In pericolo il fiume São Francisco e i suoi popoli — Lombardi nel Mondo

In pericolo il fiume São Francisco e i suoi popoli

Lo sfruttamento selvaggio delle sue ricchezze naturali, infatti, con la costruzione di 7 dighe idrolettriche, uniti a grandi investimenti nell’agroindustria, “hanno già provocato la scomparsa del 70% della vegetazione e dei pesci nativi alterando il ciclo delle maree che regolava le attività produttive di queste popolazioni

Il fiume Oparà “fiume-mare” per i popoli indigeni, ma fiume São Francisco per le carte geografiche è da sempre la fonte di vita più importante del semi-arido Nordest brasiliano. Ospita sulle sue sponde popoli indigeni, comunità afrodiscendenti quilombolas e villaggi di pescatori che vivono delle sue risorse. Ma ora lo storico progetto di trasposizione del corso del fiume, intrapreso dal governo brasiliano, rappresenta la definitiva minaccia per la vita dei popoli tradizionali e del fiume da decenni impoverito e degradato da dighe e invasi.

Lo sfruttamento selvaggio delle sue ricchezze naturali, infatti, con la costruzione di 7 dighe idrolettriche, uniti a grandi investimenti nell’agroindustria, “hanno già provocato la scomparsa del 70% della vegetazione e dei pesci nativi alterando il ciclo delle maree che regolava le attività produttive di queste popolazioni, parti di un ecosistema molto delicato e già a rischio di desertificazione” afferma il Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale (CIPSI) che dal 2010 con la visita della prima delegazione indigena in Italia fa parte del comitato promotore della campagna per la salvezza del São Francisco.

Il progetto, dal costo di 2.380 milioni di dollari è il principale programma idrico del Piano di Accelerazione della Crescita (PAC) lanciato nel gennaio del 2007 dal Presidente Lula Da Silva e prevede la costruzione di due canali di deviazione delle acque di più di 600 km di lunghezza, di 2 dighe idroelettriche, 9 stazioni di pompaggio, 27 acquedotti, 8 tunnel e 35 dighe di contenimento e riserva dell’acqua. In totale la rete di canalizzazione sarà lunga approssimativamente 2.200 chilometri e l’opera, nonostante le numerose irregolarità giuridiche denunciate in modo dettagliato dal Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali (CDCA) e dall’Associazione per i Popoli Minacciati, va avanti per garantire, almeno sulla carta, forniture idrica a 12 milioni di abitanti del nord est.

Una risorsa? A quanto pare non per tutti, visto secondo i promotori della Campagna denominata Oparà, il progetto avrà un impatto socio-ambientale devastante su tutti i 33 popoli che vivono all’interno del bacino del fiume. A subire le conseguenze più gravi saranno circa 8.000 persone di cui il progetto prevede la rimozione forzata, l’allagamento di parte del territorio e la distruzione dei luoghi sacri, mentre la maggior parte delle acque trasposte saranno privatizzate e destinate all’agrobuisness e all’industria.

Ma le violazioni del diritto dei popoli indigeni sono già cominciati. Nella denuncia pubblica della Campagna Oparà, si legge che “Il governo non ha effettuato le necessarie consultazioni con i popoli colpiti e per garantire l’esecuzione dei lavori l’esercito brasiliano ha occupato i territori dei popoli Truká e Pipipã togliendo loro il diritto di accesso all’area”. L’integrità di molte aree indigene è già quindi seriamente minacciata.

“Per questo – ricorda il CIPSI – dal 2 al 5 maggio prossimi in migliaia da tutto il Brasile realizzeranno un accampamento di fronte ai palazzi del governo a Brasilia, per denunciare gli impatti devastanti dei grandi progetti di sviluppo forzato imposti dal governo nei loro territori sacri. Sarà questa l’occasione per consegnare al governo le firme raccolte contro la trasposizione, contro la costruzione di nuove dighe idroelettriche, di nuove centrali nucleari e di altre mega opere del Programma di Accelerazione della Crescita e come promotori in Italia, invitiamo tutti a firmare la petizione e sostenere la Campagna Oparà”.

La petizione indirizzata al Supremo Tribunale Federale brasiliano non riguarda solo il fiume São Francisco, ma per impedire situazioni analoghe, come la tristemente famosa diga di Belo Monte sul fiume Xingu, chiede sia rispettato il diritto costituzionale ai territori sacri indigeni e sia garantita la consulta libera e informata delle comunità indigene su tutti i progetti che pregiudicano le loro forme di vita (.pdf).

“Inoltre – puntualizza il CIPSI citando fonti brasiliane – per risolvere il problema della scarsità d’acqua nella regione semi-arida del Nord Est brasiliano esistono alternative concrete più economiche e compatibili con l’ambiente”. L’Agenzia Nazionale delle Acque, organo del Governo Brasiliano, ha studiato il potenziale idrico della regione e la possibilità di un suo uso sostenibile: piccoli bacini di contenimento dell’acqua dolce, pozzi artesiani, captazione dell’acqua piovana attraverso cisterne domestiche sono interventi che avrebbero un costo nettamente inferiore e beneficerebbero una popolazione quattro volte superiore a quella prevista dal progetto di deviazione.

Ma il sospetto è che dietro la scelta del governo e l’urgenza del PAC ci siano gli interessi economici delle imprese che realizzeranno le opere e del settore dell’agro-industria. “Stando alle dichiarazioni delle autorità brasiliane – conclude il CIPSI – il 4% delle acque trasposte dal nuovo progetto sarà destinato alla popolazione rurale, il 26% sarà destinato ad un uso urbano e industriale e il 70% a progetti di irrigazione di grandi estensioni di monocoltura, principalmente diretta all’esportazione”.

 

Di Alessandro Graziadei

Marcia di protesta degli indigeni contro la Transposição – Foto: Gfbv

 

Fonte: Unimondo

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