Vargas Llosa vince il Nobel della Letteratura — Lombardi nel Mondo

Vargas Llosa vince il Nobel della Letteratura

Lo scrittore peruviano premiato “per la sua cartografia delle strutture del potere”. Saggista, polemista, amico di Sartre, è l’altra faccia della scuola latinoamericana. L’autore: “Pensavo a uno scherzo”

STOCCOLMA – È stato assegnato allo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa il Nobel per la letteratura. Il prolifico autore – suoi capolavori come ‘La città e i cani ‘, ‘La zia Julia e lo scribacchino’ , ‘ La Casa Verde’ , ‘Elogio della matrigna – è stato premiato dall’Accademia di Svezia “per la sua cartografia delle strutture del potere e per le acute immagini della resistenza, rivolta e sconfitta dell’individuo”.

“Ancora non ci credo, ho pensato che fosse uno scherzo”, è stato il commento dello scrittore alla notizia del premio. “Erano anni che il mio nome non veniva neanche menzionato” tra i possibili vincitori, ha detto l’autore peruviano che ha ricevuto la telefonata ufficiale dell’Accademia di Svezia a New York, dove si stava preparando per una lezione all’università di Princeton. “Ora vado a farmi una passeggiata al Central Park, perché sono ancora frastrornato” ha detto ancora 74enne maestro della letteratura latinoamericana, in un’intervista alla radio peruviano a Rpp ed in una al quotidiano spagnolo El Mundo, rivelando che, dopo la telefonata da Stoccolma, ha detto alla moglie di aspettare che la notizia fosse confermata dai media prima di avvisare i figli.

Nato ad Arequipa, in Perù, il 28 marzo 1936, Vargas Llosa ha preso la nazionalità spagnola nel 1993, tre anni dopo la sua sconfitta nelle elezioni presidenziali. Quest’anno ha così vinto a Stoccolma uno scrittore “popolare”, i cui libri sono conosciuti e tradotti in tutto il mondo. Ancora una volta l’americano Philip Roth, “invocato” dai critici di tutto il mondo”, non ce l’ha fatta.

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Mario Vargas Llosa è il primo scrittore peruviano a vincere il premio Nobel per la letteratura. Da anni nella lista dei favoriti, l’autore ha surclassato quest’anno gli altri concorrenti in lizza secondo i boomaker: Cormac McCarthy, l’eterno Philip Roth e il keniota Ngugi wa Thiong’o, dato per vincente dalle quotazioni dell’ultima settimana. Gli Stati Uniti, insomma, sono rimasti ancora a mani vuote a diciassette anni dalla vittoria di Toni Morrison.

Premiato per la descrizione della «cartografia delle strutture del potere, le sue trancianti immagini di resistenza individuale», Vargas Llosa rappresenta anche il rinnovato interesse internazionale per gli autori sudamericani. E non è un caso che un paese come l’Argentina sia in questi giorni protagonista alla Buchmesse di Francoforte.

Autore di commedie e romanzi, ma anche saggista e polemista, il neo premio Nobel, nato ad Arequipa nel 1936, è uno degli scrittori più apertamente “politici” del Sudamerica: nel 1990 si candidò alle elezioni presidenziali venendo sconfitto per pochi voti. «L’ho fatto perché il Perù aveva una democrazia debole e vacillante, minacciata dalla rivoluzione terroristica di “Sendero luminoso”», disse.

Ma la politica attraversa in modo esplicito o meno tutta la sua attività: La città e i cani, l’esordio del 1963, che in Perù viene bruciato in piazza, è ambientato in un collegio militare di Lima. Lui stesso da ragazzo studia in un istituto del genere. Il percorso formativo si conclude però a Madrid, ma la vera attrazione è Parigi, dove si trasferisce negli anni Cinquanta. Qui frequenta quello che definirà “il piccolo valoroso Sartre”.

E l’amicizia con il filosofo francese non sarà senza frutti e influenze nella poetica. Se García Márquez incarnerà il capofila del realismo magico latinoamericano, Vargas Llosa rappresenterà l’altra faccia della letteratura del suo continente. Come Márquez, però, si avvicina alla rivoluzione cubana, pur mantenendo una posizione critica.

La casa verde, Pantaleon e le visitatrici, Conversazione nella Cattedrale e, soprattutto, La zia Julia e lo scribacchino, pubblicati in Italia da Einaudi, sono le opere che gli danno la notorietà e vengono tradotte in tutto il mondo. L’ultimo titolo in particolare racconta dell’amore del giovanissimo Mario per la sua zia acquisita, più anziana di quattordici anni. Tutta la storia è accompagnata dalla passione per la letteratura che anima il protagonista, aspirante scrittore che trova ispirazione in Pedro Camacho, popolarissimo autore di romanzi radiofonici che calamitano l’attenzione del paese intero. Mario e Julia convoleranno a giuste nozze proprio come accaduto nella realtà a Vargas Llosa e sua zia. Autobiografia o fiction? «Non ho mai preteso di essere aneddoticamente fedele a certi fatti e a certe persone anteriori ed estranee al romanzo. In entrambi i casi, come in tutto quanto ho scritto, sono partito da alcune esperienze ancora vive nella mia memoria e stimolanti per la mia immaginazione e ho fantasticato qualcosa che riflette in modo molto infedele quei materiali di lavoro», scriverà l’autore ne La verità delle menzogne, confondendo le acque.

Ha detto Vargas Llosa: «Uno scrittore ha anche una responsabilità politica e civile: quella di partecipare in un modo o nell’altro ai dibattiti pubblici. Per questo, mentre facevo il giornalista e lo scrittore, al tempo stesso difendevo in pubblico la democrazia e la libertà». E questo forse è il vero motivo per cui l’Accademia gli consegna il Nobel. Perché mentre la nuova generazione degli autori sudamericani si riappropria della storia dei loro padri – fatta di golpe e dittatura – è bene celebrare chi l’assenza di libertà l’ha patita sulla pelle e quindi raccontata.

www.repubblica.it

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