La Mantua cubana — Lombardi nel Mondo
La Mantua cubana
PINAR DEL RIO. Prima di lasciare l’Avana per dirigerci verso Mantua visitiamo la escuela especial Sierra Maestra 1 situata nel quartiere del Vedado.
L’accoglienza è affettuosa e calorosa. Ci riceve Pilar, la direttrice, una bella donna di colore, insieme a Irtis Guasch, una pedagogista che nella primavera avevamo avuto come ospite a Mantova insieme al collega José Perez. In quella occasione i cubani erano stati ospiti della nostra associazione e avevano avuto modo di visitare la Casa del Sole, la Cooperativa Frassati di Canneto e il consorzio Il Solco. Ci dà il benvenuto un nutrito gruppo di bambine e bambini, vestiti con la divisa classica della scuola, sottane e pantaloncini rossi, camicia bianca e fazzoletto rosso al collo, che intonano in nostro onore tre canzoni che parlano dell’infanzia e della solidarietà. Non manca, nel finale dell’ultima canzone, un riferimento al Comandante: Fidel.
Visitiamo la scuola. Entriamo nelle classi mentre sono in corso le lezioni. Pilar ci dice che nella scuola alle ore di studio si accompagnano le ore di lavoro.
Si insegna anche un mestiere e si indirizzano i corsi sulla base delle esigenze del quartiere dove abitano i bambini e i ragazzi al fine di dare loro un futuro di integrazione lavorativa.
Entrati nella classe dove si formano barbieri, parrucchiere e manicure Daniela, Chiara e Alessia ne approfittano per farsi dare lo smalto sulle unghie delle mani. Poi un incontro con gli operatori e le prime domande su come funziona la scuola e sui costi che devono sostenere le famiglie.
LA SCUOLA. A Cuba la scuola, di ogni ordine e grado, è obbligatoria e completamente gratuita (come la assistenza sanitaria).
Ci dicono che la scuola cubana si basa sulla teoria pedagogica di José Martí, poeta e eroe della lotta per l’indipendenza dalla Spagna, cioè estudio y trabajo: studio e lavoro.Finita la visita alla scuola ci dirigiamo verso il rental dove prenoteremo il mezzo di trasporto che ci porterà a Mantua. Ne adocchiamo uno, targato Cuba T13872, un po’ vecchiotto. Il prezzo è abbordabile.
Il giorno successivo, mercoledì 22, partiamo. Usciamo dalla città con qualche problema e ci immettiamo sulla autopista, l’autostrada cubana. Non è poi così malandata, tranne qualche tratto, e il traffico non è caotico.
Lungo la strada la gente si arrabatta per chiedere un passaggio ad ogni mezzo: ai bus dei turisti, ai camion, alle auto, ai side car…perfino ai carretti trainati dai cavalli. Il problema dei trasporti a Cuba è molto serio, tranne che per gli studenti per i quali vengono utilizzati pullman nuovi. Prima di arrivare a Mantua faremo tappa a Soroa, a Viñales e, per un bel bagno, a Maria la Gorda, una spiaggia splendida.
La valle di Viñales si presenta ai nostri occhi in tutta la sua straordinaria bellezza: un paradiso al riparo da sguardi e rumori, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Si alternano campi coltivati a zone boscose con una vegetazione fittissima composta da palme, pini, piante di banano, caffè e tabacco. Proseguendo lungo la Sierra de los Organos spuntano qua e là i tetti dei bohios, le case tipiche dei contadini che avremo modo di sperimentare a Mantua e poi i mogotes, alture in pietra calcarea a forma di panettone.
A Soroa ci concediamo alcune ore di trekking, mentre a Viñales, per la prima volta nella mia vita, salgo su di un cavallo e ci addentriamo nella Sierra.
I LAVORI NEI CAMPI. Ci colpisce il contrasto tra l’aratro trainato dai buoi e le case dei contadini fornite tutte di moderni pannelli solari. Per la verità, ci dicono anche che nelle zone di campagna e di montagna scuole e strutture sanitarie sono anch’esse fornite di pannelli solari. Una conferma: Cuba è l’isola delle contraddizioni dove coesistono gli aratri trainati dai buoi e i pannelli solari.
