L’arcipelago Bismarck e l’isola New Britain di Rabaul e Kokopo — Lombardi nel Mondo

L’arcipelago Bismarck e l’isola New Britain di Rabaul e Kokopo

Il settimo capitolo del Gruppo Africa nelle sperdute isole della Papua Nuova Guinea. Con una sintesi della visita a “The Cavanis Community of Jesus Good Shepherd” di Bereina sulla terraferma papuana

Incontro gli amici all’aeroporto Malpensa ed al mio arrivo li trovo tutti già pronti al ceck-in. In ordine alfabetico: Amedeo Giudici  di Vilmaggiore, Franco Sgnaolin di Piovera, Giusi Albrici di Vilminore, Lino Casali di Maleo, Lucio Tagliaferri di Vilminore, Mario Panfilo di Caravaggio, Vico Martinelli di Caronno Pertusella e Vittorio Casarola di Saronno. Con loro Ubaldo Belingheri “Baldino” venuto solo per salutarci, purtroppo non potrà essere dei nostri a causa di alcuni problemi di salute. E’ l’uomo più buono del mondo, fondatore del Gruppo Africa Valdiscalve insieme alla mitica scrittrice e volontaria internazionale Assunta Tagliaferri – con lei e con i disabili di “Little Eden” avevo condiviso nel 2008 una straordinaria esperienza in Sudafrica -. L’associazione, della quale Baldino è anche presidente, da oltre trent’anni si diletta a costruire acquedotti, ospedali e case, nelle missioni o associazioni in varie parti del mondo. Scopo di questa nuova spedizione è il “St. John XXIII Housing Project”: posa in opera di alcune case “campione” per quello che diverrà un villaggio in località Kalabon Feel, a pochi chilometri dall’Arcidiocesi di Rabaul, dove saremo ospiti dell’Arcivescovo Francesco Panfilo. Alcuni tra i più intraprendenti ragazzi del posto collaboreranno alla fatica, beneficiando così dell’insegnamento di maestri di chiara fama quali i muratori bergamaschi, per poi proseguire da soli nel completamento del progetto per circa 200/250 casette a Kokopo, nuova capitale dell’isola New Britain, situata nello splendore dell’arcipelago Bismarck, in pieno Oceano Pacifico.

 

Il Gruppo Africa mi ha abituato alle emozioni forti, come donare aiuto a popolazioni bisognose di tutto, ad esempio portando acqua potabile fuori dalle capanne dei loro villaggi e sappiamo quanto sia impagabile il sorriso riconoscente di questa gente, la gioia negli occhi dei loro bambini. Potrebbe non sembrare la stessa cosa rispetto ad un intervento a favore di un’Arcidiocesi come quella di Rabaul, se non fosse che molti dei miei amici sono compaesani dell’Arcivescovo e conoscono molto bene il suo operato nella fede ed il suo impegno sociale, totalmente rivolto alle necessità altrui. Ed ora che lo conosco meglio anch’io, non ho dubbi sul fatto che i destinatari delle casette saranno selezionati con tutta la cura necessaria e le dovute priorità. Per una volta faremo a meno dell’immediatezza del riscontro, della soddisfazione che esprime tanto calorosamente chi riceve. Sono certo che in corso d’opera emergeranno altre gratificazioni non meno apprezzabili.

 

Già dalla prima tratta su Doha emerge prepotentemente tutta l’esultanza del Gruppo cui faccio parte, con i divertenti aneddoti del vulcanico Mario che hanno il potere di suscitare l’ilarità di tutti noi. A rendere meno noioso il volo contribuisce anche l’ottima musica trovata sugli schermi della Qatar Airways, l’immancabile apple-juice offerto dal personale di bordo e l’occasionale conoscenza di una graziosa fanciulla col posto accanto al mio: la rossa Renee from Pechino. Da cinque anni a Milano occupata nel “fashion e lifestyle” come dice lei, ora sta tornando a casa per una breve vacanza. Viaggia insieme a due simpatici animaletti di peluche che mi presenta: suo figlio David e la sua teacher Julia. Li aveva amorevolmente sistemati sul sedile accanto al suo prima del mio arrivo. – La piacevole compagnia nell’oscurità del lungo viaggio notturno, mi fa tornare alla mente l’intrigante avventura vissuta nel 2008, complice l’inglesina Jane conosciuta su di un volo Iberia -. Giunti a destinazione le nostre strade si dividono e nell’abbraccio, Renee mi saluta con un casto bacetto, ma con l’accordo che al rientro ci si rivedrà.

