marine Holiday House accogliamo turisti da tutto il mondo, viaggiatori che hanno voglia di fare una vacanza alternativa, persone che desiderano scoprire davvero il luogo. Sono tutti amici, con molti di loro si instaura un rapporto confidenziale. Giriamo tanto, raccontiamo, consigliamo. Qui ognuno deve sentirsi libero di fare ciò che vuole. Deve sentirsi a casa. Solo così puoi fare amare ad un numero elevato di persone questa terra magica. Parliamo con sincerità, senza fare inutile terrorismo: questo posto ha bisogno di comprensione non di inutili e cattive bugie”.
“Per parlare a Malindi- dice Luca, si può utilizzare l’italiano. In molti lo capiscono. L’inglese e lo swahili vengono studiati a scuola e la lingua della tribù di appartenenza viene imparata a casa. L’inglese viene utilizzato per tutto ciò che è ufficiale”. Sì, ma Filippo? “Non abbiamo ancora avuto l’ esigenza di confrontarci con la scuola- replicano- lo faremo presto. Ma dalle informazioni che abbiamo raccolto, serve una buona scuola privata, almeno fino ai 12-13 anni. Dopo, ci si sposta a Mombasa, dove i college sono di ottimo standard”.
Quanto alla sanità, a Malindi è preferibile curare solo le urgenze, più che le lunghe degenze. “Abbiamo però conosciuto persone- dicono- che hanno scelto di curarsi qui e sono rimaste soddisfatte. Donne italiane hanno preferito partorire a Malindi senza incontrare ostacoli”.
I collegamenti con le città più importanti e le principali località turistiche sono su strade asfaltate, spesso dissestate e piene di buche. Terreno, sabbia e ciottoli di corallo spesso creano problemi ai pneumatici. I mezzi di trasporto pubblici più usati per brevi spostamenti sono tre e si differenziano per il prezzo del passaggio. “Tuk Tuk- spiega Luca- il più caro, circa 1 euro a tratta. Piki Piki, la moto, 50 centesimi, e infine il boda boda, la bici, 20 centesimi. Per gli spostamenti più lunghi, ma sempre economici, ideale è il matato. Dicono che anche quest’ultimo sia un’ esperienza da fare, noi sinceramente preferiamo la macchina”.
Ma a Malindi possono vivere tutti?
Per i coniugi Ottoni “questo posto è per tanti, ma non per tutti. Da buoni italiani come siamo, con l’immaginazione di cui siamo dotati, inventarsi un lavoro non è difficile. Con qualche soldo da parte e tanta voglia di mettersi in gioco si possono ottenere buoni risultati. Però, non partite con l’idea di venire qui e arricchirvi, non è possibile. Qui si arricchisce l’anima, migliora la qualità della vita e si invecchia molto lentamente. Saranno l’acqua, il mare, l’aria, ma qui quasi tutti gli anziani non dimostrano mai la loro età. Noi abbiamo intrapreso questo viaggio, una lunga esperienza di vita. Siamo una coppia, siamo papà e mamma. Ora ne abbiamo il tempo. Speriamo di avere ragione di questo tempo. Qui la speranza si usa ancora tanto quanto i soldi, quindi speriamo anche e soprattutto che Filippo riesca ad amare questo luogo come facciamo noi. Comunque sia, lo avremo dotato di tante frecce che saprà senz’altro quale estrarre dal suo fodero quando servirà”.
A cura di Cinzia Ficco
Per scrivere a Luca e Jessica:
info@marineholidayhouse.com
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