A Viñales la nostra fantasia supera quella proverbiale dei cubani. Rientriamo verso le nove di sera e dobbiamo fare benzina. Siamo a corto di soldi ma ci fermiamo ugualmente al distributore. Mentre il benzinaio ci fornisce di gasolina la mia attenzione viene attratta da una ventina di persone che discutono animatamente. Chiedo al benzinaio il motivo della discussione e mi dice che sono turisti slovacchi venuti in escursione a Viñales che non sanno più come tornare al loro albergo che si trova a circa sette chilometri. Mirco e Simone hanno una illuminazione: abbiamo trovato il modo di fare il pieno di benzina. Io, Alessia, Daniela e Chiara ci dirigiamo ai nostri alloggi a piedi, nel buio totale, mentre Mirco e Simone si propongono come taxisti. Il gioco è fatto:i turisti slovacchi per 40 cuc (pesos convertibile) vengono trasportati a destinazione. Il benzinaio, a quel punto, ridendo ci chiede la percentuale sull’incasso.
Mantua, oggi
ALLA META. Arriviamo a Mantua dopo un viaggio faticoso. Ci accoglie un gigantesco cartellone stradale con il nome della cittadina e l’immagine di Maceo, un altro eroe della lotta per l’indipendenza, a cavallo con la sciabola sguainata. È una cittadina ordinata, dove si alternano case in muratura a case in legno. Non mancano, retaggio della presenza sovietica, alcuni casermoni che sono un pugno nell’occhio rispetto al profilo della cittadina. Il caos e i rumori de l’Avana sono lontanissimi. Non c’è traffico, tranne quello provocato dai carretti trainati dai cavalli, dagli autocarri e da qualche rara automobile. La città conta circa 26.000 abitanti, è situata nella provincia di Pinar del Rio ed è capoluogo del municipio omonimo. Poco distante dal centro abitato scorre un fiume che porta il suo stesso nome. Come per la Mantova italiana, l’acqua è un elemento peculiare del paesaggio: stretta tra le acque dell’arcipelago de Los Colorados e del Golfo del Messico dispone sul suo territorio di una patrimonio idrografico costituito da 73 ruscelli, 3 micro laghi artificiali, 256 stagni e 54 lagune. Quando questi dati ci vengono resi noti non possiamo non pensare alle zanzare. Ci assicurano che nei mesi scorsi è stata condotta una batalla all’ultimo sangue per sconfiggerle a colpi di fumigazioni quotidiane.
Abbiamo modo di costatare così che le notizie diffuse nei mesi scorsi da alcuni quotidiani e dalla televisione italiana sulla epidemia di dengue e sui mille morti che essa avrebbe causato sono una vera e propria bufala.
L’agricoltura – ci dicono – è la risorsa economica principale con l’allevamento dei bovini e lo sfruttamento delle risorse forestali. Il primo posto è però occupato dalla coltivazione del tabacco che viene esportato insieme ai prodotti del mare e, in minor quantità, alla resina di pino e al legname.
Ci colpisce favorevolmente il fatto che un centro agricolo distante quasi 300 chilometri dalla capitale sia tanto ricco di strutture culturali, scolastiche e sanitarie.
La cittadina è dotata di una biblioteca pubblica, di un teatro, di una casa della cultura con sala per le rappresentazioni teatrali, di un cinema e di un museo di storia locale.
La mattina successiva all’incontro con Pertierra ci attende il primo giorno di scuola.
Arriviamo di buon’ora. Le lezioni iniziano attorno alle 8, dopo che i bambini hanno fatto la prima colazione.
Il gruppo si divide: io, Simone e Mirco partecipiamo alla attività del laboratorio agricolo mentre Daniela, Alessia e Chiara seguono altre attività. Anche in questa scuola si tiene insieme lavoro e studio. Nell’orto della scuola, dove si coltivano cipolle, fagiolini, aglio ed altre verdure che vengono poi consumate, oggi si tolgono le erbacce poi si spande l’acqua.