Secondo scalo Singapore, quando un’improvvisata infermiera m’infila al volo un termometro per la febbre, per fortuna nell’orecchio e dove poi, due addetti al trasporto disabili per poco non mi portano via con la carrozzina sulla quale mi ero distrattamente seduto in attesa del volo per Port Moresby. Intanto Giusi estrae dal suo trolley diversi disegni delle casette, accendendo un’animata discussione tecnica su alcune modalità di intervento. Fuori dalla vetrata, una leggera pioggerellina saluta l’arrivo della stagione fredda che non vedremo fino a metà dicembre, quando sarà inverno e ci toccherà tornare a casa.

 

All’aeroporto di Rabaul troviamo due fuoristrada ad attenderci. Ci accompagnano a Kokopo nella sede dell’Arcidiocesi affacciata sull’oceano, dove è stata organizzata per noi una festosa cerimonia di benvenuto sul grande palco riservato alle autorità, con tanto di presentazioni e ghirlande di fiori intorno al collo. Incontri con personaggi vecchi e nuovi… baci e abbracci. Poco dopo questa gradita celebrazione, il neozelandese Gordon Botha, responsabile locale del progetto, ci sottopone un primo piano lavori dettagliatissimo: ora per ora! Lo stesso piano che poi, vista la nostra scarsa adesione alla sua schematica interpretazione di ruoli e orari e, conosciuto meglio il nostro Gruppo, accantona mestamente fino a sembrare accondiscendente oltremisura, ad invitare chiunque di noi sulla sua moto per un giro in spiaggia o in barca ad ammirare i delfini al largo o apparire dopo cena con la sua chitarra per un’esibizione di brani alla Simon & Garfunkel, accompagnate dal sottoscritto alle percussioni – il semplice tavolo della cucina, prima di scoprire la buona acustica di un vecchio cassettone di duro legno rovesciato -.

 

Voglio tornare ancora sul perché dell’Arcidiocesi e dell’ospitalità dell’Arcivescovo. Non so se sono cristiano, tutto ciò che ho dato alla chiesa cattolica sono stati gli anni dell’infanzia all’oratorio, quando al mio paese c’era il mitico Don Umberto Ghioni – … un prete per chiacchierar, come cantava Celentano -. Ma solo pochi anni dopo avevo iniziato a “scappare fuori” prima dell’adunanza, per andare al cinema dei grandi, e a leggere – tra gli altri – Bertrand Russell. Così mi sono perso. Non mi ha salvato neppure il matrimonio in chiesa del ‘78, con l’impegnativa vita matrimoniale conclusasi con una consensuale nell’85. Detto ciò, mi trovo tra amici ed insieme stiamo contribuendo alla realizzazione di qualcosa di utile e questo mi basta. Potrebbe persino essere un’altra occasione per ristabilire un nuovo contatto con la fede o con l’aldilà, se non fosse per il fatto che devo ancora meditare sul mio ruolo in questa impresa. Anzi no. Decido che, in assenza di precisi incarichi, sarò il jolly. Cosa fa il jolly in questi casi? Cerca di rendersi utile come può e con ciò che sa fare, come sostiene sempre la mia amica Assunta. Il compito del jolly quando non c’è alcun problema è quello di trovarne uno e risolverlo, non inventarlo ma trovarlo – se si trova vuol dire che c’è e va risolto -. Il fatto stesso di poter condividere le esperienze con questi mostri di forza e bravura mi da ragione e mi gratifica.

 

Fare quello che fanno gli amici del Gruppo Africa vuol dire realizzare davvero qualcosa di speciale per gli altri. Una frase che non dico spesso, ma quando ci vuole ci vuole. Anche le modalità con le quali si muovono sono speciali: poca o niente pubblicità, tanta umiltà in ognuno, la necessaria serenità che si manifesta in ogni momento della giornata trascorso in loro compagnia e che inizia ogni mattina alle sei. A differenza delle precedenti esperienze però, in questa missione non ci sono foreste incontaminate, nessuna tribù di indigeni “selvaggi”, neppure villaggi di capanne isolati dal resto del mondo o insidiosi serpenti, spesso incontrati con un brivido di piacere – le condizioni ideali per chi in qualche modo cerca di scappare o di prendere le distanze per un po’ dalla realtà che decide di abbandonare in Italia -.

