Tante piccole Italie — Lombardi nel Mondo
Tante piccole Italie
«Vivendo in Germania» (1909) di Felice Pagani è un volume curioso. L’autore vi raccoglie impressioni dei suoi viaggi e soggiorni giovanili in Germania e offre al lettore diverse informazioni e, soprattutto, il suo amore e ammirazione per questo Paese. «Vivendo in Germania» sembra un inno per questa nazione, la sua organizzazione, i suoi successi economici e le personalità culturali, politiche e dell’industria. Felice Pagani, quasi a ogni pagina, lo indica e propone come esempio a un’Italia, già allora, arrancante e ansimante, incapace di stare al passo con i «tempi nuovi». Per quel che riguarda l’emigrazione, basterebbe, indica, inquadrare le migliaia di emigranti – quasi “militarizzare” le masse che invadono ogni anno l’area di lingua e cultura tedesca, l’Europa e le Americhe (una proposta che sembra sottintendere una regolamentazione dell’emigrazione). Pur denunciando lo sbandamento, sfruttamento e smarrimento della moltitudine di «italiani erranti» notiamo, cent’anni dopo l’uscita dell’opera, che è mancato «l’appoggio nel governo della patria», e all’estero son mancati i «capi naturali negli industriali, commercianti, studiosi che li avran preceduti». E che non si è avverato il miracolo di veder fiorire «tante piccole Italie sparse pel mondo».
Non mancano accenni e riflessioni su alcuni incontri con emigranti, pur non essendo «Vivendo in Germania» un’opera dedicata al fenomeno migratorio.
Riportiamo di seguito le pagine 149 – 152 che contengono in sé le proposte, ma anche le utopie, dell’autore per una «nuova emigrazione» finalizzata a creare «tante piccole Italie sparse pel mondo», vale a dire tante piccole colonie italiche in quei Paesi in cui si dirigevano poveri e proletari della Penisola. Le «tante piccole Italie», dove son sorte, son rimaste dei ghetti, ricchi d’orgoglio e nostalgia.
«Dovunque nella Germania trovai operai italiani – i contadini vanno oltre mare – ma troppo raramente commercianti ed industriali, cosicchè noi abbiamo all’estero eserciti senza generali e con pochi ufficiali. Quale meraviglia se il nostro operaio è indisciplinato c non di rado pervertito? Il suo coraggio o la sua disperazione l’han cacciato innanzi nel corpo della battaglia, ma è solo, tutto solo; e se in fine un aiuto viene, viene da lungi, vien fiacco ed in ritardo e non è il braccio di chi gli stava al fianco o meglio di chi gli era innanzi.
Al cessar nella buona stagione molti, è vero, ritornano, e già prima d’essi buoni gruzzoli di danaro italiano han preso la via della Patria; ma, non pochi rimangono, soli, sparsi, disgregati, abbandonati dalla patria, forze vive d’Italia che van perdute, sangue prezioso che va a fluire nelle vene altrui. Io non so se si debba esser più fieri della forza espansiva del nostro popolo o più umiliati nel vedere come essa vada in gran parte miseramente perduta. Ecco la missione della nuova generazione: esser degni di questi soldati, esser tanti da poterli comandare.
Partiranno sempre torme di lavoratori, perché l’Italia è più ricca di figli che non di messi, ma avranno almeno chi li accompagni, chi li protegga, chi li guidi. Ho sempre visto un sorriso di gioia – il sorriso della patria – tutte le volte che volgevo la parola ad un nostro operaio all’estero; ma il sorriso si mutava presto in una domanda premurosa: se mi fermassi a lungo lì – e alla negativa in un’espressione di rincrescimento e di tristezza, di perdere cioè un amico ed un appoggio.
L’Italia, checché si dica, vale di più a1 basso che non in alto: il contadino, 1’operaio come tali sono superiori agli altri ceti sociali come capi, i quali timidi e di poca iniziativa, colla esagerata, o falsa scusa della mancanza di capitale, non di rado si lasciano rapire in patria molte imprese dagli stranieri.
Non c’è slancio sufficiente, non c’è coraggio pari al bisogno economico della nazione! oh, quanto pena a sorgere una classe dirigente veramente degna di questo nome, che sappia comandare al popolo perché prima ha adempiuto tutti i suoi doveri
La terra classica dei grandi uomini e delle grandi iniziative è ora insufficiente a disciplinare ed a dirigere le sue forze.
E manca ancora, il dignitoso, l’alto, il superbo concetto della patria. No, i nostri padri, quando soffrivano e combattevano per l’Italia, non le videro queste moltitudini erranti senza capi, contro le quali gli stranieri sfogano talvolta la gelosia di mestiere brutalmente come non oserebbero con altri popoli: non pensarono che l’umiliazione cessata in patria dovesse incominciare all’estero.
Pure le nostre classi dirigenti sembrano quasi non badarci, preoccupate dei riguardi internazionali ad ogni costo, chiuse in un dottrinarismo umanitario che rende rosea l’intelligenza in Italia, e rosse talvolta le schiene degli italiani all’estero.
I romani, dice Mommsen, dopo le sconfitte parlavano ai nemici come se fossero stati essi i vincitori. Bisogna, avere un alto concetto di sé, essere forti se si vuole essere rispettati; ma questa verità di senso comune sembra non essere compresa, in Italia, e i nostri poveri emigrati, che non hanno colpa, ne portano la pena.
Siamo, è vero, la prima generazione che osa misurarsi in campo europeo, ed è naturale quindi che le prime file cadano, tanto più che s’avanzano disordinate e con pochi capi; ma, nonostante la fiacchezza di questi e la poca preparazione in tutti l’ardore dei combattenti è grandissimo : essi avanzan sempre senza badare alle loro armi inferiori, incuranti quasi di perdite.
L’esempio dei gregari, dei contadini e degli operai, desterà pure l’antica energia che pel lungo ozio durante i secoli di servaggio s’è addormentata nella parte più elevata della nazione, rinascerà più vasto e più profondo il patriottismo eroico dei nostri padri, cesseranno le incertezze, le contraddizioni, saremo fieri e forti, sorgerà la vera classe dirigente degna di comandare, ed una parte di essa non temerà di seguire le moltitudini che si recano all’estero.
Col più frequente contatto coi popoli più progrediti a poco a poco cesseranno paure infondate, pregiudizi, retorica, arcadia, e la nazione tutta diverrà veramente moderna, cioè seria ed audace.
Queste moltitudini erranti non saranno più sbandate, smarrite, sfruttate, ma troveranno forte appoggio nel governo della patria, e all’estero i loro capi naturali negli industriali, commercianti, studiosi che li avran preceduti, i quali si sentiranno contenti ed orgogliosi di fare con esse tante piccole Italie sparse pel mondo».
Felice Pagani
Vivendo in Germania
Pag. 354
Milano 1909
A cura di Luigi Rossi (Bochum)
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