L’emigrazione italiana negli anni ’80 e ’90 nel Rapporto della Migrantes

In questo capitolo Michele Colucci, dell’Università della Tuscia, descrive i due decenni del secolo scorso in cui si è assistito alla fine dell’emigrazione di massa; anni, però, in cui le migrazioni hanno ancora “pesato” sugli equilibri del Paese. Colucci spiega come sono cambiate le politiche migratorie, tra vecchie e nuove problematiche

In questo capitolo Michele Colucci, dell’Università della Tuscia, descrive i due decenni del secolo scorso in cui si è assistito alla fine dell’emigrazione di massa; anni, però, in cui le migrazioni hanno ancora “pesato” sugli equilibri del Paese. Colucci spiega come sono cambiate le politiche migratorie, tra vecchie e nuove problematiche, negli anni in cui i rimpatri superavano – a volte – gli espatri e mentre nascevano gli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero.

“Se vogliamo comprendere a fondo le ragioni che hanno portato negli ultimi decenni alla progressiva trasformazione dei fenomeni migratori italiani dobbiamo necessariamente guardare agli anni ’80 e ’90 del Novecento. Si tratta di un periodo complesso, in cui a fianco a persistenze significative del passato emergono tendenze nuove, destinate sul lungo periodo a cambiare definitivamente il volto dell’emigrazione italiana.

Guardiamo innanzitutto ai dati statistici di cui disponiamo. Nel decennio 1980- 1989 il saldo migratorio è sostanzialmente in pareggio, oscilla infatti tra il valore negativo (1981, 1982, 1984, 1986, 1989) e il valore positivo (1980, 1983, 1985, 1987, 1988) con piccole differenze. Le uniche annate in cui possiamo osservare una tendenza più rilevante sono il 1987 e il 1988, dove la quantità di persone che rimpatriano è sensibilmente superiore a quella di coloro che espatriano. Diciamo quindi che negli anni ’80 si conferma quell’andamento discendente dell’emigrazione di massa che già aveva caratterizzato l’Italia dalla metà del decennio precedente. Osservando le principali mete degli espatri, raggruppate per continenti, è immediatamente chiaro che la parte del leone la fa l’Europa, che d’altronde già da un paio di decenni aveva iniziato a prevalere in modo molto netto rispetto alle mete transoceaniche.

La fine dell’emigrazione di massa

L’emigrazione italiana secondo queste statistiche può dirsi un fenomeno ormai quasi concluso nella sua fase di massa, anche se sono diverse decine di migliaia le persone che ogni anno partono per andare a lavorare all’estero: cifre non trascurabili ma molto basse se paragonate soltanto a quelle di 15-20 anni prima. Attenzione, però, a non commettere un errore nel quale spesso sono caduti i commentatori e gli analisti: calo degli espatri non significa automaticamente calo del peso della vicenda migratoria sugli equilibri del paese. Coloro che vivono e lavorano all’estero, infatti, continuano a inviare rimesse in Italia, a rapportarsi alle istituzioni italiane come connazionali espatriati e, insomma, a mantenere un legame più o meno diretto con l’economia e la società italiane. Un legame tra l’altro che, come vedremo, è destinato a evolversi in maniera significativa. Per capire, ad esempio, il peso fondamentale dell’emigrazione sull’economia italiana possiamo citare proprio i dati sulle rimesse.

Nel solo 1984, secondo i dati dell’Ufficio italiano cambi sono 3.864.814 milioni di lire i risparmi inviati in Italia, dieci anni prima (1974) erano 511.931 milioni (Ministero degli affari esteri, Direzione generale emigrazione e affari sociali, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero nel 7984, Roma 1985).

Dal punto di vista istituzionale, negli anni ’80 avvengono alcune modifiche nella legislazione relativa agli italiani all’estero, che sono ben lontane da quelle ampie riforme che nel 1975 avevano auspicato le conclusioni della Prima conferenza nazionale dell’emigrazione ma sono, comunque, degne di segnalazione.

La legge 112 del 1983 ha facilitato l’equipollenza dei titoli di studio, tema più volte segnalato dall’associazionismo fin dagli anni dell’immediato dopoguerra, mentre la legge 82 del 1985 ha esteso ai pensionati residenti all’estero la possibilità di percepire l’indennità integrativa speciale. Alla metà degli anni ’80 sono inoltre diventate operative le Consulte regionali per l’emigrazione, organi che nel corso del tempo hanno acquisito molte competenze in campo di politica migratoria.

La svolta nelle politiche migratorie italiane e internazionali avviene però negli anni ’90. Prima con la riforma della legge sulla cittadinanza (legge 91/1992), che estende la cittadinanza italiana ai discendenti degli italiani e ridefinisce complessivamente lo “status” dell’italiano all’estero, poi nel 1996 con l’entrata in vigore anche in Italia degli accordi di Schengen che semplificano la libera circolazione nell’Europa comunitaria e rafforzano le disposizioni per controllare i flussi extra-comunitari.