Come sempre, in queste imprese il Gruppo è totalmente autosufficiente. Nei container spediti alcune settimane fa infatti, oltre agli attrezzi e al materiale necessario, hanno trovato spazio diversi scatoloni con i nostri viveri. Inoltre, i quattrini frutto di donazioni che Baldino ha voluto affidarci nella sua immensa generosità, rappresentano la cassa comune che usiamo per le spese quotidiane a cura del jolly: al caratteristico e coloratissimo mercato per frutta e verdura col primo pick-up che si rende disponibile, o nel grande store Tropicana, di fronte alla nostra “residenza Vunapope” in riva all’oceano, con vista sul vulcano Tavurvur che nel 1994 rase al suolo Rabaul. La titolare, signora Sandra, ci regala un poster plastificato della Papua Nuova Guinea che ora è appeso nel nostro salone, poi invita tutti presso la sua abitazione ad un ricevimento per rendere omaggio ad un team di simpatici medici cinesi che collaborano a dei nuovi progetti in PNG. Non è di rigore l’abito da sera quindi accettiamo di buon grado. Durante la serata l’amica cinesina Shu, con la sua chitarra, intervalla sapientemente brani della sua terra a ballate papuane ed accenna addirittura il dolce motivo di Eric Clapton “Wonderful Tonight”. Gli scalvini si esibiscono in un coro alpino che riscuote grande successo. Dai cellulari in giro per Kokopo si sentono ancora le loro voci non proprio bianche, intonare la famosa “Maslana” una specie di colonna sonora che riesce ad armonizzare ancor di più la già paradisiaca vita della Val di Scalve.

 

Prima notte a Kokopo nell’incantevole paesaggio dell’Arcidiocesi con un movimentato ma comico risveglio. Premetto che su quest’isola ci sono strani mosquitos muniti di silenziatore, per cui il fastidioso ronzio che nottetempo sveglia chiunque in Italia, qui non avverte del pericolo, così al mattino ci si ritrova martoriati dalle punture senza sapere chi ringraziare, nonostante le zanzariere poste intorno al letto e alle finestre. Nella missione del 2010 sempre col Gruppo Africa in PNG, l’unica persona – su nove – che non aveva eseguito la profilassi col Lariam, una volta a casa si era ammalata di malaria. Aggiungo che il Lariam presenta fra le sue controindicazioni, stati di allucinazione e conseguenti notti insonni. – L’amica Laura, medico del Who, quando ero suo ospite a Jakarta nel 2005 mi raccontava di aver dovuto rimpatriare diverse persone affette da gravi disturbi rappresentati dall’assunzione del farmaco -.

Questa premessa forse spiega il fatto che, nel cuore della notte sento bussare alla porta del mio alloggio, apro e trovo Mario vestito di tutto punto, zaino in spalla pronto per partire. Se ci fossimo trovati sulla montagna dei suoi sogni, probabilmente si sarebbe dotato anche di corde e piccozza. Scende le scale e si appresta ad uscire nella notte buia. Cerco l’orologio e guardo l’ora: le 2 e 40! Mario insiste col dire che dobbiamo partire perché è convinto che siano le sei e si mostra pronto a tutto per dimostrarmelo. La mia certezza comincia a vacillare data la sicurezza con la quale si rivolge anche ad Amedeo, che nel frattempo si è presentato nel salone dove sono distribuite le camere. La notte sembra ancora più nera! Franco esce dalla sua stanza e passeggia avanti e indietro, anche lui pronto, non si sa per cosa e non si spiega perché. Non ci capisco più nulla e riguardo l’orologio: le 2 e 48, quindi funziona!. Franco osserva il cellulare con aria interrogativa ma non proferisce parola, deve decidere da che parte stare ma sembra disposto a credere a tutto. Gironzoliamo un po’ senza alcuna convinzione in attesa di capire, non si sa cosa. C’è voluto un buon quarto d’ora affinché tutti quanti ci rendessimo conto che alle tre del mattino è solo ora di tornare in branda, almeno per un altro paio d’ore… ma non prima di esserci rotolati per terra dalle risate. Mario accetta la decisione comune con qualche riserva, ma torna anche lui in camera dondolando la testa. Le successive sere, quando ci ritiriamo ognuno nella propria stanza, il più delle volte non riesco a smettere di ridere da solo. Mario ha un’energia fuori dal comune che trova terreno fertile con la simpatia travolgente del resto della banda. Proprio un’allegra brigata! – Alla faccia di chi sostiene che la vita di gruppo non è sempre facile -.

