Il samba che non ballerò mai più — Lombardi nel Mondo

Il samba che non ballerò mai più

Il nostro validissimo collaboratore Ferruccio Brambilla ci scrive: “Ho anticipato il rientro dal Brasile per mancanza di una seria motivazione, oltre che per uno spiacevole problema di salute. Ma in Brasile ho trovato un samba che non voglio ballare mai più…”

Mi è capitato e mi capita ancora spesso di iniziare con un nuovo progetto, quando è indispensabile improvvisarsi capaci di ogni cosa. In questi casi tutto quello che si riesce a realizzare si rivela utile, perchè quantomeno migliora il contesto preesistente. Si raggiunge con poco lo scopo stesso della propria presenza e le soddisfazioni sono parecchie, le gratificazioni quotidiane. Sarà per questa ragione che non riesco ad apprezzare il fatto che lo spirito pionieristico di certe associazioni di volontariato con le quali ho avuto la fortuna di collaborare, dopo alcuni anni venga meno. Col tempo il meccanismo sembra acquistare la forza per andare avanti da sé. Forse dovrebbe far piacere assistere al naturale progredire di attività che si sviluppano, ma sarebbe come sostenere che l’entusiasmo di Volta quando inventò la pila è lo stesso di chi oggi l’accende quando manca la corrente.

 

Nella favela più grande di Rio de Janeiro e del Sudamerica, si mangiava tutti insieme al final de la rua Apia. Ora c’è un ristorantino che ha un nome. Le persone non sono più le stesse, c’è forse più operosità ma meno entusiasmo. C’è sempre meno tempo per ritrovarci e non ci si parla come ci si parlava una volta. Sono arrivati i telefonini e anche qui come a Milano la gente cammina a testa china e non saluta. Si vive in un ambiente infinito, un tempo tanto amico ed ora tanto anonimo. Non so più cosa rimane di ciò che ho descritto in molte occasioni. Mi accorgo che si stanno misurando troppe cose e che si stanno facendo troppi conti. Nessuno inventa più niente. Tutto è cambiato ed io no. Chi o cosa è inadeguato?.

 

Quando decido che non mi basta più ho già trascorso più di un mese. Esattamente dieci anni fa i miei primi tre mesi nella stessa favela. Altri tre li avevo trascorsi nell’orfanotrofio per disabili Vida di Salvador de Bahia, con la scoperta di Itapuà e della splendida isola di Fernando de Noronha. Il rinnovo del permesso di soggiorno alle cascate Iguaçu, confine tra Brasile Argentina e Paraguay. Ero tornato in Italia dopo sei mesi con tanta gioia nel cuore.

In Bahia forse ce l’avrei fatta ma non ne sono più neanche tanto sicuro. Salvador mi dovrà attendere ancora un po’. Forse tornerò ancora una volta da solo e col solo bagaglio a mano, nessun impegno e soprattutto minori aspettative.

 

Ho poco da dire e quel poco mi rattrista. La nostalgia mi fa spesso ritornare dove non dovrei, perché niente si ripete come vorrei. Dovrò imparare a cogliere solo le sensazioni forti della prima volta che non si replica. Mai più il loro ricordo e le seconde volte, per nessuna ragione. Ci sono tanti altri angoli bui da scoprire nel mondo. Luoghi che forse qualcuno rifiuta, ma che tanto mi eccitano. Mai più gli stessi, conseguenza di inevitabili delusioni. Potrei non desiderare nulla, più nulla se non un altro ciclone. La tempesta che arriva da lontano e che non conosco. Quella che mi fa scaturire insani pensieri o che mi fa sparire per sempre. Non avverto e quindi non so apprezzare la leggera brezza primaverile, perché forse appartiene solo a chi si ritrova costantemente coi piedi per terra.

 

Il dolore, anche fisico e la pena mi fanno accettare ogni cosa. Le parole che scrivo mi sembrano più pesanti. La totale esclusione del pensiero di chi le leggerà. Il perfetto stato di tormento che normalmente amplifica la magia delle emozioni, stavolta le fa svanire. Non sono più le stesse che pochi mesi fa mi animavano in India o in Congo. Così a Rio allevio la pena assistendo ai preparativi del prossimo carnevale nelle scuole di samba, facendo da cicerone col marito di Barbara alle comitive di avventure nel mondo alle quali non manco mai di citare il portale dei LnM, al ristorante Don Camillo di Copacabana o alla Garota de Ipanema, per poi mettermi a parlare con l’oceano. Disciplina ereditata da una persona cara e che pare sia riservata a pochi, non so se migliori o peggiori degli altri.

 

La sofferenza quotidiana per un’applicazione al pronto soccorso della favela, la felicità del momentaneo beneficio. L’amica Veronica, enfermeira mais bonita. L’amara certezza di un noto professionista di Ipanema. La mia rassegnazione per la sua decisione di intervenire chirurgicamente in un ospedale di Rio de Janeiro. Le difficoltà nel comunicare con la mia assicurazione, le loro indagini di prassi che fanno spostare la data dell’intervento. Le cause a me non imputabili, la conseguente unanime decisione di anticipare il mio rientro in Italia a loro spese. Il modo più deprimente di concludere la mia quinta esperienza in Brasile. La loro lussuosa macchina a prelevarmi in aeroporto.

 

Un grande abbraccio, Fer

 

Ferruccio Brambilla – Milano – cell +39 348 8279 062

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