Narducci: “Ripensare il CGIE” — Lombardi nel Mondo

Narducci: “Ripensare il CGIE”

ESCLUSIVO/ Il segretario generale del parlamentino dell’emigrazione annuncia che presto lascerà l’incarico, ma non si dimetterà dal Consiglio, perché serve una forma di raccordo nuova con i parlamentari eletti all’estero. Il Parlamento ci deve mettere in condizione di lavorare –spiega- ci hanno offeso le polemiche strumentali sul “mese corto”.

Un pizzico di sorpresa per il clima da muro contro muro che si respira in Transatlantico anche a mesi di distanza dalle elezioni, ma molta determinazione nel rivendicare l’importanza ed il ruolo dei deputati e dei senatori eletti all’estero. Franco Narducci, deputato dell’Unione e segretario generale uscente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, in questa intervista esclusiva con il nostro portale traccia un primo bilancio della sua esperienza parlamentare. Rigetta le polemiche sul cosiddetto “mese corto” e chiede più attenzione alle strutture del parlamento. Annuncia l’intenzione di proporre la riforma del CGIE, che non lascerà, anche se si dimetterà dalla segreteria.

 

Onorevole Narducci, cerchiamo di fare un bilancio dei primi mesi della legislatura. Si aspettava di più o di meno da questa esperienza?

“A livello personale, avendo avuto molti contatti con il parlamento nel mio ruolo di segretario generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, non ho avuto sorprese sgradevoli. La sorpresa di segno negativo è stata quello di questo scontro incredibile che c’è nel paese. Forse peccando d’ingenuità credevo che, dopo la campagna elettorale, in parlamento – pur nella durezza della contrapposizione – si arrivasse a uno stile di lavoro diverso. Invece ogni giorno in parlamento si vede una estrema chiusura e durezza fra i due poli. Trovo incomprensibile che, nel momento in cui si deve votare un provvedimento semplice, s’imbastisca una polemica, arrivando ben presto all’ostruzionismo. Tutto questo con argomentazioni che nulla hanno a che vedere con il merito del provvedimento in discussione. Non so se definire questo una mia inesperienza, quanto piuttosto esperienza di un differente modo di funzionamento del parlamento che è quello del paese dal quale provengo, la Svizzera”.

 

Come valuta la vicenda del Ministero per gli Italiani nel Mondo, ed in particolare la soluzione adottata, di un viceministro nell’ambito del dicastero degli Esteri?

“Alla fine credo che la vicenda si sia chiusa in maniera positiva, anche se è durata decisamente troppo. Credo che le condizioni che si erano create, con il fondamentale contributo dato al centrosinistra dal voto degli Italiani all’Estero, richiedessero maggiore celerità nel sciogliere questo nodo. Alla fine, con la scelta del senatore Franco Danieli, si è data una soluzione positiva alla questione, perché ha l’esperienza necessaria per l’incarico. Certo, ora da questo viceministro ci si aspetta un impulso veramente forte. Mi auguro un raccordo sempre maggiore con noi, parlamentari eletti all’estero, tanto di maggioranza, quanto di minoranza. Servono momenti di consultazione più frequenti. Buona cosa è stato ristabilire il rapporto con il CGIE, che ha di nuovo un interlocutore politico, che era mancata con il governo precedente, perché con Tremaglia è mancato un raccordo solido”

 

Che fine farà – a suo giudizio – il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, nel momento in cui in Parlamento siedono a pieno titolo 18 rappresentanti dell’emigrazione?

“E’ importante che il CGIE sia ripartito a pieno regime, con la presidenza, le commissioni continentali e presto anche con i componenti di nomina governativa, la cui scelta era stata annullata dal TAR. La sua importanza rimane, ma andrà di sicuro rivisto, alla luce di questa rappresentanza parlamentare: il Consiglio può essere l’anello di congiunzione fra i parlamentari dell’emigrazione e il vasto mondo degli Italiani all’Estero. In passato è stato un laboratorio portentoso di idee e di politiche da portare avanti, lo può essere anche in futuro. Serve, ovviamente un ripensamento dei compiti e della  composizione. Forse 29 consiglieri di nomina governativa sono troppi, di fronte alla rappresentanza parlamentare”.

 

Ma i parlamentari eletti all’estero dovrebbero far parte del CGIE?

“Ritengo che i consiglieri del CGIE che sono stati eletti deputati e senatori debbano abbandonare le cariche che rivestono, perché il consiglio deve avere una sua autonomia. Io, ad esempio, mi dimetterò dalla segreteria nella prossima riunione plenaria. Non ritengo però che i parlamentari debbano dare le dimissioni dal CGIE, almeno sino alla fine del mandato, perché queste presenze (dieci, fra centrodestra e centrosinistra) sono una ricchezza, una forza in più per l’organismo”.

 

Ma alla Camera lei ha trovato uno spazio per gli Italiani all’estero, oppure no?

“Sul piano operativo, noi abbiamo inoltrato alla Presidenza della Camera la richiesta di una calendarizzazione diversa del lavori per consentirci di esercitare il nostro mandato in pieno, mantenendo anche i contatti con il collegio di elezione. Ci offende che si dica – come qualche giornale ha fatto in maniera scandalistica – che noi intendiamo fare più vacanze che lavorare. Noi proponevamo un metodo più intensivo, tre settimane piene di cinque giorni alla settimana, e la quarta settimana libera per avere la possibilità di rientrare anche per chi è eletto in terre lontane, come l’Australia o l’America. Il modello da noi proposto era ricalcato su quello del Parlamento Europeo, che nessuno accusa di non lavorare. C’è stata poi una difficoltà iniziale nell’affrontare i processi legislativi che riguardano gli Italiani all’estero. Ci ha di sicuro frenato la lunga fase elettiva. Ora che ci siamo ambientati nelle diverse commissioni, si tratta di mettere in moto dal punto di vista dell’iter legislativo le questioni principali che riguardano chi vive all’estero, come la riapertura dei termini per la cittadinanza, la disciplina degli Istituti Italiani di Cultura, la riforma della legge 153, i problemi dell’assistenza e della povertà. Su questo stiamo lavorando”.

 

Come vi siete raccordati fra di voi parlamentari della circoscrizione Estero?

“Fra noi ci sono contatti cordiali, ma non abbiamo ancora istituzionalizzato una forma di raccordo di tutti e 18 gli eletti all’estero. Tutti però siamo convinti che questo collegamento ci debba essere, perché sono in gioco gli interessi di milioni di connazionali. Il primo incontro fra noi c’è stato a fine luglio, ora bisogna procedere”.

 

Le realtà locali dalle quali ciascuno di voi proviene si sono accorte della vostra presenza in parlamento?

“Sì, se ne sono accorte e spesso ci scrivono molte amministrazioni locali. E ci sono anche molti inviti a partecipare a manifestazioni, che è stato difficile onorare nei primi mesi della legislatura, segnati anche dalla campagna elettorale sul referendum costituzionale di fine giugno.”

 

 

Luciano Ghelfi 

Document Actions

Share |


Condividi

Lascia un commento