Strumenti di lavoro praticamente primitivi. Ci diamo da fare e, verso le 11, il caldo comincia a farsi sentire. Non ho mai tolto le erbacce e, nonostante sia stato viceministro della agricoltura, faccio fatica a distinguere la foglia della cipolla da quella dell’aglio. Per fortuna i bambini sono in gamba; mi indicano le erbacce e mi guidano nella attività, secondo l’insegnante molto delicata, di spandimento dell’acqua.
I BAMBINI. Chiedo ad un bimbo come mai la maestra è così attenta a questo problema: perché l’acqua, mi risponde, è un bene prezioso e non deve essere consumata inutilmente. Verso le 11 una breve sosta per la merenda. Poi le lezioni riprendono sino all’ora di pranzo. Nel pomeriggio baldoria; bambini e ragazzi si ritrovano nel cortile a giocare. Per l’occasione anche noi veniamo coinvolti. Giocano con un unico pallone da basket mezzo sgonfio: non ne possiedono un altro. I canestri sono malconci. Penso a cosa potrà accadere nella scuola quando arriverà il materiale che abbiamo raccolto. A un certo punto Raul, il direttore, organizza dei giochi di abilità e velocità a squadre. Sono quattro: partecipiamo io, Mirco,Alessia e Chiara. Raul è il capitano non giocatore della mia squadra. Tra le prove è prevista anche la corsa nei sacchi. Vince la mia squadra ma le altre protestano e lamentano nei confronti dell’arbitro il fatto che abbiamo barato e lui ha chiuso un occhio perché, come dice Maytee, è la squadra de los jefes, dei due capi. Mentre giochiamo arriva la notizia che aspettavamo: il camion con il materiale è partito da l’Avana e sarà alla scuola verso le 10 di sera. In attesa dell’arrivo del materiale seguiamo una lezione serale dedicata a José Martí e alla lotta per l’indipendenza dalla Spagna: bambini e ragazzi rispondono alle domande dell’insegnante, leggono poesie e cantano Guantanamera. Capisco in quel momento una cosa che avevo solo intuito dalle letture sulla storia di Cuba: i cubani sono tenuti insieme da una forte idea della loro patria e della loro bandiera. Non è un caso, infatti, che in molti disegni dei bambini compaia la bandiera cubana. La sera precedente avevamo partecipato ad una lezione sulla dengue e sul modo di contrastare la micidiale zanzara facendo attenzione all’igiene e alla pulizia della casa e del giardino.
IL CARICO. Finalmente arriva l’automezzo con il materiale. Abbiamo già preparato la stanza dove collocarlo: sono circa 40 cartoni più una macchina da cucire, un tavolo da ping pong, un campo da minibasket e uno da mini volley.Il lavoro è ben organizzato e tutti gli insegnanti si danno da fare. Poi tutti a cena al Ranchon che di notte assume una dimensione quasi magica. Comida cubana e ron a volontà. Si distingue uno dei due autisti, un anziano uomo di colore che ha combattuto in Africa con il Che.
La mattina successiva ci diamo da fare per montare il campo da minivolley, quello da minibasket e il tavolo da ping pong. All’ora della merenda i bambini sono tutti fuori in cortile e ci osservano in silenzio; forse perché non credono ai loro occhi. Devono rientrare in classe ma oggi è un giorno speciale. Simone e Mirco gonfiano alcuni palloni da basket e da pallavolo e li portano in cortile: scoppia il finimondo. È una esplosione di gioia e di felicità. Mi ricordo, in quel momento, della risposta data dalla teologa tedesca Dorothee Solle ad una giornalista che le chiedeva come avrebbe spiegato ad un bambino cosa fosse la felicità. Non glielo spiegherei – rispose la teologa – gli darei un pallone per farlo giocare. Nel pomeriggio assistiamo ad un momento importante della vita della scuola; ogni tre mesi gli alunni che hanno conseguito i migliori risultati vengono premiati con un riconoscimento. È una bella cerimonia, che dà la misura dell’amore che gli insegnanti hanno nei confronti dei bambini. I riconoscimenti consistono in piccoli premi: una matita, un minuscolo aeroplano di cartone ed altri oggetti semplici. Si coglie il grado di povertà; ma si tratta di una povertà vissuta con grande dignità. Mi ha colpito, infatti, nei vari colloqui che abbiamo avuto il fatto che i cubani non nascondono i loro problemi e non ne diminuiscono la gravità. Non ci hanno nascosto, ad esempio, che i bambini e i ragazzi della scuola vivono in famiglie che hanno seri problemi, tra cui l’alcolismo.