Negli anni ’90 il contesto migratorio italiano è notevolmente in trasformazione, non solo perché l’arrivo degli immigrati stranieri modifica sensibilmente il quadro demografico ma anche perché le migrazioni italiane – pur quantitativamente meno rilevanti che in passato – mantengono una vivacità molto interessante da analizzare. I dati statistici ci dicono che il saldo migratorio tra arrivi e partenze dei cittadini italiani è positivo soltanto tra il 1990 e il 1993, mentre nel periodo 1994-1999 il saldo è negativo, perché il numero di italiani segnalati in espatrio è superiore a quelli segnalati al rimpatrio.

Certo, la legge sulla cittadinanza del 1992 ha, di fatto, inciso notevolmente in termini di estensione della cittadinanza italiana sui rilevamenti statistici, ma il dinamismo migratorio degli italiani è, comunque, una tendenza ancora presente. Guardando alle destinazioni, l’Europa mantiene il primato come zona di attrazione, anche se si nota un ridimensionamento complessivo dei flussi, mentre i paesi americani, pur restando quantitativamente meno rilevanti, confermano una quantità di italiani in arrivo costante nel corso del decennio, senza cali significativi.

La vita delle comunità italiane all’estero

Le modifiche più importanti nella vita delle comunità italiane all’estero negli anni ’80 e ’90 riguardano quattro aspetti: l’invecchiamento delle popolazione, il nuovo ruolo economico assunto dalle collettività all’estero, il dinamismo dell’associazionismo regionale, la presenza sempre più visibile dei nuovi italiani all’estero.

La questione dell’invecchiamento della popolazione ha comportato problemi notevoli, soprattutto in termini di servizi sociali. Proprio nei primi anni ’80 in numerose realtà di emigrazione sono nate e si sono ampliate case di riposo per residenti italiani, spesso legate agli ospedali italiani e alle missioni cattoliche. Sempre molto sentita è, inoltre, la vicenda degli adegua menti contributivi e previdenziali e della corretta fruizione delle pensioni, che nonostante alcuni interventi legislativi già ricordati resta uno dei problemi più caldi per gli italiani all’estero, a causa della sovrapposizione delle competenze e della diversa gestione tra l’Italia e gli altri paesi. Per capire quanto sia importante la realtà dell’emigrazione sul sistema previdenziale basti pensare che, al 31 dicembre 1986, l’Inps pagava la pensione a 190.916 italiani all’estero.

Il nuovo ruolo economico delle comunità italiane all’estero ha conosciuto negli anni ’80 e ’90 un protagonismo crescente. L’evoluzione delle collettività in business communities ha, infatti, comportato lo sviluppo delle esportazioni e delle importazioni di prodotti italiani, l’aumento dei flussi turistici da e verso i luoghi di emigrazione, la moltiplicazione di legami commerciali tra le zone di partenza e le zone di destinazione. Questa evoluzione si può riscontrare nella proliferazione delle piccole e medie imprese gestite da italiani, che insieme allo sviluppo del lavoro autonomo rappresenta una tendenza già evidente fin dagli anni ’70.

Altro fenomeno in ascesa nel ventennio considerato è quello dell’associazionismo regionale, che raggruppa gli italiani all’estero a seconda della loro provenienza locale dalle regioni, province e comuni italiani. Nel corso degli anni ’80-’90 possiamo, infatti, riscontrare il primato di questo genere di organizzazioni a scapito di quelle a carattere politicoculturale che ancora negli anni ’70 avevano un ruolo importante nelle comunità. Naturalmente si tratta di un associazionismo che mantiene rapporti molto stretti con le zone di partenza – anche in chiave economica – e che tende a riscoprire le identità territoriali. Un ruolo sempre molto importante nei paesi di emigrazione viene mantenuto dai patronati, che rappresentano un presidio indispensabile in termini di servizi e informazioni.

Gli anni ’80 e ’90 vedono inoltre l’evoluzione di un fenomeno già molto presente nel decennio precedente e dilagante nei due decenni da noi ora esaminati, definito dagli studiosi con il termine di “nuove mobilità”. Si tratta dei giovani italiani che si recano a vivere all’estero per motivi di studio o per impieghi temporanei, intrattenendo pochissimi rapporti con il mondo dell’emigrazione tradizionale, a parte alcuni contatti con le strutture di patronato.