 

Ma veniamo ai lavori, iniziati con un po’ di sbandamento a causa del primo sopralluogo. Riscontriamo infatti che il suolo dove dovranno sorgere le prime case del villaggio non è ancora stato reso del tutto pianeggiante. Il problema è tuttavia risolto abbastanza velocemente grazie alle conoscenze di Francesco, che invia sul posto un enorme escavatore prestato da un vicino cantiere dei suoi amici Salesiani. Tutto bene quindi, il morale è risalito così come l’entusiasmo, che ha permesso di porre le fondamenta a tre case e ad innalzare parte dei muri perimetrali della prima. Uno dei container è stato portato in loco in modo da riporre strumenti e altro in sicurezza. Siamo partiti agli inizi di ottobre e oggi, a distanza di soli quindici giorni, si prevede la “gettata” che ultimerà i tavolati interni della prima casa.

 

In uno degli uffici del lussureggiante complesso dove risiediamo, conosco una persona molto speciale: Martino Costa, un friulano sposato ad una simpatica veneziana. Ha 39 anni e la bellezza di 10 figli. Tre maschi e sette femmine tutte biondissime, una più bella dell’altra. Dopo la laurea in legge, ha sposato oltre che la veneziana Noemi anche il Movimento Neocatecumenale che descrive come semplice “Cammino”. Un percorso di spiritualità che insegna a scoprire la fede quotidianamente ma, come dice lui, un po’ alla volta. – Qualche settimana dopo ci farà visita il responsabile per l’Oceania del movimento, certo Antonio Piccolo detto Totò, simpatico romano di origini napoletane -. Con Martino mi trovo benissimo, col pulmino che usa per la famiglia mi accompagna in ogni dove, per le tante commissioni in cerca di materiali o altro per il cantiere. E’ L’occasione per lunghe chiacchierate su mille argomenti che sa interpretare in modo assolutamente pacato e piacevole. La capacità di ascoltare il prossimo e l’umiltà nell’esposizione delle proprie convinzioni, credo sia di per sé il segreto per risultare più graditi e credibili.

 

Un paio di giorni dopo, sempre Mario mi affida due nuove chiavi, dicendomi che aprono i nostri magazzini. Le aggiungo a tutte quelle degli ambienti riservati a noi ed alla nostra attività, che custodirò gelosamente. Rientra fra i doveri del jolly, che nel frattempo si occupa anche della già menzionata cassa comune per le spese quotidiane di dodici persone – si sono aggiunti infatti Gordon, Selwin e Pascal, quest’ultimo è una vecchia conoscenza di altre isole frequentate in passato: Goodenough e Kiriwina. Pascal si rivela anche ottimo chitarrista per alcune serate all’insegna di melodiose ballate country, sempre accompagnato dal ritmo del mio cassettone -. In questo progetto ci danno una mano anche nuovi amici neri neri provenienti dalla vicina isola Bougainville. E… le due chiavi? Si scoprirà solo in seguito che aprivano i lucchetti dei container, che tutti stavamo cercando invano da giorni. Ma l’intesa tra noi va oltre ogni incomprensione, che diventa così motivo di grasse risate e pacche sulle spalle.

 