LA SOLIDARIETA’. La cerimonia si conclude ed è l’occasione per Raul di ricordare la nostra presenza e il nostro atto di solidarietà nei loro confronti. Mi chiede di dire due parole davanti ai bambini. Gli rispondo che forse è meglio chiudere con una bella foto tutti insieme ed evitare le formalità. Usciamo in cortile, siamo mescolati in mezzo ai bambini. Scattata la foto mi dirigo verso Raul e i bambini mi seguono, quando mi giro verso di loro e li vedo sorridere Raul reitera la richiesta ad alta voce Capisco che non posso sottrarmi anche perché i bambini hanno sentito che mi ha chiesto di parlare. Lo faccio, ma la commozione mi serra la gola e riesco a malapena a dir loro che li porteremo sempre nel nostro cuore.
LA DESPEDIDA. Ci congediamo dal personale della scuola con una cena nel Ranchon Mantua.
Nonostante la mattina dobbiamo alzarci molto presto per tornare a l’Avana, dove visiteremo il Centro medico psico-pedagogico Benjamin Moreno per disabili gravi, una struttura che ha fatto parte del programma della GVC; visita che non era prevista dal programma concordato ma che viene messa in calendario dai cubani sulla base di una richiesta di Daniela, la serata è tipicamente cubana: una festa con musica e balli.
Prima si lanciano le insegnanti cubane, poi Chiara, Alessia e Daniela e infine io e Raul. Mirco si salva adducendo il pretesto che la mattina dopo dovrà guidare, mentre Simone non entra in pista con la scusa che deve scattare le fotografie.
La mattina arriviamo alla scuola alle 6,30. Consegniamo le nostre zanzariere, poi l’abbraccio finale. È difficile trattenere la commozione. Qualcuno di noi piange, anche qualche cubano non riesce a trattenere le lacrime.
Saliamo sul nostro pulmino sgangherato con la frizione che sta per esalare l’ultimo respiro ma che, per nostra fortuna, resisterà sino all’Avana. Un gruppo nutrito di bambini e ragazzi esce per salutarci.
In quel momento mi tornano in mente i cartelloni che ho visto sulla carretera nacional: 100 millones de niños en el mundo con menos de 13 años están obligados a trabajar para vivir, ningún es cubano y 200 millones duermen en la calle, ningún es cubano.
Milioni di bambini nel mondo sono sfruttati, dormono nelle strade e vengono derubati dei loro diritti, ma nessuno è cubano.
Oltre alla scuola primaria frequentata da tutti i bambini in età scolare, sono presenti un istituto politecnico e una scuola speciale, la Ormani Arenado Llonch, frequentata da circa un centinaio di bambini e ragazzi, la maggior parte con difficoltà mentali lievi, alcuni con problemi più seri, che combinano lo studio con l’apprendimento di un lavoro. In quanto a tutela della salute spicca un dato: a Mantua operano 43 medici, uno per ogni 616 abitanti, tra medici di famiglia, specialisti, pediatri, oltre a 4 ostetriche.
La mortalità infantile è del 5,6 per mille, mentre la speranza di vita è di 75 anni per le donne e di 74 per gli uomini. La città di Mantua fu dichiarata monumento nazionale il 6 settembre del 1935 perchè fu il luogo nel quale terminò la invasione nella guerra di indipendenza del 1895 e ospitò tra il 22 e il 24 gennaio 1896 il quartier generale di Antonio Maceo, insieme a José Martí, considerato uno dei padri della moderna Cuba.
