Al giornalista australiano Peter Greste, la medaglia per i diritti umani — Lombardi nel Mondo

Al giornalista australiano Peter Greste, la medaglia per i diritti umani

Il noto attivista per la libertà di parola ha trascorso 400 giorni detenuto in un carcere del Cairo, ingiustamente accusato dal regime militare egiziano di Abdel Fattah el-Sisi, di sostegno al movimento islamista Fratellanza Musulmana e di diffondere notizie che avrebbero nuociuto alla sicurezza del Paese. Imputazioni fabbricate e false ma che avevamo provocato una sentenza durissima: sette anni di prigione

 

E’ andata quest’anno al giornalista australiano e attivista per la libertà di parola, Peter Greste, la prestigiosa medaglia per i diritti umani, consegnata dalla presidente della Commissione Australiana Diritti Umani, Gillian Triggs.

La Presidente Triggs, nel presentare la medaglia al giornalista, lo ha descritto come persona “umile e ispirata” che ha combattuto per la libertà e la giustizia. Greste a sua volta ha riconosciuto che l’appassionata risposta della comunità australiana e internazionale all’incarcerazione sua e dei colleghi Mohamed Fahmy e Baher Mohamed è stata l’affermazione dei “diritti umani fondamentali, della libertà di parola, della libertà di stampa e dello stato di diritto”.

L’antefatto

Peter Greste, corrispondente in lingua inglese dell’emittente Tv Al Jazeera, ha trascorso 400 giorni detenuto in un carcere del Cairo, condannato con altri due colleghi dell’emittente con l’accusa di aver rappresentato in maniera distorta la crisi politica egiziana e di collusione con la Fratellanza Musulmana, spodestata e messa al bando dal regime militare di Abdel Fattah el-Sisi.

Greste, nato a Sidney, era stato arrestato il 29 dicembre del 2013 assieme ai due colleghi poco dopo avere realizzato i primi servizi giornalistici che documentavano le responsabilità del governo egiziano sui disordini e tumulti nella capitale.

L’accusa formulata dai giudici si basava sul presupposto sostegno di Greste al movimento islamista con l’aggravio della diffusione di notizie destabilizzanti e nocive alla sicurezza dell’Egitto; imputazioni false e fabbricate ad hoc ma tali da decretare una sentenza durissima: sette anni di prigione!

In febbraio, grazie alla fattiva e continua azione del governo australiano e dopo l’annullamento del processo anche per le pressioni internazionali, il giornalista ha ottenuto il perdono dal presidente della repubblica egiziana, Abdel Fattah el-Sisi, ed è stato liberato. Tornato in Australia, vi è rimasto per un breve periodo, prima di rientrare a Nairobi per riprendere il suo posto di corrispondente di Al Jazeera.

Nel 2011, Peter Greste, ha vinto il premio Peabody per un documentario sulla Somalia mandato in onda dalla BBC; inoltre ha lavorato anche per la Reuters e la CNN. (by ANSA/photo by picture – alliance/dpa/D. Hunt)

Maurizio Pavani (mauripress@live.it)

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