Prima domenica al mare, dove peschiamo un grosso barracuda ed un altro pescione gigante e rosso. In realtà non li abbiamo proprio pescati. Lungo la spiaggia, avevamo incontrato un simpatico cinesino al rientro da una battuta di pesca con degli amici. Si era qualificato come appartenente alla mafia cinese e dopo averci mostrato tutto il ben di Dio che c’era nella sua barca, ci fa dono dei due pesci, raccomandandoci in cambio di delegare qualcuno di nostra conoscenza a pregare per lui. Così riferisco al Bishop Francesco Panfilo ed il simpatico Arcivescovo mi assicura che provvederà… a modo suo. Le serate col Gruppo invece trascorrono perlopiù giocando a carte o raccontandoci l’un l’altro delle cose. Mai stupide barzellette ma episodi di vita vissuta da ciascuno, nel bene e nel male. Per gran parte del tempo il pallino è in mano a Mario, inesauribile fonte di pillole di saggezza condite da personali interpretazioni che hanno l’effetto di scatenare quasi sempre l’ilarità collettiva, insieme alle battute a volte pungenti dei compari Lucio, Giusi e Amedeo. Una simpatica schermaglia tra compaesani ed ex. Trascurando data e ora, ieri sera abbiamo avuto un’accesa discussione su un tema quanto mai delicato e fondamentale: l’espressione del proprio parere, il rispetto di quello altrui e la licenza di dare consigli. La sottile linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito. Probabilmente tutti dicevamo la stessa cosa esprimendoci in maniera differente. C’era chi sosteneva che in taluni casi è giustificato un giudizio negativo, ma allora il rispetto dell’altrui pensiero dove lo mettiamo? Chiunque può manifestare il proprio pensiero, in taluni casi addirittura deve, ma mai prevaricare chi la vede diversamente. Appare evidente che se un parere è a favore di una soluzione è ovviamente sfavorevole all’altra, ma sempre nel suo rispetto. Credo sia una forma di libertà che non può essere violata. Quanto al dare consigli, non mi stancherò mai di citare De Andrè ed ho proposto anche ieri un suo passaggio. Dice che “i consigli li dava solo Gesù nel tempio e coloro che non possono più dare il cattivo esempio”. Quanto mai attuale. Un’altra sera si è toccato l’argomento politica ed inevitabilmente c’è stato un piccolo screzio ma niente di irrimediabile – ritenevo che annullare la scheda elettorale al fine di danneggiare il proprio partito del quale si è insoddisfatti, rischia di far vincere uno schieramento diverso, votato però solo da altre persone -. Probabilmente ci ritorneremo su.. ma anche no.

 

Nella terra dove si vedono spesso donne che si spulciano a vicenda con un rituale che sa di animalesco, si conoscono anche tante persone speciali. La simpaticissima sister Dasy Anne, responsabile della radio “Voice of Blessed Peter Torot”, – la Radio Maria di Vunapope – che ci promette un’intervista in diretta durante la quale si parlerà del progetto. Piena di vigore parla piacevolmente spagnolo e racconta della sua missione di due anni in Perù. Poi il general manager Ray, brillante filippino che in ufficio ascolta James Last ed al quale passo la mia chiavetta con migliaia di brani anni 60/70 che gradisce molto; il neozelandese avvocato Doug Tennent sempre di corsa. Entrambi si rivelano preziosi per molte nostre necessità. Si stringe amicizia con un cieco, certo Lucas, col figlioletto Karl mentre sceglie le cipolle al market. Commovente la tenera figura del piccolo che descrive minuziosamente al padre ciò che lui non può vedere. Si sono ripresentati entrambi a Vunapope con un paio di borse di pesce appena pescato. 50 kina – poco più di 12 euro – per due lunghe file di pesce colorato, servito al nostro chef stellato Lino per il menu del giorno.

 

Martedì 24 ottobre ore 14,22 scossa di terremoto che fa tremare la sedia sulla quale sono seduto – ce lo aveva anticipato l’Arcibishop Francesco: “non ci dovrete far caso… qui capita sovente” -. Un’altra scossa, un poco più forte si verifica una settimana dopo, mentre mi improvviso interprete in giro per commissioni col nostro autista Willy e Franco, per l’acquisto del legname col quale costruire porte e finestre. Stesso incarico alcuni giorni dopo con Vico e Vittorio per l’approvvigionamento di parti elettriche ed idrauliche.

 

Ma torniamo allo stato dei lavori: alla fine di ottobre, tra una gettata e l’altra, la posa delle campate in ferro per il tetto, siamo a buon punto. La prima casa è quasi completata, ora si sta procedendo celermente anche con la realizzazione dalla seconda e sono tutti abbastanza compiaciuti. A proposito di compiacimento, devo dire che la soddisfazione del jolly dura assai poco. E’ incredibile come certe persone, dopo una conquista o un successo raggiunto, riescano a farsi bastare l’autostima che ne deriva per lunghi anni. Ad altri invece dura giusto il tempo necessario per inventarsi un nuovo obiettivo da raggiungere. Il famoso “mito di Sisifo” di cui mi parlava un medico in Burundi, contrapposto alla citazione del pilota paraplegico Alex Zanardi che ho avuto la fortuna di conoscere in Italia: “Se c’è la passione ci può stare anche un po’ di ambizione e compiacimento”. Intanto la sveglia della nostra sala da pranzo si blocca regolarmente sulle quattro, vuole avere ragione anch’essa almeno due volte al giorno.