Mantua è inoltre ricca di monumenti, come quello dedicato alle madri o quello innalzato in onore di José Martí. Non manca sulle case il bel volto del Che e del suo compagno Camilo Cienfuegos. Nella scuola ci accolgono con grande simpatia il personale insegnante con in testa Raul, il direttore, Anamaria, sua vice, e Maytee la pedagogista. Bambini e ragazzi sono schierati e uno di loro ci rivolge il saluto di benvenuto.
L’OSPITALITA’. Una breve riunione per decidere come intendiamo impegnare il nostro tempo nella scuola poi la sorpresa: a Mantua l’albergo non ci può ospitare perché l’unico che esiste è riservato ai cubani. Ci conducono, attraverso una strada dissestata che si inerpica su di una collina, in un luogo dove è situata una struttura gestita dai lavoratori del tabacco.
Siamo praticamente in una foresta, circondati da una vegetazione fittissima costituita da pini, guayabas, alberi di banano, fiori di ogni specie. In questo luogo dormiremo e consumeremo le nostre cene. Ci indicano le capanne dove dobbiamo dormire, sono tre bohios di legno con il tetto di foglie di palma.
Lì vicino, percorrendo un sentiero in discesa, scorre un torrente. Simone, Mirco, Alessia e Chiara si mostrano subito soddisfatti: per tre giorni saranno immersi nella natura. Per loro, temprati dalla esperienza peruviana e amanti della vita in tenda, è quanto di meglio potessero desiderare. Daniela, che vive come un incubo la presenza di animaletti e insetti, annuncia che dormirà nel pulmino.
Io mi adatto in nome della solidarietà internazionalista. Sistemiamo le nostre cose tra cucarache (scarafaggi volanti, meglio pasciuti dei nostri) e qualche rana che fanno capolino nella nostra stanza. I mosquitos sono pochi, ma montiamo ugualmente le zanzariere. Ma il posto è davvero di straordinaria bellezza. Poi torniamo alla scuola dove ci attende lo storico cubano Enrique Pertierra per parlarci del suo libro.
STORIA E LEGGENDA. L’interesse di Enrique Pertierra per il legame tra la Mantua cubana e la Mantova italiana risale attorno al 1995. É in quell’anno che inizia le sue ricerche che lo portano a scrivere un breve saggio, poi pubblicato nel 1996 a cura della Associazione Mantova e i mantovani nel mondo con una prefazione di Vladimiro Bertazzoni.
Alcuni anni dopo Pertierra ebbe modo di visitare la nostra città, insieme ad altri cubani e all’ambasciatore cubano alla Fao Juan Nuiry Sanchez, in occasione di una manifestazione che si svolse al Parco dei Principi e che ebbe tra gli organizzatori Graziano Mangoni. La passione per questa storia curiosa ha portato lo storico ad approfondire le sue ricerche d’archivio e grazie al lavoro svolto ha potuto pubblicare, lo scorso anno, un libro che mi mostra nel corso del nostro incontro. È un volume di 180 pagine che contiene anche la traduzione del testo in italiano curata da Gioia Minuti, una giornalista italiana che da molti anni vive e lavora a Cuba. Diversamente dal precedente saggio, che fondava sulla tradizione orale la tesi della fondazione di Mantua ad opera di italiani, il libro è ricco di riflessioni e note che si riferiscono a documenti d’archivio, sia italiani che cubani e spagnoli e numerosi sono i rinvii alla storia della nostra città e dei Gonzaga.
Mentre Pertierra parla, penso alla situazione in cui mi trovo: a migliaia di chilometri di distanza dalla mia città un cubano cita una fonte d’archivio che riguarda la storia della città in cui sono nato e vivo e di cui non avevo notizia.
LO SBARCO.Attraverso generazioni – dice Pertierra – ci è stato trasmesso che l’origine di Mantua è legata allo sbarco, agli inizi del XVII secolo, di un gruppo di italiani che peregrinarono nell’entroterra alla ricerca di un luogo sicuro. Due versioni sono state tramandate nel corso dei secoli, dalle quali i fatti sono registrati senza cura di dettagli, a volte intrecciando frammenti di una versione con quelli dell’altra. La versione popolare spiega come naviganti italiani scambiati per corsari furono perseguitati da navi da guerra inglesi nella parte più meridionale dell’arcipelago di Los Colorados. Dopo la resa si ritirarono nella insenatura di Los Lazos, incendiarono i loro battelli e fuggirono verso l’interno dell’isola.
