L’italiano nei testi dei tanghi — Lombardi nel Mondo

L’italiano nei testi dei tanghi

Tra il 1880 e il 1914, 2.022.326 immigrati italiani si recarono in Argentina, cercando di assimilarsi alle abitudini della nuova terra di accoglienza. Questo flusso migratorio ha contribuito fortemente a consolidare la struttura del tango grazie ai musicisti appena arrivati, accademici ed autodidatti. Di Jorge Garrappa Albani

Tra il 1880 e il 1914, 2.022.326 immigrati italiani si recarono in Argentina, cercando di assimilarsi alle abitudini della nuova terra di accoglienza.

Questa mossa migratoria ha contribuito fortemente a consolidare la struttura del tango attraverso i musicisti appena arrivati, accademici ed autodidatti.

In ogni famiglia era comune trovare qualche “fan” del bel canto italiano o uno che suonasse uno strumento tradizionale come il mandolino, la fisarmonica o la chitarra.

Grandi musicisti, compositori e poeti -emersi da quell’immigrazione- formano un fittissimo elenco di cognomi che fa parte dell’elite dell’antologia tanghera argentina.

Agostino Magaldi, Ignazio Corsini (nato in  Sicilia nel 1891 e morto nel 1967), Alberto Marino (Vicente Marinaro nacque a Verona nel 1923 e morì nel 1989), Alberto Morán (Remo Andrea Domenico Recagno, nacque a Strevi nel 1922 e morì nel 1997), Ettore Mauro e molti altri, aderivano alla categoria dei cantanti.

Alfredo De Angelis, Annibale Troilo, Giovanni D’Arienzo, Francesco Canaro, Michele Caló e Osvaldo Pugliese, tra i direttori di orchestre.

Omero Manzi, Nicola Pracánico, Enrico Cadicamo, Omero Esposito, Armando Acquarone, Sebastiano Piana, Enrico Santos Discepolo ed Ettore Marco, tra gli autori e compositori.

L’Italiano, appare nei testi come un personaggio pittoresco, come in “Padrino Pelao” (Padrino pelato) di Enrico Delfino: “E un Tano arrabbiato brontola alla porta, / perché gli mangiò lo stufato, un teppista / Qui, in questa casa, lei  non entra…”

Nostalgico come nel tango “Canzonetta” di E. Lary ed E. Suarez, quando dice: “Quando sento O Sole Mio / senza mamma e senz’amore / sento freddo qui, nel cuore / che mi riempie di ansia / sarà l’anima di mia mamma / che lasciai quando ero bambino”. E quando dice: “Sognai Taranto in mille ritorni / ma io sono ancora qui alla Boca, / dove piango i miei dolori / triste l’anima, rotta, senza perdono”.

Anche quando si espressa nel tango “La Violetta” di N. Olivari e C. Castillo: “Con il gomito sul tavolo sporco / lo sguardo fisso sul pavimento / pensa il Tano Domenico Polenta / nel dramma dell’immigrazione / alla sporca cantina che canta / la nostalgia del vecchio Paese / stona la sua rauca gola / conciata in vino Carlon”.

Sempre identificato con il fenomeno migratorio dell’immigrazione, cantando la nostalgia, lo sradicamento o la delusione con la terra di adozione, che si riflette nei quartetti precedenti.

I suoi testi raccontano la storia d’immigrazione e la prostituzione in un mondo di sentimenti, dove predominano l’odio, la passione, la invidia, il risentimento e la vendetta.

Anche nel gruppo nostalgico possiamo trovare capolavori come il tango “La violetta”, con parole di Nicola Olivari, “La canzone dell’immigrante” di Cadícamo e “La testa dell’italiano” di Francesco Bastardi.

Un altro gruppo s’imparenta con “Giuseppe il calzolaio” di Guglielmo del Ciancio e che cantò pure Carlos Gardel, in cui si riflette con chiarezza lo sforzo dell’emigrato per lasciare ai suoi figli un futuro, anche negando le origini.

Lo stesso stile lo incontriamo nel brano “Niño Bien pretencioso y engrupido” (Bambino perbene pretenzioso e presuntuoso) di Soliño e Fontaina. Cioè, i figli d’immigranti diventati scalatori sociali, che nascondono l’origine e l’esistenza del `Tano´ impegnativo che lavoro tutta la vita, dal mattino alla sera, per offrirgli un futuro migliore.

In modo simile appare in “Ya no cantas chingolo”, musica di Antonio Scatasso (nato in Sicilia nel 1886 e scomparso nel 1956) e testo di Edmondo Bianchi. È forse l’unico tango in cui si rimprovera al “gringo immigrante” per la dimenticanza di certi valori della sua tradizione.

In “Viejo Ciego” (Vecchio Cieco), di Piana e Manzi, e “Aquella cantina de la ribera” (Quella cantina della riviera) di José González Castillo e suo figlio Cátulo, si fa menzione alla canzonetta.

Un altro tango in cui appare l’italiano emigrato è il bel brano “Tinta Roja” (Inchiostro rosso) di Sebastiano Piana e Cátulo Castillo, dove il “Tano piange il suo biondo amore lontano sui bicchieri di bon vin”.

“La pipistrella”, tango a cui abbiamo fatto riferimento in un articolo precedente, cantato da Tita Merello, fa vedere un Tano poliziotto, furfante e creativo, che fa i scherzosi complimenti alla ragazza che passa davanti a lui. E a un altro, fruttivendolo lui, presuntuoso e bullo: “Il “bottone” dell’angolo di casa/quando esco a spazzar il marciapiede/ mi si avvicina il farabutto e mi dice: pss…pipistrella…pipistrella…/ci ho un coso al mercato che mi guarda/ è un tano presuntuoso di creolo/ io innalzo le sopracciglia all’insù/ mentre gli frego un cavolo giù”.

Ognuno al suo tempo, Jorge Luis Borges e il sociologo uruguaiano Daniel Vidart, si sono espressi sulla negatività dell’influenza italiana sul tango. Entrambi, danno la responsabilità agli emigrati italiani della supposta tristezza della musica rio platense.

Può darsi. Comunque quel che si vede è che non c’è stato un solo angolo della cultura argentina dove gli italiani non abbiano lasciato la loro presenza.

 

Jorge Garrappa Albani – Redazione Portale Lombardi nel Mondo–05/07/2011

jgarrappa@hotmail.com – jgarrappa@arnet.com.ar

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