 

Una domenica ci accompagnano a Matupik, al sulfurian sea – mare di zolfo -, ai piedi del vulcano responsabile della catastrofica eruzione del 94, dove l’acqua dell’oceano è in perenne ebollizione, passando per Racunai dove è sepolto il Beato Martire Peter Turot, ucciso con un’iniezione di veleno; la stessa sorte che toccò a Padre Kolbe, la cui cattedrale si trova a due passi da casa mia a Milano. Finora nei giorni di festa ci eravamo limitati a frequentare le spiagge vicine, sabbia vulcanica nera ma acqua limpida e cristallina, questo prima della scoperta dell’esclusivo “Rapopo Plantation Resort” dove ci accompagna Micael, un sacerdote della lontana parrocchia Naparar che, dice, si trova dall’altra parte della montagna che si intravede in lontananza – gli avevo chiesto un passaggio immaginando si trattasse di un autista qualunque -. Al resort conosco Aaron, un giovane americano che si occupa di riscrivere il Vangelo secondo Luca, in un idioma che ancora non esiste. Con una sorta di laurea in fonetica, sta cercando di tradurre in caratteri il suono delle parole di un’incomprensibile lingua papuana, al fine di preservarne le radici. Invece, durante una delle serate sulla terrazza del Tropicana ai bordi dell’oceano, una visione celestiale: una ragazza proveniente dalle isole Cook la cui bellezza mi paralizza al punto da dimenticarmi di chiederle il nome. Ma come si chiameranno gli abitanti delle Cook?.

 

C’è chi riesce a trasmettere le emozioni usando solo parole appropriate. Io cerco di raggiungere lo stesso scopo semplicemente descrivendo i fatti, raccontando quello che succede. Mai un diario e neppure un romanzo, ma sprazzi disordinati di vita senza alcun filo conduttore, buttati giù con la forza dell’ispirazione di quel momento, suggerita dalle sensazioni che si stanno vivendo o da un pensiero improvviso, anche se fuori tema. Mi piace così e non saprei fare di meglio. Col trascorrere dei giorni imparo a fraternizzare con il carattere della gente del posto e ad assorbire parte delle loro abitudini. Mi domando come mai in Italia non si riesca a mantenere lo stesso spirito, la stessa gratuita cordialità, penso che sarebbe una gran bella cosa. Mi capita sempre e mi riprometto ogni volta di riuscirci e… prima o poi ce la farò. Un po’ come il tentativo di condensare i miei racconti in due pagine – davanti e dietro…- prima o poi ce la farò! Per ora mi accontento di scoprire che il quotidiano della Papua Nuova Guinea “Post-Courier”, il 23 novembre ha dedicato un breve commento al progetto, con una foto di tutto il nostro Gruppo.

 

Per il recente compleanno, non ho potuto sottrarmi ai festeggiamenti voluti dal Gruppo con gli amici del posto. Segna il mio tredicesimo anno nel volontariato e insieme anche l’avvicinarsi della fine di questa avventura. E mentre sto già pensando a cosa mi mancherà di più, voglio esprimere la mia soddisfazione per aver preso parte a questo grande progetto che, insieme all’acquedotto di Ulutuya del 2011, è sicuramente uno dei più importanti. Dopo i sempre commuoventi addii, c’è giusto il tempo per i saluti più sinceri e un forte abbraccio desidero affidarlo anche a questo scritto. Un abbraccio come, con il bacio? Sulla guancia come si fa con un amico e che, a causa delle differenti altezze di solito si stampa sul collo o si perde nei capelli? Senza bacio o con un bacio più impegnativo? Alcuni individui si astengono da questo piacevole rito per questioni di etichetta o galateo. Per me, se c’è un po’ di passione, questa deve potersi manifestare in tutta la sua forza. Niente regole.