DUE VERSIONI. L’altra versione sostiene che il brigantino Mantova, comandato dal capitano Anatolli Fiorenzana, andò a sbattere contro gli scogli della barriera corallina parallela alla costa nord, mentre tentava di esplorare la baia o mentre tentava di giungere sul litorale e iniziò ad affondare; i marinai abbandonarono la nave con scialuppe di salvataggio e sbarcarono in un luogo vicino a Punta del Rio. Dopo avere esplorato la zona, il gruppo di naufraghi si incamminò verso l’imbarcadero di Los Arroyos, scoperto da una parte del gruppo che precedeva gli altri. Corsari, pirati o sfortunati naviganti che siano, resta il fatto che alla tradizione orale, frutto del susseguirsi delle generazioni e alle ipotesi velate da una patina di leggenda si possono affiancare anche dati inconfutabili e certezze frutto di studi compiuti in maniera approfondita.
LA PARROCCHIA. Uno degli argomenti più solidi – prosegue Pertierra – a sostegno della origine italiana della cittadina cubana si trova nella parrocchia costruita nel 1765, dedicata alla Virgen de las Nieves, patrona di Mantua, unica in tutta l’isola con questo titolo e invocazione. E a Mantova c’era una chiesa, che oggi non esiste più, dedicata alla Vergine delle Nevi.
In una nota a margine, lo storico scrive che in un piano della città di Mantova che raccoglie i 116 toponimi dei luoghi notevoli, opera del celebre cartografo Gabriele Bertazzolo, figura un oratorio dedicato a Santa Maria delle Nevi con il numero 95. Il documento fu pubblicato nel 1596 da Francesco Osanna, proprietario di una delle stamperie più importanti di Mantova nei secoli XVI e XVII. A mia volta gli ricordo che nei comuni di Villimpenta e di Suzzara esistono a tutt’oggi luoghi di culto dedicati alla Vergine delle Nevi.
LE OBIEZIONI. Ad un certo punto della conversazione obietto che alcuni studiosi mettono in discussione la sua teoria: il mantovano Raffaele Tamalio, che fa discendere la Mantua cubana dalla Mantua Carpetana spagnola e lo storico Domenico Capolongo che sostiene la tesi secondo cui Mantua sarebbe un toponimo aborigeno.
Tutte storie – replica quasi stizzito Pertierra – che nel mio libro contesto con argomenti forti. E poi come si fa a non tener conto del fatto che nella zona di Mantua da tempo immemorabile ricorrono cognomi italiani, tra i quali alcuni attestati ancora oggi. Basta andarsi a leggere i libri dei battesimi, dei matrimoni e dei defunti e si incontreranno i cognomi Fiorenzano, Pitaluga, Ferrari, Blanco ed altri ancora, originari di Genova e di Venezia.
Sono italiani, questo è comprovato, ma non bisogna dimenticare che, secondo la tradizione orale, sbarcarono dal brigantino circa cinquanta marinai e che nel corso dei secoli Mantua venne quasi distrutta da due incendi e che andarono perduti molti documenti. Chi può escludere che ci fossero anche dei mantovani?
Pertierra è un fiume in piena. Ad un certo punto cita anche il nome di Stefano Scansani, caposervizio delle pagine culturali della Gazzetta di Mantova. Guardo l’orologio; si è fatto tardi.Osservo anche i ragazzi che, sino a un certo punto, hanno seguito con interesse la conversazione, ma ora danno segni di cedimento.Rinuncio quindi a chiedere a Pertierra come mai è uscito improvvisamente il nome di Scansani. Scoprirò nei giorni successivi, leggendo il libro, che il giornalista mantovano ha avuto modo di occuparsi della vicenda in un articolo pubblicato sul quotidiano nel 1995.
Reportage del Sen. Roberto Borroni
Da “La Gazzetta di Mantova”
Document Actions