I paesi più segnati dal fenomeno sono la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, anche se quantificare tali flussi non è semplice perché sovente sfuggono alle statistiche, non essendo di solito legati a rapporti di lavoro formalizzati e a sposta menti ufficiali di residenza. Uno strumento di mobilità giovanile molto importante è il programma interuniversitario denominato Erasmus, che punta alla cooperazione europea per favorire il soggiorno presso università straniere degli studenti dei paesi aderenti. Nato nel 1987, implementato nel 1995 con il programma Socrates/Erasmus, il programma ha rappresentato un punto di svolta per l’internazionalizzazione delle università italiane e ha favorito non solo la permanenza all’estero degli studenti e dei docenti ma, in alcuni casi, anche il loro trasferimento definitivo.

Oltre alle iniziative legislative già ricordate, nel 1988 si tenne a Roma (28 novembre 3 dicembre) la seconda Conferenza nazionale dell’emigrazione, a dodici anni dalla prima. Un appuntamento preparato con molta meticolosità nelle comunità italiane all’estero e molto atteso, come era stato d’altronde il primo. Dopo mesi di incontri locali e giornate di dibattito e discussione tra i tantissimi addetti ai lavori del mondo migratorio, la conferenza si concluse con l’approvazione di un documento finale articolato in 8 punti, che riconosceva i profondi mutamenti avvenuti nell’universo dell’emigrazione italiana e le novità derivanti dall’inizio dell’immigrazione ma confermava la sostanziale immobilità delle politiche italiane per i residenti all’estero.

Dai problemi relativi alla sicurezza sociale alle politiche per l’integrazione nei paesi di residenza, dalle politiche scolastiche per le nuove generazioni a quelle in ambito lavorativo, dalla formazione professionale al tema della circolazione in ambito comunitario, dalla specificità della condizione delle donne emigrate al sostegno ai mezzi di comunicazione rivolti agli italiani all’estero: i nodi ancora da affrontare erano secondo il documento moltissimi nella speranza che “la politica dell’emigrazione e delle comunità all’estero deve rappresentare una questione nazionale”.

Negli anni successivi, l’unica vera novità emersa alla luce delle conclusioni della Conferenza si può riscontrare nella nascita del Cgie, il Consiglio generale degli italiani all’estero, nato con la legge 368 del 1989. Un tema ricorrente nelle discussioni della conferenza è, ancora una volta, quello del voto degli italiani all’estero, riproposto fin dal 1984 con una proposta di legge di Salvo Andò e bocciato in seguito dal parlamento italiano nel 1993 e nel 1998.

Vecchie questioni e nuove problematiche

Negli anni ’80 e ’90 possiamo constatare come nei luoghi di emigrazione tendano a convivere questioni vecchie e problematiche nuove rispetto alla condizione degli italiani all’estero. Un caso molto significativo è, a questo riguardo, quello della Germania, il paese che insieme alla Svizzera mantiene il primato quantitativo nei movimenti migratori con l’Italia: 86.138 espatri verso la Germania nel solo 1980, ancora 34.540 nel 1999. In Germania, ad esempio, è andato aumentando notevolmente il lavoro autonomo e l’avvio di imprese da parte di italiani. Secondo i dati del microcensimento 1995 dell’istituto federale di statistica, resi disponibili e rielaborati dallo studio Consistenza ed evoluzione del sistema di PMI in emigrazione pubblicato dalla FILEF nel 1999, si contavano 65 mila italiani che svolgono un lavoro autonomo. Si tratta di un dato che riflette un notevole aumento, rispetto alla precedente rilevazione (di nemmeno 10 anni prima): solo tra Stoccarda e Monaco, negli esercizi commerciali, tra i 1.500 e i 2.000 ristoranti.

Il lavoro autonomo è andato aumentando anche nel comparto dell’edilizia. La quota del lavoro autonomo sul totale degli occupati scende, per i tedeschi, dal 12,7% nel 1987 al 9,2% nel 1994, mentre quelle degli stranieri sale dal 5,7% a 11’8,2 %. Accanto a questi segnali di novità restano però altri segnali più preoccupanti, come i dati sulla disoccupazione e quello sull’andamento scolastico delle giovani generazioni. Nel 1986 gli italiani in Germania sono diventati la comunità straniera col più alto tasso di disoccupazione (16%) superando quella turca. Nel 1995, il numero di italiani disoccupati ha raggiunto Il 44.158 unità. Tra gli anni ’80 e gli anni ’90 nella comunità italiana in Germania continuano a destare molto scalpore i dati sui problemi di integrazione scolastica degli italiani. Il numero di studenti che frequenta i corsi speciali per gli alunni in difficoltà (Sonderschulen) è molto alto, attorno al 10% del totale.

È importante segnalare, infine, nella seconda metà degli anni ’90 l’aumento, i tutti i paesi di emigrazione, l’aumento dei progetti di cooperazione con gli italiani all’estero finanziati dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Indirizzati prevalentemente alla formazione professionale e i sostegno della piccola e media impresa, tali progetti sono realizzati in partnership con i patronati e i sindacati italiani all’estero”.

Fonte: Fondazione Migrantes

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