 

Ringrazio ancora il Gruppo Africa per avermi offerto questa ennesima opportunità, l’Arcivescovo Francesco Panfilo per la sua ospitalità, la sua cortesia e generosità – che ha manifestato anche nel farsi carico delle spese per il cambio data del volo, che insieme a Vico mi ha portato nella località di Bereina -. La sera dopo cena ci dilettava con i racconti del suo coraggioso ed impegnativo percorso di vita, con lo spirito gioviale che caratterizza gli scalvini che fanno parte dell’associazione.

 

Fuoriprogramma: “The Cavanis Community of Jesus Good Shepherd” di Bereina (PNG)

 

E i serpenti a me tanto cari? Ci arrivo. Dopo aver parlato con gli amici del Gruppo Africa e con l’assoluta certezza di non aver lasciato nulla in sospeso col lavoro a New Britain – concluso con le prime tre case ultimate e la quarta in fase di costruzione a cura dei giovani del posto -, Vico ed io decidiamo di anticipare il primo volo su Port Moresby, così da trascorrere un breve periodo nella terraferma papuana – ci saremmo poi ricongiunti col resto del Gruppo per i tre successivi voli in partenza dalla capitale -. Quattro ore di auto, attraverso una strada assolutamente impraticabile, per raggiungere la Comunità Cavanis di Bereina. La superiora sister Caterina incontrata in Italia e l’australiano Padre Paul, Matteo e Riccardo con la mamma Simonetta, le cinque sisters venete: Anna from Noale, Giovanna, Vera, Silvana e l’infermiera Anna, oltre a sette filippine e due vietnamite delle quali non ricordo i difficili nomi. Mai visto tante sorelle così giovani e, se posso aggiungere, visto che si tratta di suore… tanto carine. Del resto, diciamo che il Signore le ha volute così. Una calda e spontanea accoglienza, una lunga tavolata imbandita e circondata da facce sincere e festose. Una chitarra è appoggiata alla parete mentre un’altra suona in lontananza, un tenerissimo gattino di pochi giorni mi gira ballonzolando fra i piedi e intorno tanti sorrisi che oserei definire seducenti. Provo fin da subito una sensazione piacevolissima, nell’aria aleggia una spiritualità indescrivibile in un’atmosfera di assoluta serenità. Con sister Giovanna e Vico distribuiamo pacchi dono ai 170 bambini della elementary school, ma qui le sisters gestiscono anche una scuola per adulti con 150 iscritti, un centro di riabilitazione che ospita una quarantina di ragazzi ed un centro di accoglienza temporanea per madri e bambini con problemi facilmente intuibili. Poi sister Anna con un amico e Simonetta ci accompagnano a visitare i vari luoghi preposti a differenti attività. Ci soffermiamo a lungo nel grande orto, dove sorprendiamo due sorelle filippine che raccolgono gioiosamente i pomodorini e tolgono le erbacce. Dalla vicina piantagione di palme spunta fuori Allen, un gigante buono con quattro noci di cocco per noi. Un brav’uomo dicono, che sarà il nostro autista nella avventura del viaggio di ritorno a Port Moresby. Vico si cimenta nella riparazione di una Lambretta e di una macchina per gli stampi termoelettrici e la cottura delle ostie. La squadra di Matteo e Riccardo è impegnata nella costruzione di una cappella in legno, dietro la casa che ci ospita. Ognuno ha un suo compito e la felicità di compierlo. Fantastico! Durante l’ultima sera della nostra permanenza, un certo scompiglio ha suscitato la mia curiosità. Nella sala adibita a lettura si era infilato un “papuan black”, versione papuana del pericolosissimo serpente black mamba. Si era aperta una spasmodica caccia a cura di persone del posto, altamente qualificate a trattare simili pericoli. Ma il rettile è risultato introvabile ed abbiamo così trascorso la notte con la sua inquietante presenza, infilato chissà dove. Saprò solo il giorno dopo che alla fine era stato catturato e ucciso e un po’ mi è spiaciuto..

Della fraternità Cavanis voglio saperne di più e sister Caterina mi regala un libro con la sua storia, a partire dalla fondazione a Venezia nel 1802, ma tanto giovane, fresca e vivace in questa comunità nella quale mi trovo. Mi riserverò di rifar loro visita appena possibile, magari alla sede filippina di Tagum City in Davao del Norte sull’isola di Mindanao.

 

Un caro saluto a tutti, Ferruccio Brambilla

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